La domanda riconvenzionale proposta contro il fallimento
10 Giugno 2016
Massima
Nel giudizio promosso da un soggetto "in bonis", e proseguito dal curatore, per il recupero di un credito, la domanda riconvenzionale, proposta dal convenuto, volta all'accertamento del proprio credito nei confronti del fallito, in quanto soggetta al rito speciale previsto dagli artt. 93 e ss. l. fall. per l'accertamento del passivo, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile; la domanda principale, per contro, resta innanzi al giudice adìto, al pari di quelle formulate dal convenuto nei confronti del condebitore e del fideiussore del fallito, stante il carattere solidale della loro responsabilità e l'autonomia dell'azione di pagamento esercitata nei loro confronti rispetto a quella intrapresa verso il fallito.
Il caso
Per quanto concerne il capo della sentenza che si annota, cui si riferisce la massima sopra riportata, la vicenda, ridotta all'essenziale, vedeva una società appaltatrice agire in giudizio per ottenere dall'ente appaltante il pagamento di opere eseguite oltre ad un risarcimento danni per alcune inadempienze. Nel giudizio si erano costituite una società co-appaltatrice dei medesimi lavori e una società assicuratrice, in qualità di fideiussore per la corretta esecuzione degli stessi lavori. La prima società appaltatrice era fallita, nelle more del procedimento, e l'azione era stata proseguita dal curatore. Nel giudizio l'ente appaltante aveva proposto una domanda riconvenzionale in ordine ad asseriti vizi nelle prestazioni appaltate. In esito al giudizio di appello la Corte territoriale aveva dichiarato l'improcedibilità della domanda riconvenzionale perché proposta nelle forme ordinarie e non nella procedura concorsuale, con conseguente revoca di un decreto ingiuntivo che l'ente appaltante aveva ottenuto in una causa poi riunita a quella in argomento; ed aveva pronunciato sulle altre domande. Con ricorso per cassazione di parte appaltante si assume la violazione, tra gli altri, dell'art. 24 l. fall., in quanto la decisione impugnata, nel respingere la riconvenzionale, aveva fatto rientrare nella competenza del giudice fallimentare anche le azioni con essa promosse nei confronti della appaltatrice non fallita e della società assicuratrice. In particolare si deduce che il giudice distrettuale non aveva indicato le ragioni che radicherebbero la competenza del giudice fallimentare anche con riguardo alle domande diverse da quelle rivolte contro l'appaltatrice fallita.
La questione
La Corte di cassazione ha argomentato la sua decisione (nel punto che qui interessa) semplicemente richiamando i principi già affermati in precedenza sulle questioni rese oggetto del ricorso. Essa, in relazione alla domanda riconvenzionale, ha citato la sentenza Cass. civ., 24 novembre 2011, n. 24847, per la quale: «Qualora, nel giudizio promosso da un soggetto in bonis per il recupero di un credito e proseguito dal curatore, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento del proprio credito nei confronti del fallimento, detta riconvenzionale, in quanto soggetta al rito speciale previsto dagli artt. 93 e ss. l. fall. per l'accertamento del passivo, deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile nel giudizio di cognizione ordinaria; al contrario, la domanda proseguita dal curatore resta davanti al giudice adito, non operando per la stessa la vis actractiva del tribunale fallimentare, né in forza dell'art.36 c.p.c. né dell'art. 24 l. fall., - in quanto l'applicazione dell'art. 52, comma 2, l. fall., non pone una questione di competenza, ma di rito - e neppure in virtù del principio del simultaneus processus, il quale, non costituendo un principio di carattere assoluto, incontra un limite nella previsione di un rito speciale ancorato ad una competenza esclusiva applicabile ad una delle cause connesse». In ordine alla domanda proposta contro l'appaltatrice non fallita, la Corte ha osservato che essa doveva essere considerata obbligata in solido verso l'appaltante e che, in tal caso, valeva la regola già espressa con Cass. civ., n. 25403 del 1999: «In tema di obbligazioni solidali, la regola dell'improcedibilità nella sede ordinaria della domanda di adempimento e della conseguente attrazione a quella fallimentare, ai sensi dell'art. 24 l.fall., non trova applicazione, in caso di sopravvenuto fallimento di uno dei condebitori, allorchè contro tale soggetto non sia svolta alcuna domanda volta ad ottenere un titolo per partecipare al concorso e, dunque, il creditore possa proseguire il giudizio verso il condebitore in bonis”. Con riferimento, infine, alla posizione della compagnia di assicurazioni, obbligata per la fideiussione, si è richiamato il dictum di Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011 n. 4464, per il quale: «… il fallimento del debitore principale non comporta l'attrazione nella competenza del tribunale fallimentare anche della causa promossa dal creditore nei confronti del fideiussore del fallito, stante il carattere solidale della responsabilità di quest'ultimo e l'autonomia dell'azione di pagamento proposta nei suoi confronti rispetto a quella proponibile nei confronti del detto debitore».
Le soluzioni giuridiche
Per la Corte, il giudice distrettuale ha errato (con violazione di legge riferita all'art. 24 l. fall.) nel ritenere che il principio di diritto relativo alla domanda riconvenzionale comportasse il trasferimento dinanzi al tribunale fallimentare dell'intera causa proposta, vale a dire, oltre che, correttamente, di quella introdotta contro la società fallita, anche dell'altra diretta, verso il condebitore solidale costituito, sia dalla società appaltatrice rimasta in bonis e sia dalla compagnia assicuratrice, obbligata per la fideiussione. La Suprema Corte ha dunque cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte a quo per il riesame del gravame con riferimento alla domanda riconvenzionale proposta dalla appaltante nei confronti della appaltatrice non fallita (in ragione della ipotizzata sua responsabilità solidale) e, in conseguenza di tale accertamento, con riferimento all'obbligazione nascente dalla garanzia prestata dal fideiussore.
Osservazioni
L'art. 36 c.p.c. dispone che la domanda riconvenzionale (quando dipendente dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o dal titolo che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione) può essere condotta alla cognizione del giudice della causa principale purchè essa non ecceda la sua competenza per materia o per valore. Il simultaneus processus non è consentito se, per conseguirlo, occorre violare i criteri che riservano la riconvenzionale ad un giudice competente per materia o per limiti di valore. Dottrina e giurisprudenza hanno individuato alcune situazioni nelle quali non si fa questione di competenza per materia o per valore ma è ugualmente inibita la riunione della domanda accessoria a quella principale in un unico giudizio. La fattispecie più nota e di maggiore ricorrenza è costituita dalla competenza funzionale del giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo, la quale impedisce uno spostamento di competenza quando la riconvenzionale eccede la competenza per valore (del giudice di pace) e impone la separazione delle cause (Cass. civ., sez. VI-III, ord., 19 febbraio 2014, n. 3870; Cass. civ., sez. VI, ord., 11 aprile 2014, n. 8574). Un'altra situazione di ostacolo alla riunione delle cause si verifica in tema di specializzazione del giudice competente per la causa riconvenzionale: la riconvenzionale proposta nel giudizio ordinario e spettante alla cognizione della sezione specializzata agraria, per l'accertamento di un rapporto di affittanza agraria, è inammissibile in tale giudizio e comporta la competenza del giudice specializzato (Cass. civ., sez. VI-3, ord., 15 settembre 2015, n. 18111; Cass. civ., sez. VI-3, ord., 19 settembre 2014, n. 19833; Cass. civ., sez. VI-2, ord., 13 dicembre 2011, n. 26796). La sentenza che si annota concerne la particolare vicenda cui dà luogo la riconvenzionale proposta nel giudizio intrapreso, nelle forme ordinarie, da un asserito creditore, nel frattempo fallito, ed estesa nei confronti di altra parte attrice e del terzo fideiussore chiamato in garanzia. Anche in questo caso ricorre una situazione preclusiva della riunione di domande (e relative cause), costituita dalle particolari regole e dalla particolare competenza che attengono alla procedura fallimentare. Nella sua versione vigente, l'art. 24 l. Fall. stabilisce che il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore. Come è noto, questa norma è interpretata nel senso che essa attribuisce alla competenza del detto tribunale non soltanto le controversie che traggono origine dallo stato di dissesto ma anche tutte quelle che, comunque, incidano sulla procedura concorsuale, intesa nella sua sostanziale ratio di realizzare, in modo unitario, l'esecuzione sul patrimonio del fallito al fine di assicurare la par condicio creditorum, con la conseguenza che anche le cause concernenti gli eventuali crediti vantati dal fallito rientrano nella competenza dell'organo fallimentare (Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2001, n. 16183; Cass. civ., sez. III, 1 agosto 1997, n. 7136). Tra le domande che rientrano in questa speciale competenza vi sono quelle dei creditori del debitore fallito. Esse sono soggette alla specifica disciplina che subordina l'accertamento e l'accoglimento delle relative domande alla loro insinuazione nel passivo del fallimento, secondo le disposizioni di cui all'art. 93; anche quando sono proposte in occasione diversa e in forma diversa, come avviene con la formulazione di una domanda riconvenzionale in un giudizio pendente, non possono essere sottratte alla detta specifica disciplina, pena l'elusione e l'inutilità di questa. La situazione che si verifica, nel caso della richiesta creditoria contro il fallimento proposta con una domanda riconvenzionale, è stata descritta dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in un modo che non consente aggiunte: «Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, la suddetta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Se, dopo l'esaurimento della fase sommaria della verifica, sia proposto dal creditore giudizio di opposizione allo stato passivo o per dichiarazione tardiva di credito ed anche la causa promossa dal curatore penda davanti allo stesso ufficio giudiziario, è possibile una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell'art. 274 c.p.c. ove ne ricorrano gli estremi; possibilità che sussiste anche quando le due cause siano pendenti davanti ad uffici giudiziari diversi, potendo trovare applicazione i criteri generali in tema di connessione se non si siano verificate preclusioni e sempre che il giudice davanti al quale il curatore ha proposto la sua domanda non sia investito della competenza per ragioni di competenza inderogabile, dovendo la "translatio" comunque aver luogo nella sede fallimentare. Qualora non si possa giungere a questo risultato, va verificata la sussistenza dei requisiti per l'applicazione dell'art. 295 c.p.c., fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria» (Cass. civ., sez. U., 12 novembre 2004, n. 21499). Principio analogo vale nel caso della sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa: «Nell'ipotesi di domanda di accertamento negativo di debito proposta dal debitore "in bonis" e proseguita, successivamente alla sua sottoposizione a liquidazione coatta amministrativa, dal commissario liquidatore, nonché di contrapposta domanda riconvenzionale formulata dal convenuto asserito creditore per il pagamento del corrispondente credito, quest'ultima, in quanto assoggettata alle forme dell'accertamento del passivo sancite, dall'art. 209 l.fall. (nella formulazione "ratione temporis" applicabile), deve essere dichiarata inammissibile o improcedibile, mentre quella proseguita dal commissario liquidatore resta davanti al Tribunale che pronuncerà al riguardo nelle forme del rito ordinario» (Cass. civ., sez. I, 17 maggio 2013, n. 12602). La solidarietà passiva nelle obbligazioni non crea un vincolo di connessione che consenta uno spostamento di competenza. Il rapporto tra creditore e debitori, o tra creditore e fideiussore, è facoltativo nel primo grado di giudizio, mentre in sede di gravame dà luogo ad un litisconsorzio necessario, di natura processuale, soltanto se sono riproposti temi comuni ai predetti (Cass. civ., sez. I, 1 ottobre 2012, n. 16669; Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2006, n. 15358). Nel caso della fideiussione, l'obbligazione principale e quella del fideiussore, se pur collegate, sono tra loro autonome e mantengono la loro individualità: con la conseguenza che la disciplina dell'obbligazione garantita non influisce su quella della fideiussione, per la quale continuano a valere le normali regole processuali (Cass. civ., sez. U., 5 febbraio 2008, n. 2655, in tema di giurisdizione). La vis actractiva della procedura fallimentare non opera, dunque, nel senso di far rientrare nel disposto dell'art. 24 l. fall. le cause, proposte nelle forme ordinarie dal curatore, per il pagamento di somme dovute al fallito da debitori solidali o dal fideiussore. La Corte ha correttamente tratto la sua decisione da principi in diritto conosciuti e che nell'occasione ha inteso ribadire.
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