Il processo sommario di cognizione tra presente e prospettive future
09 Giugno 2016
Il quadro normativo
Il rito sommario di cognizione è stato introdotto nel nostro ordinamento processuale dalla l. 18 giugno 2009, n. 69 che, inserendo all'interno del codice di rito i nuovi artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater c.p.c., lo ha configurato come vera e propria alternativa rispetto al processo ordinario, tanto da includerlo tra i modelli generali a cui ricondurre la pluralità dei riti civili, nell'opera di semplificazione culminata nell'emanazione del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 (appunto, di semplificazione dei riti civili). A seguito, quindi, dell'entrata in vigore del d.lgs. 150/2011, il rito sommario di cognizione è modulo processuale obbligatorio per talune categorie di procedimenti (individuate dagli artt. 14 e ss. del menzionato testo normativo), mentre per gli altri procedimenti, esclusi quelli in cui il Tribunale giudica in composizione collegiale, l'instaurazione di tale rito è rimessa all'iniziativa della parte attrice, che può scegliere il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. per l'introduzione della domanda, piuttosto che notificare il tradizionale atto di citazione di cui all'art. 163 c.p.c. Mentre, tuttavia, nei casi di cui agli artt. 14 e ss. d.lgs. 150/2011 il processo deve necessariamente svolgersi con il rito sommario di cognizione, non essendo previste possibilità di mutamento del rito rispetto alla scelta fatta dal legislatore, in caso di rito sommario scelto dalla parte è rimessa alla valutazione del giudice la prosecuzione del giudizio nelle forme di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c., posto che ai sensi del comma 3 dell'art. 702-ter c.p.c. il giudice fissa l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. (e, quindi, dispone lo svolgimento del processo con rito ordinario) se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria. Occorre, poi, ricordare che il d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (convertito con modifiche dalla l. 12 settembre 2014, n. 162, ha introdotto all'interno del codice di procedura civile un nuovo art. 183-bis, ai sensi del quale nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica introdotte a decorrere dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della l. 162/2014, il giudice nell'udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che il processo prosegua a norma dell'art. 702-ter c.p.c., invitando le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza (ovvero in altra udienza, su richiesta di parte) i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria.
La prima problematica che si è posta con l'introduzione del rito sommario di cognizione ha riguardato la natura della nuova tipologia procedurale: il nostro ordinamento, infatti, già conosceva riti «sommari», rispetto ai quali, però, la sommarietà era riferita alla cognizione, nel senso che si trattava (e si tratta) di procedimenti caratterizzati da una delibazione non piena delle domande e delle eccezioni delle parti, che vengono valutate all'esito di un'istruttoria parziale e definite con provvedimenti interinali, suscettibili di acquistare efficacia di giudicato solo in caso di mancata reazione della parte che ne è destinataria (come nel caso del procedimento per decreto ingiuntivo o della convalida di licenza per finita locazione o sfratto per morosità) o destinati ad essere sostituiti all'esito di un ordinario giudizio di merito che le parti hanno la facoltà o l'obbligo di promuovere (come nel caso dei procedimenti cautelari o possessori). Nel caso, invece, del rito di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c., per come può dirsi ormai pacifico in dottrina e in giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. VI, ord., 14 maggio 2013 n. 11465; Cass. civ., sez. un., ord.,10 luglio 2012 n. 11512), la sommarietà è da riferirsi non al profilo della cognizione, bensì a quello dell'istruzione, nel senso che il rito in esame si caratterizza per una cognizione piena delle domande e delle eccezioni delle parti e postula unicamente la possibilità di uno svolgimento in forma semplificata dell'istruttoria, tale da garantire una generale accelerazione dei tempi del giudizio (finalità, questa, che sta alla base della sua stessa introduzione nel nostro ordinamento processuale). Tale conclusione appare rafforzata proprio dall'entrata in vigore del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 che ha assoggettato obbligatoriamente al rito sommario (senza, cioè, possibilità di conversione del rito da parte del tribunale, a differenza di quanto previsto dall'art. 702-ter c.p.c.) talune procedure (come ad esempio quella destinata alla liquidazione degli onorari degli avvocati per prestazioni in materia civile o le opposizioni ai decreti di pagamento per spese di giustizia), identificate, per come evincibile dalla relazione illustrativa, sulla base del carattere di semplificazione della trattazione o dell'istruzione (e non, quindi, della cognizione). Appare evidente infatti che, ove il rito in oggetto fosse assimilabile alle procedure «sommarie», si avrebbe una macroscopica violazione degli artt. 3 e 24 Cost., precludendosi alle parti, nei procedimenti di cui agli artt. 14-30 d.lgs. n. 150/2011, le facoltà proprie della plena cognitio. Le peculiarità del rito sommario di cognizione rispetto al rito ordinario riguardano, quindi, oltre alla fase di introduzione del giudizio (posto che il rito ordinario si introduce con la notifica di un atto di citazione, mentre il rito sommario si introduce con il deposito di un ricorso, a fronte del quale il giudice fisserà l'udienza di comparizione delle parti), la fase istruttoria in quanto, per come già osservato, ove occorra un'istruzione non sommaria del processo è preclusa, ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., la trattazione del processo con tale modulo procedurale e il giudice deve disporre il mutamento del rito in ordinario. Occorre, quindi, chiedersi quando ci si trovi in presenza di un'istruzione non sommaria. Sul punto, all'indomani dell'entrata in vigore della riforma del 2009, sono state avanzate diverse ipotesi e, in particolare, si era paventato che il nuovo rito potesse trovare applicazione in relazione alle sole cause «semplici», in cui, cioè, apparisse manifestamente fondata o manifestamente infondata la domanda, senza, quindi, sostanzialmente necessità di istruzione (sono andati in tale direzione anche taluni protocolli, ad esempio il tribunale di Verona). Successivamente, la giurisprudenza di merito si è assestata nel senso di valutare l'ammissibilità il rito sommario a seconda della complessità dell'istruzione da svolgere, indipendentemente dalla complessità delle questioni giuridiche da trattare: si presteranno, pertanto, a tale modulo procedurale non solo le cause «semplici» prima ricordate, ma anche quelle giuridicamente complesse, caratterizzate, però, da un'istruttoria snella, destinata a concludersi nel giro di una o due udienze (perché ad esempio devono essere sentiti pochi testi su poche circostanze o deve essere espletata unicamente una CTU) o implicanti unicamente la necessità di risolvere questioni di diritto. La snellezza dell'istruttoria deve, inoltre, essere verificata non in astratto (con riferimento ai mezzi di prova indicati dalle parti), bensì in concreto, in relazione alle prove che il giudice ritenga ammissibile e rilevanti e, quindi, effettivamente da assumere; ciò al fine di evitare che il convenuto possa effettuare richieste istruttorie dilatorie, finalizzate unicamente ad ottenere il mutamento del rito. Sarà, invece, bisognevole di una istruttoria non sommaria la causa che richieda l'audizione di molti testi, su molti capitoli di prova, ovvero indagini peritali particolarmente lunghe e complesse. In questo caso il giudice fisserà udienza ex art. 183 c.p.c. disponendo il mutamento del rito con ordinanza non impugnabile e invitando le parti alla regolarizzazione fiscale degli atti, in particolare per quanto riguarda l'importo del contributo unificato che dovrà essere integrato. In questo caso il processo proseguirà nelle forme ordinarie, per cui le parti potranno chiedere la concessione dei termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., il giudice ammetterà le prove ritenute rilevanti e all'esito dell'istruttoria il giudizio sarà definito con sentenza. Se il giudice decide di proseguire nelle forme del rito semplificato, l'istruttoria sarà condotta ai sensi del comma 5 dell'art. 702-ter c.p.c.. il quale dispone che «alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto». La formulazione della norma ricalca quella adottata dall'art. 669-sexies c.p.c. per l'istruzione del procedimento cautelare, salvo la sostituzione del termine «indispensabili» con quello «rilevanti» riferito agli atti di istruzione da compiere. Tale differenza non è di poco conto ed è giustificata proprio dalla diversa finalità del procedimento: quello cautelare, finalizzato ad un provvedimento che non ha caratteri di giudicato; quello sommario, finalizzato ad un provvedimento che può assumere i caratteri del giudicato e postula, invece, un accertamento approfondito della fondatezza delle domande e delle eccezioni proposte . Potranno, quindi, essere omesse solo le formalità che non siano necessarie per la piena realizzazione del diritto di difesa. Questo ha portato, ad esempio, i giudici di merito e i primi protocolli a stabilire la necessità della capitolazione delle prove ad opera delle parti e di indicazione specifica del nome dei testi (senza possibilità di portare liberamente, ad esempio, informatori come nei giudizi di natura cautelare), nonché la piena applicabilità delle norme procedurali sull'incapacità a testimoniare e quelle sostanziali sui divieti di prova tramite testimonianza (art. 2721 e ss c.c.). Allo stesso modo dovranno essere capitolate le circostanze oggetto di interrogatorio formale e di giuramento della parte e la c.t.u. sarà caratterizzata dalla formulazione dei quesiti nel contraddittorio delle parti. La deformalizazione potrà essere attuata, invece, in relazione a quelle formalità che non siano essenziali al contraddittorio (ad es. non necessarietà di citare a mezzo di ufficiale giudiziario o raccomandata i testi senza incorrere in decadenza; omissione delle forme e dei termini del sub procedimento di cui agli artt. 195 e ss. c.p.c. e possibilità per il CTU di giurare all'atto del deposito della perizia direttamente in udienza, ove i quesiti siano stati formulati, nel contraddittorio delle parti, nell'ordinanza che dispone la consulenza). Altra peculiarità del rito sommario di cognizione rispetto a quello ordinario riguarda, infine, la fase decisoria, in quanto, all'esito dell'istruttoria il processo introdotto e istruito con il rito sommario di cognizione (o diventato tale per scelta del giudice ex art. 183-bis c.p.c.) è definito con ordinanza, non con sentenza. L'ordinanza di cui all'art. 702-ter, comma 5, c.p.c., invero, malgrado la forma, ha contenuto di sentenza, tant'è che è idonea al giudicato, contiene la regolamentazione delle spese di lite e costituisce titolo per la trascrizione (ove sia stata trascritta la domanda) e per l'iscrizione di ipoteca. L'ordinanza, inoltre, è provvisoriamente esecutiva ove contenga statuizioni di natura condannatoria e legittima, pertanto, l'eventuale esecuzione forzata nei confronti del soccombente. Stante, però, la scelta formale del legislatore, il provvedimento conclusivo del giudizio potrà essere succintamente motivato e potrà essere redatto direttamente a verbale ovvero su foglio separato depositato in cancelleria all'esito di riserva assunta dal giudice, con l'omissione del subprocedimento di cui all'art. 190 c.p.c. (che prevede lo scambio tra le parti di comparse conclusionali e repliche). Le prospettive di riforma
Il disegno di legge di riforma del processo civile (n. 2953-A) approvato il 10 marzo 2016 dalla Camera dei Deputati e ora all'esame del Senato incide profondamente sulla disciplina del rito sommario di cognizione che, anzitutto, anche a livello terminologico, viene rinominato «rito semplificato di cognizione di primo grado» e diventa obbligatorio per tutte le cause in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica, con esclusione di quelli già assoggettati al rito lavoro. Si prevede, in particolare, nell'ultimo testo approvato e sempre in una prospettiva di speditezza del processo civile, il conferimento di delega al Governo per la collocazione del «rito semplificato di cognizione di primo grado» nell'ambito del libro secondo del codice di procedura civile, con previsione, altresì, che l'udienza di prima comparizione delle parti sia fissata dal giudice in un «congruo termine», comunque non superiore a tre mesi, e con assegnazione al giudice, nel rispetto del principio del contraddittorio, della facoltà di fissare termini perentori per la precisazione o modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni, tenuto conto delle domande e delle eccezioni proposte dalle altre parti, nonché per l'indicazione dei mezzi di prova diretta e contraria e per le produzioni documentali. Si esclude, invece, il potere del giudice di disporre il passaggio al rito ordinario, anche, quindi, a fronte delle cause che richiedano un'istruzione non sommaria, contrariamente a quanto oggi previsto dall'art. 702-ter c.p.c.. Il rito sommario continua, invece, a rimanere precluso per le cause soggette a riserva di decisione collegiale, per cui si prevede come obbligatorio il rito ordinario. Si prevede, infine, che il rito semplificato di cognizione di primo grado sia definito con sentenza – quindi, non più con ordinanza come disposto dall'art. 702-ter c.p.c. - contenente una concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Quanto, invece, al giudizio di appello, si estende la declaratoria di inammissibilità dell'appello di cui all'art. 348-bis c.p.c. anche all'appello proposto avverso un provvedimento emesso a definizione di un rito semplificato di cognizione e si stabilisce che anche nel procedimento di appello proposto avverso il provvedimento con cui è stato definito un rito semplificato di cognizione, i nuovi mezzi di prova e i nuovi documenti possono essere ammessi esclusivamente quando la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (oggi, invece, all'esito delle modifiche apportate dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, nel giudizio di appello avverso l'ordinanza emessa a definizione di un processo svoltosi con rito sommario di cognizione sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione, non soltanto qualora la parte dimostri di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile).
In conclusione
Il disegno di legge di riforma del processo civile evidenzia come il legislatore punti sul rito sommario di cognizione per risolvere i problemi di durata del processo civile, caratterizzandosi tale modulo procedurale per la riduzione all'essenziale delle formalità processuali e per la sostanziale eliminazione di alcuni passaggi dispersivi in un'ottica di economia processuale, quali ad esempio lo scambio delle memorie ex art. 183 c.p.c. o i termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e repliche. Proprio il progetto di riforma, tra l'altro, facendo seguito alle scelte di semplificazione già operate dal d.lgs. n. 159/2011, conferma la configurazione del rito sommario di cognizione come giudizio a cognizione piena, tanto da prevedere lo svolgimento con tale modulo procedurale di qualsivoglia controversia civile (salvo quelle soggette al rito lavoro e quelle soggette a riserva di collegialità) e indipendentemente dalla complessità dell'istruttoria da svolgere, che oggi, invece, sulla base di quanto disposto dall'art. 702-ter c.p.c., segna il vero punto di discrimen con il rito ordinario.
|