La cassazione con e senza rinvio delle sentenze del Consiglio di Stato
09 Giugno 2016
Massima
In caso di concorso bandito dal C.S.M. per l'attribuzione di un incarico giudiziario, travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che, adito in grado d'appello avverso una pronuncia di primo grado avente ad oggetto la legittimità o meno della delibera del CSM e, quindi, nell'esercizio dell'ordinaria cognizione di legittimità, operi direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera stessa e ne apprezzi la ragionevolezza, così sovrapponendosi all'esercizio della discrezionalità del CSM, espressione del potere, garantito dall'art. 105 Cost., di autogoverno della magistratura, invece di svolgere un sindacato di legittimità di secondo grado, anche a mezzo del canone parametrico dell'eccesso di potere quale possibile vizio della delibera stessa. La cassazione della sentenza impugnata va pronunciata con rinvio al Consiglio di Stato, come già affermato dalla Corte nelle ipotesi in cui si è ritenuto che il Consiglio di Stato, decidendo in sede di legittimità, abbia ecceduto dai limiti esterni del potere giurisdizionale. Il caso
In caso di concorso bandito dal Consiglio Superiore della Magistratura per l'attribuzione di un incarico giudiziario, travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che, adito in grado di appello contro una pronuncia di primo grado relativa alla legittimità o meno della delibera del C.S.M. – e quindi nell'esercizio della ordinaria cognizione di legittimità – effettui direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera stessa e ne apprezzi la ragionevolezza, sovrapponendosi per tal modo alla discrezionalità del C.S.M:, espressione del potere, costituzionalmente garantito dall'art. 105 Cost., di autogoverno della magistratura, invece di effettuare un sindacato di legittimità di secondo grado anche tramite il parametro dell'eccesso di potere quale possibile vizio della stessa delibera.
La questione
La questione in commento è la seguente: la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Consiglio di Stato o senza rinvio? Le soluzioni giuridiche
Secondo il parere della Corte, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al Consiglio di Stato ogni volta che il Consiglio di stato, decidendo in sede di legittimità, abbia ecceduto dai limiti del potere giurisdizionale; mentre la cassazione senza rinvio va limitata alla sola ipotesi in cui qualunque altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda. A norma dell'art. 382 c.p.c., la Corte di Cassazione, quando decide una questione di giurisdizione, statuisce sulla stessa, determinando, ove occorra, il giudice competente; ugualmente provvede quando cassa per violazione delle norme sulla competenza. Alla stessa Corte è affidato, altresì, il compito di cassare senza rinvio ove riconosca che il giudice del quale si impugna il provvedimento e qualunque altro giudice difettino di giurisdizione, ovvero laddove ritenga che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito. Invece nell'ipotesi della cassazione senza rinvio, qualora il giudice di cui si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettino di giurisdizione, così come qualora la Corte ritenga che la causa non poteva essere proposta né il processo proseguito. Sono casi assimilati dalla chiusura del processo atteso che non vi è alcuna possibilità, né necessità, di un giudizio di merito ex novo, ovvero della rinnovazione di quello originario dopo della cassazione della sentenza. Il concetto di giurisdizione che si radica sulle disposizioni in questione si sta vieppiù modificando unitamente al potere di controllo che la Cassazione rivendica. Nell'ottica tradizionale, tale controllo si limitava nell'attribuzione del potere di decidere alcune controversie a determinati giudici ma, ultimamente – non ultima la decisione in commento - la Suprema Corte lo ha esteso anche alle modalità di tutela dei diritti e degli interessi: ad una censura, cioè, sostanzialmente di “violazione di legge”, in quanto tale inerente al controllo che la Suprema Corte esercita nei confronti del giudice ordinario. Negli ultimi tempi il concetto di giurisdizione è stato ulteriormente esteso dalle Sezioni Unite, che hanno iniziato a cassare le decisioni del Consiglio di Stato rinviando allo stesso Consiglio di Stato. Sempre le Sezioni Unite hanno affermato che a norma dell'art. 382 c.p.c., e a seguito dell'entrata in vigore delle norme che attuano il principio della translatio iudicii, la cassazione senza rinvio deve essere disposta soltanto quando non solo il giudice adito, ma qualsiasi altro giudice, sia privo di giurisdizione sulla domanda; ne consegue che non può farsi luogo a tale tipo di pronuncia tutte le volte in cui il giudice che ha emesso la sentenza cassata sia dotato di potestas iudicandi e la motivazione della cassazione sia soltanto l'errata estensione dell'esercizio della giurisdizione stessa. Osservazioni
Alla pronuncia regolata dal comma 1 dell'art. 382 c.p.c., si può pervenire o in sede di istanza di regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., ovvero quando le S.U. cassano la sentenza ex art. 360, n. 1, c.p.c., per vizi che derivano dalla violazione delle norme sulla giurisdizione. Ciò può verificarsi, in particolare, quando il giudice ordinario abbia erroneamente affermato la propria giurisdizione, ovvero la abbia, sempre erroneamente, declinata. Si tratta sempre di ipotesi di error in procedendo, rispetto al quale la Corte è anche giudice del fatto processuale, ossia le spetta il potere di provvedere all'indagine sul fatto, entro i limiti che derivano dalle circostanze allegate agli atti e ai documenti acquisiti in giudizio. Sicché, ad es., la giurisprudenza ha specificato che il divieto di produrre nuovi documenti innanzi alla Corte, sancito dall'art. 372 c.p.c., non è invocabile per il regolamento preventivo di giurisdizione. Inoltre, dato che l'art. 37 c.p.c. attribuisce al giudice il potere di rilevare anche d'ufficio la questione in ogni stato e grado del giudizio, gli conferisce anche il potere di decidere su di essa indipendentemente dal rilievo di parte, salva l'ipotesi in cui si sia formato il giudicato implicito sulla questione di giurisdizione. Quindi in deroga al divieto di cui all'art. 372 c.p.c., questa prova può essere fornita anche dinanzi al giudice di legittimità, il quale deve in ogni caso garantire il rispetto del contraddittorio eventualmente avvalendosi dei poteri ad essa riconosciuti dall'ultima versione dell'art. 384, comma 3, c.p.c.. Tuttavia, il sistema del rilievo anche officioso costruito dall'art. 37 c.p.c. deve essere coordinato con il sistema delle impugnazioni; il rilievo d'ufficio è dunque precluso allorché la pronuncia affermativa del giudice a quo non sia stata impugnata, con il conseguente formarsi del giudicato interno sulla questione (Cass. civ., sez. U., 21 aprile 2006, n. 9337; in precedenza v. Cass. civ., 9 febbraio 1990, n. 942; Cass. civ., 01 marzo 1988, n. 2193. In dottr. cfr. Proto Pisani, In tema di giudicato interno, giudicato esterno e preclusione, in Foro it., 1986, I, 3009 nonché R. Vaccarella, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e translatio iudicii, in Giur. it., 2009, 412 e ss., spec. 406). In particolare, estendendo il discorso al tema controverso dei limiti tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa, la soluzione c.d. del giudicato implicito sulla giurisdizione, a seguito della pronunzia di una sentenza di merito che non sia stata impugnata sul punto, per quanto controversa, è stata in ultimo recepita anche nel codice del processo amministrativo (art. 9 c.p.a.). È, evidentemente, un epocale cambiamento anche rispetto all'orientamento dominante presso il Supremo Collegio negli anni '60 del secolo scorso – e, come è noto, tenacemente avversato dal Consiglio di Stato – secondo cui la pronuncia esplicita affermativa della giurisdizione precludeva, ove non espressamente impugnata, l'esercizio del potere officioso di rilevazione del difetto di giurisdizione per l'esistenza di un giudicato interno esplicito sul punto. Ora, invece, la preclusione al rilievo del difetto di giurisdizione discende dalla mancata contestazione di una sentenza di merito, quantunque quest'ultima non abbia statuito espressamente in senso affermativo sulla giurisdizione; si parla quindi di giudicato interno implicito sulla giurisdizione. Seppur si verta in tema di una modifica generale, essa sembra riflettersi soprattutto sui rapporti fra Giudice speciale amministrativo e Corte di cassazione, poiché le decisioni del Consiglio di Stato sono ricorribili per cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. Come già anticipato in premessa, il concetto di giurisdizione che si incentra su queste disposizioni si sta vieppiù modificando insieme con il potere di controllo che la Cassazione rivendica. Nell'ottica tradizionale tale controllo si limitava nell'attribuzione del potere di decidere alcune controversie a determinati giudici ma di recente la Suprema Corte lo ha esteso anche alle modalità di tutela dei diritti e degli interessi: ad una censura, cioè, sostanzialmente di «violazione di legge», in quanto tale inerente al controllo che la Suprema Corte esercita nei confronti del giudice ordinario ex art. 111, comma 7, Cost.. Le Sezioni Unite in particolare, come già anticipato, affermano che a norma dell'art. 382 c.p.c., e dopo l'entrata in vigore delle norme sulla translatio iudicii, la cassazione senza rinvio deve essere disposta soltanto quando non solo il giudice adito, ma qualsiasi altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda; ne consegue che non può farsi luogo a tale tipo di pronuncia tutte le volte in cui il giudice che ha emesso la sentenza cassata sia dotato di potestas iudicandi, e la motivazione della cassazione sia soltanto l'errata estensione dell'esercizio della giurisdizione stessa (Cass. civ., sez. U., 17 febbraio 2012, n. 2312, inin Dir. proc. amm., 2012, 1583 ss., con note di Sassani, Sindacato sulla motivazione e giurisdizione: complice la translatio, le Sezioni Unite riscrivono l'art. 111 Cost.e di Allena, Il sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche complesse: orientamenti tradizionali versus obblighi internazionali.). La dottrina si è giustamente – e retoricamente – domandata in qual modo una «sentenza del genere si differenzi da quella che una qualsiasi sezione della Corte avrebbe potuto emettere a conclusione di un (più che) rigoroso scrutinio di una qualsiasi sentenza di una qualsiasi Corte d'appello impugnata per i motivi di cui ai nn. 3 e (soprattutto) 5 dell'art. 360 c.p.c.». È molto rilevante anche il fatto che la Cassazione talora riconduca (Cass. civ., sez. U., 24 luglio 2009, n. 17349; ma in senso contrario, nella stessa vicenda, Cass. civ., sez. U., 27 gennaio 2012, n. 1149) alla questione di giurisdizione anche il sistema delle disposizioni che disciplinano il rilievo della medesima questione e l'irreversibilità della relativa decisione, pur nella forma del giudicato «implicito». Così, tuttavia, il Giudice di legittimità si avoca un controllo non più limitato alla giurisdizione in senso proprio, ma esteso agli eventuali errores in procedendo commessi dal Consiglio di Stato; non è infatti revocabile in dubbio che il rilievo dell'intervenuta formazione del giudicato implicito vada a riverberarsi e a fondersi nel sindacato sull'errore in procedendo. Inoltre la Corte, nel momento in cui si auto-attribuisce il potere di sindacare la fondatezza di un motivo relativo alla giurisdizione e considerando la formazione o meno di un giudicato implicito sulla giurisdizione, non fa altro che occuparsi dell'intero procedimento avutosi dinanzi al Consiglio di Stato. Certo la situazione sarebbe più semplice se non vi fosse un evidente fattore di complicazione: non vi è infatti, allo stato attuale, un indirizzo definito ed univoco, atteso che la Corte di cassazione ora ritiene il giudicato implicito come «attinente» alla questione di giurisdizione, ora lo valuta quale error in procedendo. Non può quindi che concordarsi con chi ha rilevato che in questo modo il criterio del giudicato implicito diventa un passepartout, data la sua altalenanza tra sindacabilità e insindacabilità. La sentenza ben si inscrive nell'ambito applicativo dell'art. 382 c.p.c. Infatti, in Cass. civ., sez. U., n. 2312/2012 , la Corte imputava al Consiglio di Stato di essere «incorso in un eccesso di potere giurisdizionale laddove aveva qualificato come ‘inattendibili' le valutazioni della stazione appaltante circa la presunta inaffidabilità della impresa esclusa, in tal modo sostituendosi all'apprezzamento discrezionale della p.a.». Però, nonostante il rilevato eccesso di potere giurisdizionale, la Suprema Corte, anziché cassare senza rinvio la decisione del Consiglio di Stato, cassava con rinvio, esercitando il «più schietto controllo di merito su una decisione del Consiglio di Stato» (Sassani, vedi estremi in Riferimenti Bibliografici). Nella pronuncia, parallelamente, si afferma che, quando il legislatore riconosce alla pubblica amministrazione – nella specie al CSM – un'ampia discrezionalità, in particolare nell'assegnazione di incarichi direttivi e semidirettivi, a maggior ragione il sindacato che il giudice amministrativo deve compiere sulle motivazioni di questo apprezzamento deve contenersi sul piano del «sindacato parametrico (e quindi esterno) della valutazione degli elementi di fatto compiuta dalla p.a. e non può pervenire ad evidenziare una diretta «non condivisibilità» della valutazione stessa». L'adozione del criterio della «non condivisione» nella pronuncia così come nella precedente del 2012 a parere della Corte si traduce non già in un errore di giudizio bensì in uno sconfinamento nell'ambito della discrezionalità amministrativa e, pertanto, in un superamento dei limiti esterni della giurisdizione. Mentre, a parere della Corte, questo criterio discretivo, nell'ambito della giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, rileva soprattutto quando l'atto della p.a. sia impugnato deducendo un vizio di eccesso di potere, invece, nella giurisdizione di ottemperanza il potere giurisdizionale del giudice amministrativo si estende anche al merito con possibilità di conformare l'azione della p.a. in ottemperanza al giudicato amministrativo; è, quindi, decisivo nel ragionamento della Corte stabilire se ciò che viene sindacato è il modo in cui il potere di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo – fattispecie che rientra nei limiti interni della giurisdizione – oppure il fatto che tale potere, nella sua peculiare estensione, non spettava proprio a tale giudice (Cass. civ., sez. U., 31 marzo 2015, n. 6494; Cass. civ., sez. U., 26 aprile 2013, n. 10060; Cass. civ., sez. U., 3 febbraio 2014, n. 2289, tutte richiamate in motivazione). Con la conseguenza che, nel caso di specie, la Corte cassa la sentenza impugnata con rinvio al Consiglio di Stato facendo rientrare la fattispecie in quelle eccezionali ipotesi in cui si è ritenuto che il Consiglio di Stato, decidendo in sede di legittimità, abbia travalicato i limiti esterni del potere giurisdizionale e per tal modo si conforma alla precedente pronuncia del 2012, ritenendo, altresì, allo stesso modo, che la cassazione senza rinvio sia limitata solo all'ipotesi in cui qualunque altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda. Qualche cenno va fatto rispetto al vincolo che la decisione delle S.U sulla giurisdizione pone rispetto al giudice del merito chiamato a decidere della controversia. Si assegna la efficacia panprocessuale ai provvedimenti della Cassazione che statuiscono sulla giurisdizione o sulla competenza (art. 382, commi 1 e 2 c.p.c. e 310 c.p.c.). La medesima efficacia viene assegnata alla pronuncia con cui la Corte di cassazione enuncia il principio di diritto ex art. 393, ultimo periodo, c.p.c., poiché in caso di estinzione del giudizio, e di successiva riproposizione della nuova causa, anche se identica rispetto alle parti in senso sostanziale, quella decisione sarà vincolante per il giudice chiamato a pronunziarsi. La diversità tra la efficacia panprocessuale ed il giudicato sostanziale si rinviene da un lato nella inidoneità di quella efficacia, contrapposta alla idoneità del giudicato sostanziale, di resistere allo ius superveniens retroattivo, comprese le sentenze di incostituzionalità; e, dall'altra parte, rispetto all'oggetto specifico limitato alla questione, che la caratterizza, solo la efficacia panprocessuale è di tipo negativo, mentre al giudicato è comunemente associato un vincolo positivo. Con la conseguenza che, laddove venisse instaurato un processo sul medesimo diritto fra le stesse parti, quella efficacia potrebbe essere giustamente richiamata per impedire una nuova decisione sulla questione già definita a suo tempo. C. ASPRELLA, sub art. 382 c.p.c., in Commentario del Codice di procedura civile, a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2012; A. PANZAROLA, La Cassazione civile giudice del merito, voll. I e II, Torino, 2005; PROTO PISANI, In tema di giudicato interno, giudicato esterno e preclusione, in Foro it., 1986, I, 3009; R. VACCARELLA, Rilevabilità del difetto di giurisdizione e translatio iudicii, in Giur. it., 2009, 412 e ss., spec. 406; R. VACCARELLA, I confini della giurisdizione (tra giudice ordinario e giudice amministrativo), in www.judicium.it.
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