L'efficacia probatoria degli scritti provenienti da terzi

10 Giugno 2016

Il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, quali le dichiarazioni scritte provenienti da terzi.
Massima

Nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, sicché il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, quali le dichiarazioni scritte provenienti da terzi, della cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che ne derivi la violazione del principio di cui all'art. 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudizio.

Il caso

Tizio agiva nei confronti di Sempronio e chiedeva al Tribunale di Venezia, sez. specializzata per la proprietà industriale ed intellettuale (oggi, Tribunale delle imprese), l'accertamento della violazione del diritto d'autore in relazione a due articoli, pubblicati su due prestigiose riviste scientifiche, non essendo stato indicato tra gli autori, pur avendo organizzato e diretto la creazione dell'opera. Tizio chiedeva, inoltre, il risarcimento dei danni, nonché l'adozione delle misure più idonee per ripristinare la paternità delle opere. Il convenuto, invero, contestava la fondatezza della domanda. E, sia il giudice di prime cure, che la Corte d'appello della Serenissima, respingevano la domanda di Tizio. In particolare, la Corte del merito aveva ritenuto inammissibile la richiesta di prova testimoniale avanzata in secondo grado da parte di Tizio, in quanto implicitamente abbandonata per non avere lo stesso contestato la decisione sulle prove assunte dal Tribunale. Peraltro, l'appellante non aveva provato di essere stato l'autore del primo dei due articoli de quibus, non potendosi confondere la paternità di uno scritto scientifico con la mera partecipazione agli studi preliminari o con il ruolo di mero consulente in una prima fase dello studio. E, quanto alla seconda pubblicazione, la Corte d'appello aveva ritenuto il ruolo di Tizio insignificante limitato alla messa a punto di un modello per fini pratici nell'ambito di un altro progetto scientifico. Avverso quest'ultima decisione il soccombente ricorre per cassazione sulla base di un unico complesso motivo facendo valere, in particolare, il vizio processuale e di motivazione, sostenendo di avere contestato in appello il valore attribuito alle dichiarazioni di terzi interessati, ritenute come testimonianze, smentite invero da documenti ufficiali, e assume che sulle prove testimoniali richieste, la Corte territoriale avrebbe, invece, potuto e dovuto sentire qualche teste autorevole ed effettivamente indifferente.

La Corte di Cassazione respinge tale motivo di ricorso, precisando che, il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo, in particolare, gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova testimoniale. La Suprema Corte, rigetta quindi il ricorso e condanna il ricorrente alle spese.

La questione

La questione in esame è la seguente: il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cosiddette atipiche quali sono gli scritti provenienti da terzi?

Le soluzioni giuridiche

Il nostro sistema processuale è informato al principio del libero apprezzamento da parte del giudice delle prove cosiddette atipiche, ammissibili nel nostro ordinamento, in mancanza di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova (v., Cass. civ., sez. lav., 19 febbraio 1990, n. 1223). Ne segue che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentite dal raffronto critico, riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, con le altre risultanze del processo. Perciò, quanto alla valenza sul piano istruttorio delle prove atipiche, appare prevalente l'orientamento che equipara le stesse agli argomenti di prova e che si sostanzia nell'affermazione del principio per il quale le prove atipiche, possono contribuire al convincimento del giudice come argomenti di prova ma non a fondare esclusivamente il giudizio.

Ricorrente prova atipica nel processo civile, specie nell'assetto anteriore all'introduzione nel nostro ordinamento giuridico, mediante l'art. 257-bis c.p.c. della testimonianza c.d. scritta ad opera della l. 18 giugno 2009, n. 69, è costituita dalle dichiarazioni scritte provenienti da terzi.

Come, pertanto, la prova testimoniale e la produzione di verbali di altri giudizi nei quali siano contenute deposizioni testimoniali costituiscono due prove diverse, atteso che mentre la prima è una prova orale, la seconda è una prova documentale atipica, rimessa al prudente apprezzamento del giudice, così nulla si oppone perché siano acquisite al giudizio le dichiarazioni scritte di terzi sui fatti di causa. Gli scritti provenienti da terzi, dunque, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, non essendo stati raccolti nell'ambito del giudizio in contraddittorio tra le parti, né di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice del merito e possono, in concomitanza con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia, fornire utili elementi di convincimento, specie ove sia stata provata la veridicità formale (v., Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2000, n. 12763). Né può ritenersi, del resto, che il ricorso alle dichiarazioni scritte di terzi configuri violazione del principio del contraddittorio atteso che, se è pur vero che le stesse sono raccolte al di fuori del processo, con la produzione in causa, sulle stesse si forma il contraddittorio.

Osservazioni

La l. 18 giugno 2009, n. 69 ha seppur con prudenza, generalizzato la possibilità che si faccia ricorso alla cosiddetta testimonianza scritta. A questa nuova modalità di assunzione della testimonianza è dedicato l'art. 257-bis, c.p.c.. Invero, l'intervenuta generalizzazione dello strumento probatorio della testimonianza scritta, prima circoscritto esclusivamente al giudizio arbitrale, modifica i termini del rapporto fra prova testimoniale ed atipicità della prova, ma ciò non significa affatto che, per l'effetto, sia venuta meno l'atipicità della dichiarazione proveniente da un terzo contenuta in un documento, indipendentemente dal fatto che detta dichiarazione sia stata o meno raccolta da un pubblico ufficiale. È opportuno precisare che, a seguito dell'intervento del legislatore del 2009 deve ritenersi che cessi di essere atipica, in quanto tale, la modalità di assunzione della testimonianza per iscritto ma lo è, comunque, la sua assunzione in forma scritta al di fuori delle modalità predeterminate dai nuovi artt. 257- bis, c.p.c. e 103-bis, disp. att. c.p.c., ossia in assenza di processo già pendente, in riferimento ai capitoli ammessi dal giudice di quel processo.

Di conseguenza, anche dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 69 del 2009, l'assunzione della prova testimoniale in forma scritta può non essere tipica ma restare piuttosto atipica qualora avvenga con modalità differenti da quelle predeterminate dal legislatore del 2009, con conseguente impossibilità di riconoscerle la medesima valenza probatoria della prova testimoniale. Difatti, con riguardo alla dichiarazione di un terzo che la parte intenda produrre in giudizio la stessa si risolve in una vera e propria testimonianza scritta, la quale non può più rivestire alcun ruolo se non si sia formata secondo il procedimento stabilito per il nuovo istituto, non essendovi ulteriore spazio, nell'ambito del giudizio ordinario di cognizione, per l'acquisizione di una mera dichiarazione scritta di un terzo, sostitutiva della prova testimoniale. Purtuttavia, come del resto viene ribadito dal decisum in rassegna, nell'odierno sistema processuale gli scritti provenienti da terzi, pur non avendo efficacia di prova testimoniale, non essendo stati raccolti nell'ambito del giudizio in contraddittorio delle parti, né di prova piena, sono rimessi alla libera valutazione del giudice di merito, e possono, in concomitanza con altre circostanze desumibili dalla stessa natura della controversia, fornire utili elementi di convincimento, specie ove di essi sia stata provata la veridicità formale. È pur vero, del resto, che tra prove tipiche ed atipiche non esiste un gerarchia, sicché il giudice può servirsi di entrambi i tipi di prova per accertare i fatti, ma non esiste neppure una gerarchia inversa che giustifichi la prevalenza delle prove atipiche sulle prove tipiche. Tanto meno, poi, l'esistenza di prove atipiche può giustificare l'esclusione di tutte le prove, tipiche o atipiche, che una parte abbia dedotto.

Guida all'approfondimento

BESSO, Prove atipiche e testimonianza scritta, in Giur. it., 2001, 1378;

DONDI, Prova testimoniale nel processo civile, in Dig. Civ., XVI, Torino, 1997, 61-64;

FABIANI, Note sulla nuova figura di testimonianza (c.d. scritta) introdotta dalla

legge n. 69 del 2009

, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 3, 823;

GIORDANO, L'istruzione probatoria nel processo civile, Milano, 2013, 58-63;

RONCO, Riflessioni sulla disciplina processuale e sull'efficacia probatoria delle scritture provenienti da terzi, in Riv. dir. civ., 1986, II, 545 ss.;

TARUFFO, La valutazione della prova. Prova libera e prova legale. Prove e argomenti di prova in www.csm.it

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