Le dichiarazioni rese da una parte all'altra in sede transattiva non integrano confessione

10 Giugno 2016

Il riconoscimento di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte non ha natura confessoria, per mancanza di "animus confitendi", ove costituisca l'oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione.
Massima

Il riconoscimento di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte non ha natura confessoria, per mancanza di "animus confitendi", ove costituisca l'oggetto di una delle reciproche concessioni di un contratto di transazione, poiché non integra una dichiarazione di scienza che sia fine a se stessa, ma s'inserisce nel contenuto del contratto transattivo ed è strumentale rispetto al raggiungimento dello scopo di questo, il che fa venir meno, nella rappresentazione interna che l'autore si forma della propria dichiarazione, la basilare caratteristica che alle confessioni conferisce forza probante. Ne consegue che, al fine dell'annullamento della transazione su pretesa temeraria, a norma dell'art. 1971 c.c., la temerarietà della pretesa non può essere provata per mezzo delle dichiarazioni rese dalle parti in sede di transazione circa le reciproche concessioni che ciascuna fa all'altra.

Il caso

Il soggetto danneggiato a seguito di un sinistro stradale conveniva in giudizio la responsabile civile del sinistro e la relativa compagnia assicurativa, al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti. In particolare, secondo le prospettazioni dell'attore, il sinistro si verificava, in prossimità di un incrocio,allorquando la convenuta, che proveniva dall'opposto senso di marcia, investiva l'istante mentre era alla guida della moto di sua proprietà. Il Tribunale adito rigettava la domanda e dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda riconvenzionale avanzata dalla convenuta, che aveva concluso con il danneggiato un accordo transattivo in corso di causa.

La Corte d'appello adita rigettava l'appello proposto dall'originario attore.

Avverso la sentenza della Corte d'appello, il danneggiato propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi. Gli intimati non hanno svolto difese.

La questione

Tra i vari motivi sollevati dal ricorrente per Cassazione viene in particolare rilievo la censura del rigetto dei motivi di gravame con i quali il ricorrente aveva fatto valere la mancata risposta all'interrogatorio formale da parte della convenuta/responsabile civile del sinistro e l'assunzione di responsabilità da parte della stessa contenuta nell'atto di transazione concluso con la compagnia di assicurazione.

Emerge, quindi, la problematica inerente alla natura confessoria o meno di tali dichiarazioni.

Nello specifico, la questione giuridica principale è la seguente: le dichiarazioni di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all'altra parte rese stragiudizialmente nell'ambito di un accordo transattivo possono avere natura confessoria ai sensi e per gli effetti dell'art. 2735, comma 1, c.c.?

Le soluzioni giuridiche

Con particolare riferimento alla questione giuridica suindicata, la soluzione fornita dalla Suprema Corte con la sentenza in commento si pone in conformità con l'indirizzo interpretativo seguito dai precedenti di legittimità: in particolare, la Corte ha confermato che il riconoscimento di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte, qualora costituisca l'oggetto di una delle reciproche concessioni di un accordo transattivo, non ha natura confessoria per mancanza di animus confitendi.

Viene evidenziato, a riguardo, che le dichiarazioni di scienza in questione non sono fini a sé stesse, ma si inseriscono nel contenuto di un accordo transattivo e sono, pertanto, strumentali rispetto al raggiungimento dello scopo di questo. Tale circostanza fa venire meno, nella rappresentazione interna dell'autore della dichiarazione, la basilare caratteristica che conferisce forza probante alle confessioni. Precisa, inoltre, il Supremo Collegio che tale soluzione non è smentita nemmeno da quell'orientamento per il quale nel contenuto complessivo di una proposta transattiva o di una transazione può distinguersi anche un momento accertativo di una situazione di fatto preesistente. Solo in tal caso le dichiarazioni di scienza hanno valore confessorio, a condizione, tuttavia, che esse abbiano per oggetto la ricognizione di situazioni fattuali o di situazioni giuridiche considerate sub specie facti (i.e un preesistente negozio, un contratto, una promessa) e non già valutazioni giuridiche (così Cass. civ., sez. II, sent., 6 febbraio 2009 n. 3033).

Osservazioni

Al fine di meglio comprendere la portata della decisione in esame, occorre richiamare la nozione di confessione, nonché i requisiti soggettivi e oggettivi necessari affinché la stessa possa ricorrere.

L'art. 2730 c.c.dispone che la confessione è «la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte». Per ciò che attiene all'elemento soggettivo esso deve consistere nella consapevolezza e volontà da parte della persona confitente di ammettere i fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte; il requisito di natura oggettiva, invece, corrisponde all'effettiva capacità dei fatti narrati dal confitente di generargli pregiudizio e, corrispondentemente, creare un vantaggio nei confronti dell'altro soggetto coinvolto nella fattispecie oggetto di accertamento. Il difetto di entrambi o, semplicemente, di uno di detti elementi priva la dichiarazione del confitente del valore confessorio, quindi della sua utilità istruttoria.

La confessione viene poi distinta, con eguale attribuzione d'efficacia, in giudiziale e stragiudiziale, ricevendo, però, quest'ultima nozione una specifica disciplina al successivo art. 2735 c.c.. Tale disposizione afferma che la confessione stragiudiziale se è resa alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale; se è resa ad un terzo o se è contenuta in un testamento è liberamente apprezzata dal giudice. Per mera completezza si evidenzia come il comma 2 dell'art. 2735 c.c. disponga che la confessione stragiudiziale per produrre la sua efficacia probatoria deve essere provata in giudizio; a tal proposito, la norma dispone il divieto di provare per testimoni la confessione resa stragiudizialmente qualora la stessa verta su un oggetto per il quale la prova testimoniale non è ammessa dalla legge.

Come evidenziato, la Suprema Corte, al fine di fornire risposta alla questione in esame, ovvero se le dichiarazioni fatte da una parte all'altra in seno ad un accordo transattivo possano o meno avere natura confessoria, ha incentrato la sua indagine sull'elemento soggettivo e ritenuto che in detta ipotesi non sussiste l'animus confitendi.

Detto elemento, nella confessione si configura come mera volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto dichiarato (obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all'altra parte) senza che sia necessaria l'ulteriore consapevolezza delle conseguenze giuridiche che ne possono derivare.

Diversamente – e di qui la con divisibilità del ragionamento compiuto dalla S.C. - nella transazione qualsivoglia dichiarazione resa si caratterizzata per la precipua finalità conciliativa, realizzata tramite reciproche concessioni:la transazione, infatti, si concreta in un negozio con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che potrà sorgere tra di loro. La presenza di tale finalità conciliativa, pertanto, porta ad escludere la presenza del fondamentale elemento soggettivo tipico della confessione (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2015, n. 12691).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.