Sulla sospensione del processo civile per pendenza di giudizio penale dibattimentale
11 Giugno 2016
Massima
Il rapporto tra il processo civile e quello penale è ispirato al principio della separatezza dei due giudizi, sicché il giudizio civile di danno deve essere sospeso soltanto quando l'azione civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo la sentenza penale di primo grado (art. 75 c.p.p.), atteso che esclusivamente in tali casi si verifica una concreta interferenza del giudicato penale nel giudizio civile, non potendosi pervenire anticipatamente ad un esito potenzialmente difforme da quello penale in ordine alla sussistenza di uno o più dei comuni presupposti di fatto. Il caso
La vicenda trae origine da un'azione civile di risarcimento danni (iure proprio e iure successionis) intrapresa, nei confronti dell'Asl e del medico ritenuti responsabili, dai prossimi congiunti di un soggetto che si era tolto la vita in ospedale. Il Tribunale, rilevata la pendenza di giudizio penale dibattimentale a carico del medico convenuto, disponeva con ordinanza la sospensione del giudizio civile fino al passaggio in giudicato della sentenza penale. Avverso tale ordinanza gli attori proponevano regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c., affidandosi a due motivi. I convenuti resistevano con separate memorie difensive ex art. 47 c.p.c. La questione
I ricorrenti per cassazione con i due motivi proposto si dolgono che sia stata erroneamente disposta la sospensione del processo, in quanto, non essendo più ammissibile la sospensione facoltativa o discrezionale ex art. 297 c.p.c., la stessa deve ricondursi alla sospensione necessaria, per la cui adozione, a detta dei ricorrenti, difettano,nella specie, i presupposti. Con le suddette doglianze,i giudici di legittimità si trovano a dover preliminarmente comprendere se ci siano ancora margini di spazio per una sospensione facoltativa del processo e, successivamente, se e quali interferenze tra il giudizio civile e quello penale siano idonee a concretare i presupposti per una sospensione del giudizio civile. In concreto il quesito è il seguente: la pendenza di un giudizio penale dibattimentale a carico del convenuto in un processo civile instaurato per il riconoscimento del risarcimento dei danni, alla lucedell'inconfigurabilità di una sospensione facoltativa ope iudicis al di fuori dei casi tassativi di sospensione ex lege, costituisce un presupposto idoneo a legittimare la sospensione del processo ex art. 295 c.p.c.? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte accoglie il ricorso ordinando la prosecuzione del giudizio civile dinanzi al Tribunale di merito. Nello specifico, i giudici di legittimità ripercorrono i principi fondamentali in materia di sospensione del giudizio civile sia alla luce della ratio sottesa alle riforme legislative intervenute negli ultimi anni sia con riguardo alla giurisprudenza di legittimità. Più in particolare, la Suprema Corte ricorda, innanzitutto, che, nel quadro dell'attuale disciplina dell'art. 42 c.p.c. (rimedio del regolamento necessario di competenza esperibile contro i soli provvedimenti che dichiarano la sospensione ai sensi dell'art. 295 e non anche di quelli che la negano), la più recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che non vi è alcuno spazio per una sospensione «facoltativa» o «discrezionale» del processo, dovendosi escludere che il processo civile possa essere sospeso dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale. L'inammissibilità di una sospensione ope iudicis, fondata sulla discrezionalità del giudice di merito, comporta che è sempre impugnabile, ai sensi dell'art. 42 c.p.c., ogni sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e che il ricorso deve essere accolto ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione ex lege, non essendo ipotizzabile un tertium genus di sospensione oltre agli istituti della sospensione necessaria e di quella su istanza di parte (in tal senso, Cass. civ., sez. U., ord., 1 ottobre 2003 n. 14670). Pertanto il Supremo Collegio ritiene che, nel caso di specie, tenendo conto della ridotta influenza del giudicato penale nel giudizio civile, il giudizio civile per il risarcimento danni possa essere sospeso solo quando l'azione civile è stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo la sentenza di primo grado, poiché solo in questi casi si possono creare situazioni di interferenza e incompatibilità tra i due giudizi (art. 75, comma 3, c.p.p.). Peraltro a rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del processo penale non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale. Al di fuori di tali ipotesi il giudizio civile prosegue autonomamente e il giudice accerta liberamente i fatti e le responsabilità con pienezza di cognizione, senza essere tenuto a sospendere il giudizio civile e senza essere vincolato alle risultanze del processo penale. Come evidenzia il Supremo Collegio nell'ordinanza in esame, non è escluso che il giudice civile possa utilizzare come fonte del proprio convincimento anche le prove raccolte nel processo penale definito con sentenza passata in giudicato, ma di certo ciò non comporta l'obbligo della sospensione. In sostanza, la S.C. afferma che il giudizio civile di danno deve essere sospeso solamente allorquando l'azione civile risulti essere stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo la sentenza penale di primo grado (art. 75 c.p.p.), giacché esclusivamente in tali casi si verifica una concreta interferenza del giudicato penale nel giudizio civile di danno; quindi, ad eccezione delle ipotesi di sospensione del giudizio civile previste all'art. 75, comma 3, c.p.p., appena indicate, il processo civile prosegue il suo corso senza essere influenzato da quello penale.
Osservazioni
L'ordinanza della Suprema Corte in commento esamina il rapporto tra il giudizio risarcitorio civile ed il processo penale. Al fine di comprendere la portata della decisione che si annota appare pertanto opportuno ripercorrere brevemente gli approdi cui si è giunti circa le interferenze tra il giudizio civile e quello penale. In effetti, un fatto produttivo di danno può rivestire una duplice valenza, in quanto può costituire, allo stesso tempo, sia un illecito civile che un illecito penale. Invero, la questione dell'interferenza tra il giudizio civile e quello penale può ritenersi oggi superata; infatti, nel precedente sistema processuale vigeva il dogma della unitarietà e della prevalenza del giudizio penale, giacché l'art. 295 c.p.c. prevedeva, in relazione al previgente art. 3 c.p.p., che quando i fatti a base della controversia civile erano anche quelli oggetto di accertamento in sede penale, il processo civile doveva essere sospeso. A seguito di alcune pronunce della Consulta nonché al riformato c.p.p. si è sancito il superamento di tale principio, aprendosi così la strada alla possibilità che il giudizio penale e quello civile scorrano su due binari paralleli, concludendosi anche con giudicati contraddittori. La norma fondamentale di riferimento è quindi il vigente art. 75 c.p.p. che prevede tre ipotesi:
In sostanza, la sospensione necessaria è prevista unicamente dall'art. 75, comma 3, c.p.p. La più recente giurisprudenza della Suprema Corte ha fatto, quindi, coerentemente propria la tesi della completa autonomia e separazione del giudizio civile da quello penale pregiudiziale, non offrendo l'ordinamento altro mezzo preventivo di coordinamento dei due giudizi all'infuori di quello previsto dall'art. 75 c.p.p., con il duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e del giudizio penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e dell'obbligo del giudice civile di accertare in modo autonomo i fatti e la responsabilità (ex plurimis Cass. civ., sez. U., sent., 05 novembre 2001, n. 13682). Inoltre, lo sfavore nei confronti del fenomeno sospensivo è giustificato anche dalla circostanza che detto istituto, determinando una stasi processuale sovente significativa, si pone in contrasto sia con il canone della durata ragionevole del processo che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi dell'art. 111 Cost., come modificato dalla l. cost. 3 del 2001, sia con l'analogo principio enunciato dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. |