La nullità della sentenza tra mancata trascrizione delle conclusioni e violazione dell'art. 112 c.p.c.
09 Giugno 2016
Massima
L'omessa, inesatta o incompleta trascrizione delle conclusioni delle parti nell'epigrafe della sentenza ne determina la nullità solo quando tali conclusioni non siano state esaminate, di guisa che sia mancata in concreto una decisione su domande ed eccezioni ritualmente proposte, mentre, ove il loro esame risulti dalla motivazione, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza. Il caso
I ricorrenti deducevano, quale primo motivo, dinanzi alla S.C. la violazione e falsa applicazione dell'art. 132 n. 3 c.p.c. poiché nella sentenza impugnata erano state trascritte le conclusioni originarie e non quelle precisate all'udienza di precisazione delle conclusioni, con il conseguente omesso esame di alcune domande pregiudiziali e cautelari nelle more depositate e violazione del diritto di difesa. La questione
Le questioni affrontate dalla pronuncia in commento sono in realtà due. Invero, in primo luogo viene in rilievo se, avendo riguardo all'art. 132 n. 3 c.p.c., l'omessa trascrizione delle conclusioni nella sentenza ne comporti una nullità denunciabile in sede di impugnazione. In secondo luogo occorre stabilire quali siano le conseguenze di una mancata trascrizione delle conclusioni alle quali si accompagni anche un omesso esame di domande ed eccezioni. Le soluzioni giuridiche
Mediante la pronuncia in esame, viene ribadito dalla Corte il principio secondo cui, in sé e per sé considerata, l'omessa o inesatta trascrizione delle conclusioni delle parti nell'epigrafe della sentenza non ne implica l'invalidità, salvo che ciò comporti l'assenza, in concreto, di una decisione su domande ed eccezioni ritualmente proposte. Fuori da tale ipotesi, viene ricordato il principio già espresso dalle Sezioni Unite per il quale la mancata trascrizione delle conclusioni nel testo della pronuncia costituisce un'irregolarità formale (Cass. civ., sez. U., 24 ottobre 2005, n. 20469). Viene in rilievo, in sostanza, la sottile distinzione tra il vizio di nullità e la mera irregolarità. In particolare l'irregolarità si colloca, all'interno del sistema delle invalidità processuali, all'estremo opposto rispetto all'inesistenza: si ritiene infatti – almeno nelle affermazioni di principio – che in presenza della stessa il vizio non sia talmente grave da rilevare da inficiare il corso del procedimento. In altre e più chiare parole, posta la disciplina positiva della nullità degli atti processuali agli artt. 156 – 162 c.p.c., l'inesistenza è qualcosa di più della medesima, l'irregolarità qualcosa in meno che si sostanzia, di regola, nell'assenza di conseguenze ove pure l'atto processuale non sia conforme al proprio modello legale. Ciò posto, nella specie, la S.C. esclude la ricorrenza del vizio denunciato, rilevando che nella sentenza impugnata erano state trascritte le conclusioni formulate dai ricorrenti mediante l'atto di impugnazione nonché richiamate le conclusioni definitive a «tutti i propri atti e conclusioni». Fondamentale, ai fini della decisione della Corte, è che i ricorrenti non avevano in concreto specificato quali ulteriori conclusioni avevano formulato nel corso del giudizio di gravame che non erano state esaminate dalla corte d'appello in quanto non trascritte nello svolgimento del processo. Osservazioni
La pronuncia in commento deve essere sostanzialmente condivisa. Peraltro le motivazioni poste a fondamento della stessa devono essere oggetto di peculiare attenzione, onde evitare di essere fuorviati dalla pur corretta massima tratta dalla stessa. Invero, il principio fondamentale che deve trarsi è che l'omessa o incompleta trascrizione delle conclusioni nel testo della sentenza non determina alcun vizio della stessa, bensì una mera irregolarità formale della decisione. Tale irrilevanza della mancata trascrizione delle conclusioni non sembra correlata, come pure potrebbe apparire, alla circostanza che la stessa non abbia finito con l'incidere sulla completa disamina da parte del giudice del merito delle domande ed eccezioni proposte dalle parti. Invero, è evidente che, laddove la sentenza non esamini compiutamente tutte le conclusioni proposte da ciascuna delle parti, incorrerà nel vizio di omessa pronuncia ovvero in quello di mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c. e ciò – naturalmente – a prescindere dalla circostanza che le stesse conclusioni siano state puntualmente trascritte nel testo della decisione. In effetti, è noto che il principio in questione deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione, attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell'ambito del petitum, rilevi d'ufficio un'eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall'attore, può essere sollevata soltanto dall'interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda, mentre non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante (Cass. civ., sez. lav., 11 giugno 2004, n. 11455). Peraltro, anche in un'ipotesi siffatta, venendo in rilievo un vizio di natura processuale ex art. 360 n. 4 c.p.c., appare condivisibile il rigetto del motivo di ricorso da parte della S.C. mediante la pronuncia in epigrafe, poiché le parti non avevano specificato, in concreto, quali tra le domande ed eccezioni proposte nel giudizio di appello non erano state considerate ai fini della decisione. È infatti ormai consolidato il principio – che trova, peraltro, da alcuni anni sicuro fondamento normativo nell'art. 360-bis, lett. b), c.p.c. – per il quale la nullità della sentenza per vizi processuali non rileva in sé e per sé, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando come la stessa sia stata in grado di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta (Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2015, n. 7086). |