Chi è tenuto ad adempiere l'obbligo di pagare il c.t.u.?
10 Maggio 2016
Massima
Il consulente tecnico d'ufficio che abbia inutilmente chiesto il dovuto in base al decreto di liquidazione provvisoria del compenso può esigerne il pagamento solidale dalle parti a prescindere dalla diversa ripartizione della spesa contenuta nella sentenza che ha definito il giudizio, in quanto, salvi i rapporti interni tra le parti, l'ausiliare opera nell'interesse della giustizia in virtù di un mandato neutrale. Il caso
Con atto di citazione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., viene proposta opposizione al precetto notificato unitamente al decreto di liquidazione emesso dal Tribunale di Chiavari il 30 dicembre 2005 con il quale era stato riconosciuto al c.t.u., per l'attività di consulenza tecnica resa nel procedimento, l'importo posto provvisoriamente a carico solidale delle parti. L'attrice esponeva che la causa nell'ambito della quale il c.t.u. aveva prestato la propria opera era stata definita con sentenza che aveva posto in via definitiva le spese di consulenza per 4/5 a carico dell'attrice e per la restante parte, in misura eguale, a carico delle altre parti, ed aveva quindi proposto opposizione, sostenendo che l'emanazione della sentenza aveva privato di efficacia il primo decreto di liquidazione, sostituendolo con un differente riparto delle spese per la consulenza tecnica fra le parti. La questione
La problematica giuridica attiene alla revoca implicita del decreto di liquidazione degli importi a favore del consulente tecnico d'ufficio da parte della sentenza di condanna (che ripartisca in modo differente tra le parti tali importi).
Le soluzioni giuridiche
L'attuale e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso di affermare che, poiché la consulenza tecnica d'ufficio rappresenta non un mezzo di prova in senso proprio, ma uno strumento di ausilio per il giudice e, quindi, un atto necessario del processo che l'ausiliare pone in essere nell'interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale, il regime del pagamento delle spettanze del medesimo prescinde dalla ripartizione dell'onere delle spese tra le parti contenuto in sentenza, che avviene sulla base del principio della soccombenza e, concernendo unicamente il rapporto fra dette parti, non è opponibile all'ausiliario (Cass. Civ., sez. II, 15 settembre 2008, n.23586; Cass. Civ., sez. I, 7 dicembre 2004, n. 22962; Cass. Civ., sez. I, 8 luglio 1996, n. 6199; Cass. Civ., sez. I, 2 marzo 1973, n. 573). Tale orientamento ha ormai definitivamente superato quello difforme minoritario, pure espresso in talune occasioni all'interno della giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12110). In accordo con tale impostazione, quindi, le parti sono solidalmente responsabili del pagamento delle competenze al c.t.u. anche dopo che la controversia, durante la quale il consulente ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza, sia definitiva sia non ancora passata in giudicato, a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita e, quindi, altresì, ove tale ripartizione sia difforme da quella in precedenza adottata con il decreto di liquidazione emesso dal giudice. L'unica eccezione a tale principio si rinviene nella emissione di un provvedimento incidentale di revoca o modifica del decreto di liquidazione prima della emissione della sentenza a regolazione definitiva delle competenze del c.t.u. (Cass. Civ., sez. VI, 8 novembre 2013, n. 25179; Cass. Civ., sez. VI, 5 novembre 2014, n. 23522), atteso che, in tal caso, rimane intatto il diritto del consulente, ai sensi del d.p.r. n. 115/2002, art. 170, di proporre opposizione a tale modifica, facoltà che invece non sussiste una volta emessa la decisione definitiva, rispetto alla quale detto ausiliare perde qualunque legittimazione processuale ad interloquire sul quantum e sul quomodo di realizzazione del proprio credito. Tale impostazione comporta che se la parte incisa dall'azione esecutiva del consulente proponga opposizione all'esecuzione facendo valere la nel frattempo intervenuta sentenza di merito - che vada ad incidere oggettivamente o relativamente ai soggetti onerati, sulla precedente liquidazione esecutiva ex lege - detta pronuncia non si pone come fatto incidente sul diritto di credito già sorto in favore del c.t.u. e neppure sulla identificazione dei soggetti onerati. In definitiva, la provvisorietà del decreto di liquidazione del c.t.u. comporta che la sua efficacia esecutiva concerne la parte nello stesso indicata come obbligata e nella misura stabilita dal detto provvedimento, nel senso che l'ausiliario del giudice, finchè la controversia non sia decisa con una sentenza che statuisca pure sulle spese di lite, è tenuto a proporre prima la sua domanda nei confronti del soggetto ivi menzionato e nella misura indicata nello stesso decreto di liquidazione e, soltanto ove questi resti inadempiente, può agire nei confronti delle altre parti in causa. Una volta che la controversia sia stata risolta con una sentenza che pronunci sulle spese, il c.t.u. può fare valere le sue ragioni, invece, direttamente nei confronti di ogni parte in virtù della loro responsabilità solidale, indipendentemente dalla definitiva ripartizione dell'onere delle spese stabilita dal giudice nel precedente decreto di liquidazione. Conseguentemente, la Cassazione ha enunciato il principio di diritto in virtù del quale laddove il consulente tecnico d'ufficio non abbia ricevuto il proprio compenso dalle parti a ciò obbligate a seguito dell'emissione di decreto provvisorio di liquidazione, ed abbia inutilmente chiesto il dovuto ai soggetti indicati nel decreto di liquidazione provvisoria delle sue spettanze, secondo le percentuali ivi stabilite, le parti sono solidalmente obbligate a corrisponderlo a prescindere dalla diversa ripartizione delle medesime spese stabilita nella sentenza che ha definito la controversia. Osservazioni
In considerazione del fatto che il consulente è un ausiliario del giudice e che l'espletamento dell'incarico è svolto nell'interesse comune delle parti, la sentenza ritiene - conformemente alla giurisprudenza consolidata di legittimità - che la natura solidale dell'obbligazione di pagamento, rileva nel senso che la liquidazione del compenso al c.t.u. prescinde sia dal principio della soccombenza, che regola la distribuzione delle spese processuali fra le parti nel processo, sia dalla effettiva regolamentazione delle stesse data dal giudice nella causa in cui l'opera del consulente è espletata (Cass. Civ., sez. II, 15 settembre 2008, n.23586). Tale orientamento è da approvare. Infatti siccome la consulenza tecnica d'ufficio, fornendo un ausilio al giudice, costituisce - piuttosto che un mezzo di prova - un atto necessario del processo, che è compiuto nell'interesse generale della giustizia, ne consegue che l'obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito al compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla disciplina in ordine alla ripartizione delle spese processuali fra le parti, che è regolata dal principio della soccombenza, perchè quest'ultimo principio attiene al rapporto fra le parti e non opera nei confronti dell'ausiliare (Cass. Civ., sez.I, 8 luglio 1996, n. 6199; Cass. Civ., sez.II, 2 febbraio 1994, n.1022). Pertanto, per ottenere il pagamento del compenso, il consulente può chiedere il decreto ingiuntivo o agire in giudizio proponendo autonoma domanda, non soltanto nell'ipotesi in cui il giudice della causa in cui è stata effettuata la prestazione non abbia provveduto alla relativa liquidazione. La Cassazione ha stabilito che quando sia stato emesso un titolo provvisoriamente esecutivo, non adempiuto dalla parte obbligata, il consulente può chiedere in giudizio il compenso nei confronti dell'altra parte, avendo interesse ad ottenere la tutela effettiva delle proprie ragioni rimaste insoddisfatte. La stessa giurisprudenza di legittimità ha altresì precisato che al riguardo deve considerarsi il principio secondo il quale il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore ha esaurito il suo diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex novo una pronuncia di condanna contro il medesimo debitore per lo stesso titolo e lo stesso oggetto, il quale trova una valida deroga tutte le volte in cui la domanda di condanna rivolta al giudice, pure nella preesistenza di altro ed analogo titolo giudiziale, non risulti diretta alla duplicazione del titolo già conseguito, ma faccia, per converso, valere una situazione giuridica che non abbia già trovato esaustiva tutela, suscettibile di conseguimento di un risultato ulteriore rispetto alla lesione denunciata (Cass. Civ., sez.I, 21 luglio 2004,n.13518; Cass. Civ., sez.I, 5 gennaio 2001, n.135). In particolare, in presenza del provvedimento di liquidazione del compenso agli ausiliari del giudice che abbia acquistato valore di giudicato, resta preclusa al medesimo ausiliare la possibilità di ottenere un altro titolo giudiziale per il pagamento dell'identico compenso (Cass. Civ., sez.I, 17 gennaio 1997, n. 448), salvo il caso che la domanda rivolta al giudice per la condanna del convenuto al pagamento di una somma di denaro sulla base di un titolo giudiziale esistente risulti diretta ad ottenere non una duplicazione del titolo esecutivo già conseguito, ma in presenza di un'apprezzabile interesse, per conseguire il soddisfacimento del credito vantato che non abbia già trovato esaustiva tutela, permettendo in tale modo, il conseguimento di un ulteriore utile risultato (Cass. Civ., sez.I, 10 dicembre 1998, n. 12402). In tale ottica, ad esempio, il creditore, al fine di precostituirsi un titolo idoneo all'iscrizione di ipoteca giudiziale, può fare ricorso al procedimento monitorio finanche quando abbia già iniziato azione esecutiva in forza di altro titolo giudiziale o stragiudiziale, atteso che l'ipoteca, come diritto reale di natura sostanziale, offre più ampie garanzie, spiegando effetto pure al di fuori del processo esecutivo e non nei soli confronti dei soggetti che ad esso partecipano, ma erga omnes. In questo senso, mentre i decreti ingiuntivi dichiarati esecutivi a norma degli artt. 642, 647 e 648 c.p.c., nonché quelli rispetto ai quali sia stata rigettata l'opposizione, costituiscono, in forza di espressa disposizione di legge - art. 655 c.p.c. - titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, altrettanto non può dirsi relativamente ai decreti di liquidazione dei compensi al consulente tecnico d'ufficio, perché un provvedimento giudiziale il quale non sia una sentenza, pur quando contenga l'accertamento del credito e ne ordini il pagamento, e pure costituendo un titolo esecutivo, non è anche idoneo ad iscrivere ipoteca giudiziale se la legge non lo afferma espressamente. E' allora evidente che il predetto decreto di liquidazione, non essendo un valido titolo per consentire l'iscrizione di ipoteca giudiziale, costituisca qualcosa di meno e di diverso rispetto al decreto ingiuntivo richiesto successivamente dal consulente tecnico d'ufficio - creditore della prestazione rimasta inadempiuta - il quale, invece, possiede tale effetto per conseguire una maggiore tutela del credito. In conclusione, sebbene in linea di principio la duplicazione di titoli giudiziali consacranti uno stesso diritto non è di regola consentita essa viene tuttavia ammessa ove il secondo titolo assicuri una tutela più piena, come è appunto nel caso del decreto ingiuntivo che a differenza dal decreto di liquidazione del compenso dovuto agli ausiliari del giudice, permette l'iscrizione di ipoteca giudiziale (Cass. Civ., sez.II, 26 giugno 2006, n.14737; Cass. Civ., sez. I, 10 settembre 2004, n. 18248). |