Opposizione all'esecuzione e provvedimenti ex art. 512 c.p.c.
10 Giugno 2016
Ambito di applicazione e limite temporale: la posizione della giurisprudenza.
Per chiarire la differenza funzionale dei due istituti è necessario separare i momenti funzionali dello svolgimento del procedimento esecutivo, da un lato, e del procedimento di distribuzione (o assegnazione), dall'altro. Infatti, quando non occorra più stabilire, mediante l'opposizione all'esecuzione (ex art. 615 c.p.c.), se l'intero processo esecutivo debba o meno caducarsi per effetto di preclusioni o decadenze ricollegabili alla pretesa di invalidità (originaria o sopravvenuta) del titolo esecutivo in capo al creditore procedente (o intervenuto, quando anche questi sia munito di titolo esecutivo) e quindi la procedura sia giunta alla fase della distribuzione, ogni controversia, che in detta fase dovesse insorgere fra creditori concorrenti o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, dovrà essere fatta valere col rimedio previsto dall'art. 512 c.p.c. Chiara è sul punto anche la giurisprudenza: «La diversità tra opposizione ex art. 615 c.p.c. , proponibile anche nella fase della distribuzione del ricavato dalla espropriazione forzata, ed opposizione ex art. 512 c.p.c., è data dal differente oggetto delle due impugnazioni, l'uno concernente il diritto a partecipare alla distribuzione (art. 512) e l'altro il diritto di procedere all'esecuzione forzata (art. 615). L'ambito oggettivo ed i limiti di applicazione dell'art. 512 c.p.c. vanno ricercati nel fatto che non può formare oggetto di controversia ex art. 512 c.p.c. , in detta fase di distribuzione, nè la contestazione del diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata. Quanto più non occorre stabilire, mediante l'opposizione di merito ex art. 615 c.p.c. , se l'intero processo esecutivo debba in modo irreversibile venire meno per effetto di preclusioni o decadenze ricollegabili alla pretesa d'invalidità (originaria o sopravvenuta) del titolo esecutivo nei confronti del creditore procedente (o di quello intervenuto, quando anche questi, munito di titolo esecutivo, abbia compiuto atti propulsivi del processo esecutivo, inidonei a legittimarne l'ulteriore suo corso) e quando, perciò, la procedura sia validamente approdata alla fase della distribuzione e non sussista questione circa l'"an exequendum", ogni controversia che, in detta fase insorga tra creditori concorrente o tra creditore e debitore o terzo assoggettato all'espropriazione circa la sussistenza o l'ammontare di uno o più crediti o circa la sussistenza di diritti di prelazione, al fine di regolarne il concorso ed allo scopo eventuale del debitore di ottenere il residuo della somma ricavata (art. 510, comma 3, c.p.c.), costituisce una controversia prevista dall'art. 512 c.p.c., da risolversi con il rimedio indicato da detta norma.» (Cass. civ., sez. III, 23 aprile 2001, n. 5961, in Mass. Giur. It., 2001). Pertanto, qualora si intenda contestare il diritto di colui che è intervenuto nell'esecuzione, non munito di titolo esecutivo, non si potrà procedere con l‘opposizione all'esecuzione ma solo con il rimedio di cui all'art. 512 c.p.c., in sede di distribuzione (Trib. Bari, sez. II, 29 maggio 2006) Se i due rimedi hanno abiti diversi di applicazione, altrettanto essi possono coesistere nella medesima fase temporale: gli interessi che formano l'oggetto dei due rimedi possono ben coesistere. Invero, come evidenziato anche all'interno della giurisprudenza di legittimità, la previsione del rimedio della opposizione distributiva, di cui all'art. 512 c.p.c., non esclude che quando la contestazione sia fatta dal debitore esecutato ed investa il credito della parte procedente, o l'esistenza o l'ammontare di quello di un creditore munito di titolo, egli possa tutelarsi anche con lo strumento dell'opposizione all'esecuzione, di cui all'art. 615, comma 2, c.p.c., senza necessità di attendere la fase distributiva, sussistendo in ogni momento dell'esecuzione il suo interesse a contestare l'an od il quantum dei crediti (anche al fine di conseguire la sospensione parziale dell'esecuzione) e salva la diversa scelta del medesimo debitore, che ben potrebbe attendere la fase di distribuzione per formulare le proprie contestazioni, nei modi e per gli effetti dell'art. 512 c.p.c., al fine della restituzione di quanto conseguito dalla vendita (ovvero versato a seguito della conversione) in più del dovuto (Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2012, n. 22642).
Segue: la posizione della dottrina
Anche la dottrina distingue l'ambito di applicazione delle due fattispecie. Per alcuni, una volta giunti alla fase di distribuzione il titolo esecutivo avrebbe perso ogni funzione, pertanto, da un lato, non sarebbe più proponibile, in sede di distribuzione, un'opposizione all'esecuzione e, dall'altro, ove l'opposizione fosse già stata proposta e ancora non fosse stata definita, questa si trasformerebbe in una contestazione ex art. 512 c.p.c. In realtà si è osservato come la norma non ponga un tale limite temporale per l'opposizione all'esecuzione, pertanto l'ammissibilità o meno dell'opposizione all'esecuzione dovrà valutarsi in merito al suo oggetto ed all'interesse del debitore che la proponga. Si precisa, così, che, arrivati alla fase di distribuzione l'opposizione all'esecuzione non potrà essere più proposta, pertanto tutte le contestazioni in sede di distribuzione confluiranno nell'art. 512 c.p.c. e decise con ordinanza la quale, poi, potrà, eventualmente e successivamente, essere impugnata con opposizione agli atti esecutivi se ve ne siano i presupposti.
Altra ricostruzione afferma che i due istituti in discorso sarebbero sovrapponibili all'interno della fase distributiva. La definizione delle controversie distributive o la loro mancata proposizione non impedisce, al debitore, di far valere l'inesistenza dei diritti sul piano sostanziale; di conseguenza, l'accoglimento dell'opposizione all'esecuzione determinerebbe caducazione dell'esecuzione nel suo complesso, con la conseguente consegna dell'intero ricavato al debitore, salvo l'esistenza di pignoramenti successivi non colpiti dall'opposizione all'esecuzione. Nell'espropriazione presso terzi, la giurisprudenza ha avuto modo di stabilire che, una volta assegnato il credito pignorato, l'opposizione all'esecuzione non sarà più proponibile, ma lo sarà l'opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione, se ve ne siano i presupposti. In particolare si è osservato, a riguardo, che in tema di espropriazione presso terzi, il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi è l'unico esperibile avverso l'ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., non solo quando si contestino vizi formali suoi, o degli atti che l'hanno preceduta, ma pure quando si intenda confutare l'interpretazione che il giudice dell'esecuzione ha dato alla dichiarazione del terzo, anche quanto alla entità ed alla esigibilità del credito. Ne consegue che, qualora il creditore assegnatario si avvalga, come titolo esecutivo nei confronti del terzo assegnato, dell'ordinanza predetta, è preclusa a quest'ultimo, assoggettato a tale esecuzione, la deduzione, mediante l'opposizione di cui all'art. 615 c.p.c., di quei medesimi vizi della menzionata ordinanza che, nel procedimento di espropriazione presso terzi, abbia già fatto valere con opposizione agli atti esecutivi definitivamente respinta (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2012, n. 20310). In conclusione
Dal complesso delle posizioni della dottrina e della giurisprudenza si può affermare, non senza qualche timore data la complessità della materia, che il limite temporale per la proposizione dell'opposizione all'esecuzione non sia tanto di ambito temporale, quanto piuttosto di ambito funzionale. La distinzione nominalistica secondo la quale non si potrebbe più esperire opposizione all'esecuzione in fase di distribuzione, se da un lato tende a separare anche temporalmente l'operare dei due rimedi (quello ex art. 615 c.p.c. e 512 c.p.c.) non tiene conto del fatto che il presupposto del processo esecutivo è la sussistenza, appunto, di un valido titolo con forza esecutiva, pertanto tale contestazione sarà da sola sufficiente a caducare l'intero procedimento, anche in fase distributiva. Allora si può ritenere che l'opposizione all'esecuzione non sarà più esperibile dal momento in cui non vi siano più motivazioni inerenti alla validità del titolo esecutivo né del diritto a che il creditore proceda all'esecuzione. Del che l'assegnazione del bene o la distribuzione della somma ricavata saranno l'unico termine di preclusione, attaccabile solo con opposizione all'atto esecutivo. Peraltro, tale conclusione potrebbe oggi essere posta in non cale dalla formulazione dell'art. 615, comma 2, c.p.c., novellato dal d.l. 3 maggio 2016, n. 59, nel senso che l'opposizione all'esecuzione non può più essere proposta dopo che sia stata disposta la vendita o l'assegnazione, con la conseguenza che le contestazioni inerenti il diritto a procedere ad esecuzione forzata, una volta iniziata la fase distributiva, potranno essere fatte valere soltanto ex art. 512 c.p.c., salvo che attengano a circostanze successivamente emerse o non dedotte tempestivamente in sede di opposizione all'esecuzione per causa non imputabile al debitore. BOVE, La distribuzione, in Balena, Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 266 ss.; CAPPONI, STORTO, Prime considerazioni sul d.d.l. Castelli recante «modifiche urgenti al codice di procedura civile», in relazione al processo di esecuzione forzata, in REF, 2002, 163; CARRATTA, Le controversie distributive fra «diritto al concorso» e «sostanza» delle ragioni creditorie, in CorG, 2009, 576; MONTELEONE, Risoluzione delle controversie, in Cipriani, Monteleone (a cura di), La riforma del processo civile, in NLCC, 2006, 1066 ss.; VERDE, Pignoramento in generale, in ED, XXXIII, Milano, 1983, 794).
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