La comunicazione del decreto di condanna all'equa riparazione segna il dies a quo per la decorrenza del termine di inefficacia

10 Aprile 2017

La questione affrontata dalla Cassazione riguarda l'individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine di trenta giorni previsto dall'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001.
Massima

Ai fini della inefficacia del decreto ex art. 5, comma 2, l n. 89/2001 – per omessa notifica nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento - deve farsi riferimento alla comunicazione del decreto stesso alla parte ricorrente.

Il caso

Il ricorrente chiedeva alla Corte d'appello competente di liquidare le somme necessarie per ristorarlo del pregiudizio derivante dalla irragionevole durata di un giudizio. Con decreto del consigliere delegato la domanda era accolta. Il Ministero intimato, quindi, proponeva opposizione lamentando la notifica tardiva ben oltre il termine decadenza previsto dallo stesso art. 5, l. n. 89/2001.

La Corte d'appello, in composizione collegiale, accoglieva con decreto l'opposizione dichiarando inefficace il decreto, dal momento che la notifica era avvenuta il 29 giugno 2015, mentre il decreto monocratico era stato emesso il 18 maggio 2015 a carico del Ministero della Giustizia.

I giudici di legittimità, con la pronuncia in commento, annullano la statuizione dei giudici di merito sul rilievo che il decreto era stato comunicato a mezzo pec alla parte ricorrente il 28 maggio 2015 e quest'ultima l'aveva, a sua volta, notificato all'Avvocatura dello Stato il 29 giugno 2015 (il giorno di scadenza del termine di 30 gg., 27 giugno, cadendo di sabato, con conseguente slittamento dell'ultimo giorno utile al lunedì successivo: art. 155 c.p.c., commi 4 e 5).

La questione

La questione in esame è la seguente: qual è il dies a quo per la decorrenza del termine di trenta giorni previsto dall'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001 per la inefficacia del decreto per omessa notifica?

La soluzione giuridica

Il diritto all'equa riparazione spetta a chi ha subito un danno a causa del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (artt. 6, par. 1, 13, 35 e 41), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata in Italia dalla l. 4 agosto 1955, n. 848, in quanto parte del procedimento che ha registrato quella violazione. Vi sono state poi modifiche normative alla legislazione nazionale con la legge 7 agosto 2012, n. 134, e la Legge di Stabilità 2016.

Il sistema legislativo nazionale per l'equa riparazione conseguente a irragionevole durata dei processi va interpretato in modo da garantire una tutela effettiva sia al termine di durata ragionevole dei procedimenti (secondo la nozione elaborata dalla Corte di Strasburgo) sia al diritto all'equa riparazione, in caso di sua violazione.

Come noto, il diritto all'equa riparazione di cui all'art. 2 l. n. 89/2001, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall'importanza sociale della vicenda, salvo che l'esito del processo presupposto non abbia un riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l'irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell'infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità, e, di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e, perciò, costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell'indicato danno (Cass. n. 7139/2006; Cass. n. 21088/2005; Cass. n. 19204/2005).

Con la novella del 2012 della l. n. 89/2001, il legislatore ha introdotto un meccanismo simile a quello del procedimento ingiuntivo, eppure allo stesso non identico, facendo espresso richiamo al codice di procedura civile solo nei casi in cui la disciplina dello stesso sia estensibile.

I giudici di legittimità partendo da tale premessa hanno altresì tratto la conclusione secondo cui il rimedio della tempestiva opposizione ai sensi della l. n. 89/2001, di cui all'art. art. 5-ter, è da ritenersi applicabile anche al fine di far dichiarare la inefficacia del decreto, emesso dal Presidente della Corte d'appello o da un consigliere da lui delegato, nel caso in cui il decreto stesso non venga notificato entro il termine di trenta giorni dal suo deposito ovvero, nel caso in cui il decreto non venga depositato, entro il termine di trenta giorni dal deposito del ricorso, di cui all'art. 3, comma 4, della medesima legge, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione dell'avvenuto deposito dello stesso (Cass. n. 5656/2015).

Pertanto, l'art. 5 legge Pinto, sebbene abbia disegnato un meccanismo che per larga parte richiama quello tipico del procedimento ingiuntivo, se ne discosta laddove prevede espressamente che la tardiva notificazione, oltre a determinare l'inefficacia, implica anche l'improponibilità della domanda.

Il mancato riferimento esplicito alla natura perentoria del termine appare altresì superfluo in ragione della espressa previsione di inefficacia del decreto e di conseguente non riproponibilità della domanda che vale ad attribuire in facto il carattere della perentorietà al termine di trenta giorni, proprio in ragione delle gravi conseguenze che scaturiscono dal suo mancato rispetto.

Alla conclusione ora esposta deve poi aggiungersi la considerazione che, come si ricava dalla disciplina del procedimento disegnato dalla l. n. 89/2001, anche allorquando il decreto sia stato emesso per una somma inferiore a quella domandata nel ricorso, il ricorrente è posto davanti ad un'alternativa processuale, potendo provvedere comunque alla notificazione del provvedimento, il che normativamente implica però acquiescenza dell'istante alla pronuncia di rigetto parziale della domanda per la parte non accolta, precludendogli la possibilità di insistere nella sua originaria pretesa, proponendo altresì opposizione a norma della L. n. 89/2001, art. 3-ter, (per una diversa conclusione in relazione al procedimento per decreto ingiuntivo ex art. 633 c.p.c. e ss.: Cass. n. 7003/1993). In alternativa può, come precisa pure l'art. 3, comma 6, l. n. 89/2011, (

«se il ricorso è in tutto o in parte respinto la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma dell'art. 5-ter»), proporre opposizione avverso il decreto che abbia parzialmente accolto il ricorso, al fine di ottenere dal collegio della Corte d'Appello il riconoscimento altresì dei capi di domanda non accolti, senza dover in tal caso procedere alla notificazione del ricorso e del decreto, che renderebbe improponibile l'opposizione stessa, e dovendo, piuttosto, depositare l'atto di opposizione nel termine di cui all'art. 5 ter, comma 1.

Osservazioni

L'applicazione della normativa ex lege Pinto affanna quotidianamente il sistema giustizia impegnato ad adottare pronunce aventi ad oggetto chiarimenti di natura sostanziale o processuale. Lo successione di interventi legislativi volti ad ostacolare l'accesso alla via del ristoro nei confronti dello Stato per le lungaggini dei processi ha prodotto un risultato opposto a quello sperato dal legislatore.

La novella del 2012 ha introdotto una chiara differenza di disciplina tra il procedimento per la riparazione per irragionevole durata del processo e quello monitorio disciplinato dal codice di rito, e soprattutto in ragione delle espressa previsione della non riproponibilità della domanda che sia stata accolta con il decreto del quale sia mancata la notifica nel termine di trenta giorni.

Invero, la parte che ha visto accolta la propria domanda deve comunque provvedere alla notifica del decreto nel termine imposto dalla legge, potendo al più valutare, ove l'accoglimento non si stato totale, se proporre opposizione nel termine di cui all'art. 5-ter, ove si ritenga insoddisfatta della prima decisione presa.

Laddove invece ritenga che le proprie richieste siano state integralmente soddisfatte ovvero ove reputi di dovere prestare sostanziale acquiescenza all'accoglimento parziale, e in ogni caso onerata della notifica di ricorso e decreto nel termine di cui all'art. 5, comma 2.

Peraltro, qualora la notifica sia avvenuta oltre il termine, la conseguenza delle impossibilità di una successiva ripresentazione della domanda indennitaria - a seguito della dichiarazione di inefficacia del decreto in quanto tardivamente notificato- esime il giudice dell'opposizione dal dover procedere all'esame del merito nonché esclude che l'opponente debba anche avanzare doglianze nel merito.

Né la evidenziata differenza di disciplina tra il procedimento in esame ed il tradizionale procedimento monitorio può ritenersi idonea a giustificare eventuali dubbi di costituzionalità, posto che alla parte che abbia visto in tutto o solo in parte accolta la domanda di indennizzo, oltre ad essere stata apprestata dall'ordinamento una forma di tutela rappresentata dalla opposizione che consente di sottoporre le proprie richieste alla decisione del collegio, è stato assegnato per la notifica un termine di trenta giorni che non si palesa ingiustificatamente restrittiva.

La pronuncia in commento ha il merito di ridurre le eventuali difficoltà che la parte possa incontrare nel rispettare il termine previsto dall'art. 5 l. n. 89/2001, ancorando l'effettiva decorrenza – con evidente sbarramento al riconoscimento dell'indennizzo – alla comunicazione del decreto alla parte interessata e così superando l'angusta formulazione letterale della detta norma laddove sembrerebbe effettivamente riferirsi, invece, alla data del deposito del provvedimento in cancelleria.

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