L’ultrattività della procura legittima il difensore a proporre appello in caso di morte della parte non dichiarata
06 Giugno 2016
Il caso. Diversi attori convenivano in giudizio una società al fine di veder accertato, per effetto dell'esercizio del riscatto agrario, il trasferimento in loro favore di alcuni terreni. Il Tribunale accertava il trasferimento del bene subordinandolo al pagamento del prezzo. Altra società agricola, cui nelle more era stato trasferito il bene a seguito di scissione dell'impresa principale, proponeva successiva azione nei confronti degli attori del primo giudizio perché fosse dichiarato il mancato avveramento della condizione, per non avere essi eseguito il pagamento del prezzo. Il Tribunale accoglieva la domanda. La pronuncia era poi impugnata dai soccombenti. Nel corso del giudizio di appello la società cessionaria chiedeva ed otteneva che il contraddittorio fosse integrato ai sensi dell'art. 331 c.p.c. nei confronti degli eredi di uno degli appellanti (ossia degli attori del primo giudizio e convenuti del secondo, medio tempore deceduto. Non essendo stato adempiuto l'ordine di integrazione del contraddittorio nel termine perentorio fissato, la corte d'appello dichiarava inammissibile l'impugnazione. La decisione veniva impugnata con successo dinanzi alla Corte di cassazione. Osservava la corte che la morte della parte verificatasi durante lo svolgimento del giudizio di primo grado, non essendo stata dichiarata o notificata ai sensi di legge, non aveva determinato alcun effetto interruttivo del processo, senza per ciò dispiegare effetti sulla posizione processuale della parte colpita dall'evento, con l'ulteriore conseguenza che il difensore di essa legittimamente aveva proposto appello in forza del principio di ultrattività del mandato alle liti.
Ultrattività della procura alle liti. La pronuncia in commento costituisce applicazione dell'importante principio affermato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione con sentenza n. 15295/2014 sul tema, di enorme impatto pratico, degli effetti dell'evento interruttivo verificatosi a carico della parte durante il giudizio di primo grado ma non dichiarato ovvero notificato. Come si sa, fino ad un dato momento, la SC aveva fatto ferma e costante applicazione del principio dell'ultrattività del mandato: se l'evento interruttivo che colpisce la parte non viene dichiarato, il suo difensore può tanto proporre l'impugnazione in appello, quanto ricevere l'atto di impugnazione eventualmente proveniente dalla controparte. Dopodiché l'indirizzo è stato ribaltato sulla base dell'idea che quella dell'ultrattività del mandato non fosse altro che una fictio iuris tale da dover cedere dinanzi alla realtà: al momento della proposizione dell'impugnazione — è stato quindi affermato — colui che impugna si trova nella stessa posizione in cui versa l'attore al momento dell'introduzione del giudizio e, perciò, è sottoposto all'onere di individuazione del «giusta parte»; sicché egli deve preventivamente verificare se la controparte è ancora in vita (ovvero se è divenuta maggiorenne, se è stata interdetta eccetera). Ciò con conseguenze potenzialmente disastrose, soprattutto in caso di notificazione della sentenza di primo grado e di conseguente decorrenza del termine breve, tale da imporre l'effettuazione di dette ricerche, talora assai difficoltoso, in un arco temporale ristrettissimo. Perciò Cass. n. 15295/2014 è tornata sui suoi passi ed ha riesaminato la questione dei poteri riconosciuti al difensore nel caso in cui la parte da lui rappresentata sia morta o abbia perso la capacità di stare in giudizio. Si è recuperato è ribadito il vecchio principio dell'ultrattività del mandato alle liti, sicché ove il difensore non notifichi o non dichiari l'evento interruttivo ai sensi dell'art. 300 c.p.c., continua a rappresentare la parte come se l'evento non si fosse verificato con conseguente stabilizzazione della posizione giuridica della parte rappresentata nella fase attiva del rapporto processuale, anche in quello di eventuale appello. Tale posizione giuridica è suscettibile di modificazione ove il procuratore che abbia proposto l'impugnazione avendone i poteri abbia dato notizia dell'evento interruttivo o in udienza o mediante notifica. La pronuncia ricorda che la fattispecie di cui all'art. 300 c.p.c. è di natura complessa in quanto perché si verifichi l'effetto interruttivo è necessario che una volta attuatosi l'evento se ne dia comunicazione in udienza ovvero si provveda alla sua notifica. La dichiarazione del procuratore così individuata ha natura negoziale essendo nei poteri del difensore provocare oppure no l'interruzione del processo. La sopravvivenza del mandato alle liti oltre la morte della parte consente al procuratore di stare validamente in giudizio, di rispettare il contraddittorio e quindi di non pregiudicare alcun diritto dei soggetti successori della parte. Pertanto, in mancanza di dichiarazione o notificazione si verifica il citato fenomeno dell'ultrattività della procura che, ove conferita con il potere d'impugnazione, conserva efficacia anche nel giudizio di appello. In buona sostanza quindi, quando la morte o l'evento astrattamente interruttivo intervengono nel corso del processo e nel suo pieno svolgimento viene riconosciuto al procuratore il potere di decidere se dichiarare o meno l'evento interruttivo; sicché, nel caso in cui il procuratore decida di non fare alcuna dichiarazione la posizione giuridica della parte da lui rappresentata sarà stabilizzata, nel senso che ci si atteggerà nel processo come se la parte fosse ancora vivente e pienamente capace. |