Principio dell'equa distribuzione degli incarichi: se violato, giudice sanzionato

Redazione scientifica
20 Maggio 2016

Se il giudice nomina sempre gli stessi CTU, non rispettando il criterio dell'equa ripartizione degli incarichi tra iscritti ad albi, deve essere sanzionato.

Il caso. Un giudice presso il Tribunale di Locri viene sottoposto al giudizio della Sezione disciplinare perché incolpato della violazione degli artt. 1 e 2, lett. a), g) e n), d.lgs. 109 del 2006; si ritiene infatti responsabile della violazione delle norme di rotazione, tra il 2011 ed il primo trimestre del 2014, nella nomina dei CTU in controversie previdenziali. Il giudice aveva altresì ignorato i richiami del Presidente del Tribunale: su 2239 incarichi, tre consulenti ne avevano ricevuti 415, 252 e 177.

La Sezione disciplinare, accertata la sussitenza dell'illecito, gli commina come sanzione la perdita di un anno di anzianità.

Il magistrato ricorre ora in Cassazione basando la sua difesa su due motivi.

Art. 23 disp. att. c.p.c. Questa è la disposizione da cui parte il ricorrente per contestare la sanzione.Secondo la norma in esame, infatti, «Il presidente del tribunale vigila affinché, senza danno per l'amministrazione della giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti nell'albo in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall'ufficio, e garantisce che sia assicurata l'adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici».

Il ricorrente sostiene che sia errato fare riferimento all'art. 2 lett. g) del d.lgs. 109/2006, «trattandosi di norma che riguarda la decisione delle cause e non il modo di rendere il servizio giudiziario». I giudici della Suprema Corte ricordano che la normativa si riferisce proprio agli illeciti disciplinari di un magistrato nell'esercizio delle sue funzioni.

Limite del 10 per cento. Il magistrato sostiene che la misura del 10% debba riferirsi agli incarichi conferiti dall'intero ufficio, e quindi sia criterio da applicarsi da parte del Presidente del Tribunale in relazione agli incarichi complessivi. Una volta accertata la violazione del limite, solo a lui spetterebbe quindi la comunicazione ai giudici di doversi astenere da ulteriori nomine. Pur condividendo questa interpretazione, la Corte sottolinea che la violazione a lui imputata non riguarda il criterio del 10 per cento, bensì la violazione del principio dell'equa distribuzione degli incarichi. Non lo considera fondamento dei suoi motivi di impugnazione e ribadisce che l'unico criterio a cui fare riferimento è quello dell'equa distribuzione degli incarichi, in carico ai singoli magistrati. Impossibile da quantificare preliminarmente, «non è suscettibile di una predeterminazione numerico o percentuale», è invece valutabile caso per caso dal giudice.

Esclusione dell'interpretazione in buona fede. I due richiami del Presidente del Tribunale devono inoltre, a parere della Suprema corte, essere considerati come ineccepibili motivazioni a sostegno della decisione presa dalla Sezione disciplinare.

Consentono altresì di escludere la possibilità di un'autonoma interpretazione in buona fede, ex art. 2 lett. n) d.lgs. 109/2006, perché il magistrato avrebbe comunque dovuto attenersi «a seguito dell'esercizio del potere di vigilanza da parte del presidente del Tribunale che aveva impartito disposizioni sul servizio giudiziario, ad attenersi ad esse senza dar corso ad una arbitraria e non corretta interpretazione dell'art. 23 disp. att. c.p.c.».

La Corte respinge dunque il ricorso.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.