Sulle modalità della riproposizione in appello della domanda nel caso di omessa pronuncia

10 Giugno 2016

Nella recente giurisprudenza di legittimità sussiste un contrasto in ordine alla questione afferente la necessità, quando il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciarsi su una domanda ovvero su un punto di essa (al di fuori del caso del legittimo assorbimento della stessa), di dedurre uno specifico motivo di appello ai sensi dell'art. 342 c.p.c. ovvero di riproporre soltanto la questione ex art. 346 c.p.c.
Il quadro normativo

La problematica si correla all'interpretazione del combinato disposto degli artt. 342 c.p.c., sulla specificità dei motivi di impugnazione in appello, e dell'art. 346 c.p.c. in ordine alla riproposizione delle questioni in sede di gravame.

Ne deriva che la stessa ha una rilevanza cruciale per la stessa ricostruzione, in termini generali, dell'istituto dell'appello che tali previsioni tendono a configurare in termini di gravame che, sebbene a critica libera, costituisce una revisio prioris instantiae, alla quale è estraneo un effetto devolutivo automatico e pieno anche all'interno del capo di domanda oggetto di impugnazione, dovendosi quindi circoscrivere, sulla scorta proprio degli artt. 342 e 346 c.p.c., i limiti della cognizione demandata al giudice d'appello.

Più in particolare, si ripropone la questione del rapporto tra le due disposizioni con riguardo alle domande che non siano state rigettate (anche implicitamente) o legittimamente assorbite ma sulle quali il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciarsi ex art. 112 c.p.c. È opportuno ricordare che tale situazione ricorre quando manchi, rispetto ad una domanda o eccezione della parte, un'espressa statuizione del giudice, nonché il provvedimento indispensabile per la risoluzione della controversia.

Ci si interroga, a questo punto, nella più recente giurisprudenza di legittimità, in ordine alle modalità con le quali la parte che sia interessata ad una decisione da parte del giudice d'appello sulla domanda (o punto di essa) in ordine alla quale siffatta pronuncia è stata omessa è tenuta a “veicolare” la medesima in sede di gravame, i.e. se sia necessaria a tal fine la proposizione di uno specifico mezzo di impugnazione ovvero sia sufficiente la riproposizione ai sensi dell'art. 346 c.p.c.

L'ambito applicativo dell'art. 346 c.p.c. in relazione alle domande nell'elaborazione della dottrina

Questione fondamentale posta dall'art. 346 c.p.c. è quella concernente l'interpretazione della locuzione “non accolte” riferita alle domande ed eccezioni che, per non intendersi rinunciate, dovranno essere oggetto di riproposizione in appello, senza che, tuttavia, rispetto ad esse sia necessario proporre gravame incidentale.

In dottrina è prevalente la tesi per la quale le domande non accolte devono essere individuate in quelle legittimamente assorbite, ad esempio nelle ipotesi di cumulo alternativo o cumulo condizionale di domande (CONSOLO; LUISO).

La decisione dovrà, invece, per quel che maggiormente rileva in questa sede, essere oggetto di impugnazione, anche incidentale, a fronte della pronuncia su domande autonome espressamente disattese o non esaminate, sebbene non subordinate o incompatibili rispetto alla questione decisa in via principale, sussistendo in quest'ultima ipotesi vizio di omessa pronuncia della decisione di primo grado (BONSIGNORI; CHIARLONI).

Spingendosi ancora oltre, autorevole dottrina ritiene, poi, che dovrebbe essere riconosciuta alla parte vittoriosa la possibilità di proporre appello incidentale condizionato tutte le volte che mediante lo stesso la parte miri, non ad una conferma della decisione gravata, bensì ad una pronuncia ancora più favorevole ed aderente alle proprie conclusioni (CONSOLO 2012).

Omessa decisione sulle domande in primo grado. La tesi per la quale è sufficiente la riproposizione ex art. 346 c.p.c.

A differenza di quanto ritenuto dalla dottrina dominante, da lungo tempo nella giurisprudenza di legittimità prevale l'opposta tesi per la quale in caso di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un punto della domanda, l'appellante, ai fini della specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare la richiesta non esaminata in prime cure (Cass. civ., sez. lav., 20 giugno 1978, n. 3054). Tale assunto è stato, in seguito, più volte ribadito nella giurisprudenza successiva evidenziando, ad esempio, che quando la sentenza di primo grado manchi di statuire su una delle domande introdotte in causa - e non ricorrano gli estremi di una sua reiezione implicita, né risulti che la stessa sia rimasta assorbita dalla decisione di altra domanda da cui dipenda - deve riconoscersi alla parte istante la facoltà di far valere tale omissione in sede di gravame, pena la rinuncia implicita alla domanda medesima, ex art. 346 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 26 giugno 2000, n. 8655).

Anche una recente decisione ha osservato, a riguardo, che nell'ipotesi di omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado su un punto della domanda, l'appellante, ai fini della specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare la richiesta non esaminata in prime cure e di conseguenza la S.C. ha cassato la sentenza con cui la corte d'appello, a fronte dell'omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado, aveva ritenuto nullo l'atto di appello nel quale la parte si era limitata ad insistere per l'accoglimento della domanda non esaminata, senza formulare un apposito motivo di impugnazione (Cass. civ., sez. I, 30 aprile 2014, n. 9485).

Segue. La tesi per la quale è necessaria la proposizione di uno specifico motivo di appello.

Una recentissima pronuncia della S.C. si è discostata, consapevolmente, dall'indirizzo interpretativo consolidato affermando il differente principio in virtù del quale poiché il giudizio di appello integra una revisio prioris instantiae, l'omessa pronuncia su una domanda (o su un punto di essa) non può essere oggetto di mera riproposizione ex art. 346 c.p.c. ma deve essere denunciata, ai sensi dell'art. 342 c.p.c., con la formulazione di uno specifico motivo di appello, mediante il quale si deduca l'errore commesso dal giudice di primo grado, sebbene la specificazione delle ragioni poste a fondamento di tale motivo possa esaurirsi nell'evidenziare l'omessa decisione sulla domanda ritualmente proposta (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 2016, n. 2855).

In particolare, tale decisione si richiama, al fine di supportare il proprio orientamento in contrasto con la giurisprudenza tradizionale, alla statuizione delle Sezioni Unite per la quale nell'ordinamento processuale vigente non può più ritenersi che il giudizio di appello costituisca un riesame pieno nel merito della decisione impugnata, ossia un nuovo giudizio, avendo lo stesso assunto le caratteristiche di un'impugnazione a critica vincolata (Cass. civ., sez. U., 8 febbraio 2013, n. 3033).

Nell'argomentare della S.C. consegue a tale concezione del giudizio di gravame che lo stesso è finalizzato ad una revisione critica dell'operato del giudice di primo grado, «del quale deve essere evidenziata l'erroneità sia nella corretta applicazione delle norme che regolano il processo, sia nella concreta attività valutativa dei fatti di causa, sia nella corretta applicazione delle norme di diritto». Conseguenza tratta da siffatta impostazione è che quando a fronte di un vizio della decisione come quello di omessa pronuncia, la parte interessata non può limitarsi a riproporre la domanda nelle conclusioni dell'atto d'appello, essendo tenuta a proporre uno specifico motivo di gravame in omaggio all'art. 342 c.p.c.

In conclusione

A nostro sommesso parere, in attesa di un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sul contrasto che si è formato all'interno della giurisprudenza della S.C., deve condividersi la soluzione affermata dalla più recente decisione n. 2855 del 2016.

In realtà, questa pronuncia non fa che prendere atto, come è evidente, degli orientamenti da lungo tempo affermati dalla dottrina più autorevole in ordine all'interpretazione della locuzione domande “non accolte” contenuta nell'art. 346 c.p.c., al fine di determinare l'ambito di applicazione oggettivo di detta disposizione rispetto all'art. 342 c.p.c.

In sostanza, posto che la predetta espressione – e su questo vi è uniformità di opinioni anche in giurisprudenza – non può ritenersi estesa alle domande espressamente o implicitamente rigettate, ricorrendo in questa ipotesi una soccombenza materiale che onera la parte della proposizione di un motivo di impugnazione, analoga deve essere la soluzione per l'ipotesi nella quale la domanda non sia stata oggetto di alcun esame da parte del giudice di primo grado.

Invero, anche in questo caso, a differenza di quanto avviene per le domande legittimamente assorbite (ad esempio, quelle sul merito, ove si definisca il giudizio sulla scorta di una questione pregiudiziale di rito di carattere dirimente), ricorre innegabilmente un vizio della pronuncia per violazione dell'art. 112 c.p.c. rispetto al quale riteniamo non possa dubitarsi dell'onere per la parte che pretenda una decisione sulla questione da parte del giudice di secondo grado di denunciare detto vizio e non già di limitarsi a riproporre la questione ai sensi dell'art. 346 c.p.c.

Peraltro, è pacifico il differente trattamento in sede di legittimità delle domande assorbite dalla sentenza impugnata da quelle su cui vi è stata omessa pronuncia. Invero, rispetto alle prime non vi è onere (né possibilità) di alcun ricorso dinanzi alla S.C. e sulle stesse sarà tenuto, a limite, a decidere il giudice del rinvio nell'ipotesi nella quale ciò si correli alla pronuncia di annullamento della Corte ed al principio di diritto ivi affermato. Come noto, invero, nel giudizio di cassazione non trova applicazione il disposto dell'art. 346 c.p.c., relativo alla rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado; pertanto, sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non riproposte in sede di legittimità all'esito di tale declaratoria, non si forma il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell'eventuale giudizio di rinvio (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2011, n. 1566; pertanto, nel senso che nel giudizio di cassazione è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con i quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio, cfr. Cass. civ., 15 febbraio 2008 n. 3796).

Con riferimento, per converso, al vizio di omessa pronuncia, invece, costituisce jus receptum l'assunto per il quale lo stesso, in quanto incidente sulla sentenza pronunciata dal giudice del gravame, è deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c. e, risolvendosi nella violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, integra un error in procedendo (in relazione al quale la Corte di Cassazione è, pertanto, anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa e, in particolare, le istanze e le deduzioni delle parti: Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2005, n. 375).

Guida all'approfondimento

ATTARDI, Note sull'effetto devolutivo dell'appello, in Giur. it., 1961, IV, 145 ss.;

BASILICO, Sulla riproposizione di domande ed eccezioni in appello, in Riv. dir. proc., 1995, 109 ss.;

BONSIGNORI, L'effetto devolutivo dell'appello, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1974, 1345 ss.

CHIARLONI, L'impugnazione incidentale nel processo civile. Oggetto e limiti, Milano 1969, 137 ss.;

CONOLO, Il cumulo condizionale di domande, Padova 1982, 770 ss.;

CONSOLO, L'impugnazione delle sentenze e dei lodi, 3a ed., Padova 2012, 174 ss.;

LUISO, Appello nel diritto processuale civile, in Dig., disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1987, 368;

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