Costituzione in giudizio mediante c.d. velina ed improcedibilità dell'appello
09 Giugno 2016
Massima
La costituzione in giudizio dell'appellante, avvenuta mediante deposito in cancelleria, oltre che della nota d'iscrizione a ruolo, del proprio fascicolo contenente, tuttavia, copia dell'atto di appello (cosiddetta velina) anziché l'originale notificato alla controparte, non arreca alcuna lesione sostanziale ai diritti della parte appellata ed, in difetto di una specifica previsione d'improcedibilità del gravame, costituisce mera irregolarità, sanata dal successivo deposito dell'originale medesimo. Il caso
Il Tribunale, nell'ambito di un giudizio di appello avverso una sentenza del giudice di pace, dichiarava improcedibile il gravame proposto ai sensi dell'art. 348 c.p.c. per omessa costituzione in giudizio dell'appellante nei termini in quanto, al momento della iscrizione della causa a ruolo, ciò avveniva mediante deposito della c.d. velina in luogo dell'originale, che era depositato solo durante il corso del giudizio. L'appellante ricorreva alla Corte di Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 156, 165, 347 e 348 c.p.c. per erronea declaratoria di improcedibilità del gravame. La questione
La questione esaminata dalla sentenza in commento è la seguente: se l'appellante si costituisce in giudizio mediante il deposito di copia dell'atto notificato, la prescrizione di cui all'art. 348 c.p.c. è rispettata? Le soluzioni giuridiche
Con la decisione in esame la Suprema Corte dà al quesito posto una soluzione affermativa, nel senso che non si determina l'improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c. se, al momento della costituzione in causa, entro dieci giorni dalla notifica dell'atto di citazione, l'appellante non deposita l'originale dell'atto notificato bensì soltanto una copia dello stesso. La Corte si riconduce all'orientamento dominante in forza del quale in detta situazione non si verifica che una mera irregolarità, non essendo violato alcun diritto sostanziale della parte (Cass. civ., sez. I, ord., 29 luglio 2009, n. 17666; Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 2010, n. 25640; Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2012, n. 6912; Cass. civ., sez. II, 21 giugno 2013, n. 15715). Tale tesi prevalente è stata, su un piano più generale, giustificata avendo riguardo all'assunto secondo cui l'improcedibilità dell'appello è comminata dall'art. 348, comma 1, c.p.c. per l'inosservanza del termine di costituzione dell'appellante, non anche per l'inosservanza delle forme di costituzione, sicché, essendo il regime dell'improcedibilità di stretta interpretazione in quanto derogatorio rispetto al sistema generale della nullità, il vizio della costituzione tempestiva ma inosservante delle forme di legge soggiace al regime della nullità e, in particolare, al principio del raggiungimento dello scopo, per il quale rilevano anche comportamenti successivi alla scadenza del termine di costituzione (cfr. Cass. civ., sez. III, 8 maggio 2012, n. 6912). In altre e più chiare parole, il principio di tassatività delle cause di improcedibilità comporta che non possa dichiararsi improcedibile l'appello tutte le volte che la costituzione in giudizio sia avvenuta tempestivamente rispetto al termine previsto dall'art. 348 c.p.c., ma secondo forme diverse da quelle normativamente previste. Tuttavia, un'altra parte, sebbene minoritaria della giurisprudenza di legittimità, ha condiviso l'opposta tesi per la quale il deposito dell'atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all'atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determina l'improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c., essendo privo di effetti sananti l'eventuale deposito tardivo dell'atto notificato in prima udienza, oltre il termine perentorio stabilito dalla legge (Cass. civ., sez. II, 01 luglio 2008, n. 18009). Tale pronuncia ha evidenziato l'impossibilità di assimilare, quoad effectum, le conseguenze dell'omessa o ritardata costituzione in giudizio in primo grado ed in appello, poiché la disciplina dettata, per il solo giudizio d'appello, dall'art. 348 c.p.c. è ispirata ad un favor per il passaggio in giudicato della decisione oggetto di impugnazione che sanziona l'omessa costituzione in giudizio con l'improcedibilità, istituto che si distingue nettamente dalla nullità e non contempla, a differenza della stessa, alcuna possibilità di sanatoria. Sotto un distinto ma correlato profilo – non direttamente esaminato dalla pronuncia in commento – inoltre non è pacifico nella giurisprudenza della S.C. entro quale momento deve avvenire nel giudizio d'appello, anche a voler avallare la tesi prevalente ancora ribadita dalla Corte di legittimità, la produzione dell'originale dell'atto introduttivo notificato. Invero, alcune decisioni ritengono, a riguardo, che, una volta sancito il principio per il quale la sola omessa costituzione nel giudizio d'appello implica l'improcedibilità dello stesso, mentre la costituzione mediante il deposito della c.d. velina in luogo dell'originale è una nullità sanabile (o, come talvolta si è pure ritenuto, una irregolarità), ne deriva che, ove lo scopo dell'atto sia stato raggiunto non essendovi difformità tra originale e copia, non rileva il momento del giudizio di appello nel quale avviene la produzione (Cass. civ., sez. II, ord. 2 febbraio 2016, n. 1908), atteso che il controllo circa la regolare instaurazione del contraddittorio può avvenire anche in sede di decisione dell'impugnazione (Cass. civ., sez. II, 17 novembre 2010, n. 23193). In una prospettiva più rigorosa, un'altra tesi ritiene che il controllo sulla procedibilità del gravame deve essere effettuato alla prima udienza, ossia quella di cui all'art. 350, comma 2, c.p.c. laddove la stessa si svolga dinanzi alla corte d'appello (ovvero l'udienza di trattazione ex art. 183 nell'ipotesi di appello di fronte al tribunale) e, pertanto, entro la stessa debba essere depositato, a pena di improcedibilità, l'originale dell'atto di impugnazione notificato (Cass. civ., sez. III, ord., 2 febbraio 2015, n. 1813; Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2014, n. 20168; Cass. civ., sez. II, ord., 17 febbraio 2014, n. 3635). Quanto evidenziato ha condotto la Corte, mediante un'altra recente decisione, a rimettere alle Sezioni Unite il contrasto in ordine alle seguenti questioni:
Osservazioni
In attesa dell'intervento risolutore delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la pronuncia in epigrafe sulla prima e principale questione non fa che ribadire un orientamento che è prevalente all'interno della giurisprudenza di legittimità da alcuni anni. In questa sede, tuttavia, non si può trascurare di rilevare che si potrebbe cogliere l'occasione per una rimeditazione generale sulla questione, alla luce della generalizzazione dell'istituto della rimessione in termini e della valorizzazione nella giurisprudenza della Corte del principio del giusto processo civile. In particolare, potrebbe avallarsi la tesi, allo stato assolutamente minoritaria nella giurisprudenza della Corte, per la quale, anche la costituzione nel giudizio di appello mediante il deposito della c.d. velina in luogo dell'originale dell'atto introduttivo notificato, comporta l'improcedibilità del gravame ai sensi dell'art. 348 c.p.c., evitando così complesse commistioni tra istituti differenti come la nullità e l'improcedibilità. In effetti, la generale operatività, sia ai fini della proposizione dell'impugnazione che per sanzionare le decadenze maturate nel corso del giudizio di gravame, del principio della rimessione nei termini ex art. 153, comma 2, c.p.c., introdotto dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, potrebbe far ritenere che, almeno ove il giudice alla prima udienza riscontri che l'appellante non abbia depositato l'originale dell'atto introduttivo notificato, potrà concedere un rinvio dell'udienza per consentire la produzione di tale originale su richiesta del medesimo appellante, il quale dimostri di non aver potuto depositare detto originale per una causa c.d. «esterna». |