Costituzione in appello effettuata per posta: quali rischi si corrono?
11 Settembre 2017
Massima
L'invio a mezzo posta dell'atto processuale destinato alla cancelleria — al di fuori delle ipotesi normativamente contemplate — dà luogo ad un irrituale deposito dell'atto, suscettibile tuttavia, ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., di sanatoria, che si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere, e non invece dell'ufficio addetto alla ricezione della posta. Il caso
Rimasta soccombente in primo grado, in un giudizio civile ordinario svoltosi dinanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, una donna notifica tempestivamente l'atto d'appello, e provvede quindi alla costituzione inviando a mezzo del servizio postale l'atto notificato e, a quanto par di capire, il proprio fascicolo, alla competente corte d'appello di Napoli. L'atto giunge, tuttavia, in un primo tempo «all'ufficio addetto alla ricezione della posta» e, solo in un secondo tempo, alla cancelleria della corte d'appello, quando il termine per la costituzione dell'appellante, fissato dall'art. 347 c.p.c. in 10 giorni attraverso il rinvio all'art. 165 c.p.c., è ormai spirato. La Corte d'appello, applicando il citato art. 347, dichiara dunque improcedibile l'impugnazione. Osserva che la spedizione alla cancelleria del plico contenente gli atti per la costituzione rappresenta una modalità non espressamente individuata dal legislatore e, tuttavia, non preclusa alla parte, «costituendo una mera irregolarità procedimentale, sanabile a seguito del raggiungimento dello scopo dell'atto ex art. 156 c.p.c. e, quindi, a seguito della tempestiva ricezione dello stesso da parte della Cancelleria». E tuttavia aggiunge che la parte assume il rischio che tale scopo non venga realizzato entro il termine prescritto e che, nel caso specifico, «il ritardo nelle operazioni di smistamento da parte dell'ufficio protocollo è imputabile esclusivamente all'appellante, il quale ha riportato sul plico un'indicazione generica dell'ufficio di destinazione e non ha fornito alcuna annotazione riguardante gli atti in esso contenuti» onde consentire un «tempestivo smistamento verso la cancelleria dell'ufficio giudiziario competente». Contro la sentenza la soccombente propone ricorso per cassazione, essenzialmente sostenendo che il perfezionamento della costituzione andava ancorato alla data in cui il plico era pervenuto all'ufficio protocollo e non a quella, successiva, in cui esso era stato smistato alla competente cancelleria.
La questione
Può l'appellante costituirsi trasmettendo a mezzo del servizio postale gli atti necessari alla cancelleria del giudice dell'impugnazione competente? E se sì, entro quali limiti ed al prezzo di quali rischi? Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione rigetta il ricorso. In realtà, dalla prima parte della motivazione dell'ordinanza in commento emergono rilievi di inammissibilità, più che di infondatezza dell'impugnazione: ed infatti la SC osserva che la ricorrente non ha in buona sostanza colto la ratio decidendi posta a sostegno della decisione impugnata, non avendo replicato alle affermazioni svolte dalla corte d'appello secondo cui, per un verso, il perfezionamento della costituzione ha luogo nel momento in cui il plico perviene non all'ufficio protocollo, bensì nell'effettiva disponibilità del Cancelliere, e, per altro verso, il plico difettava nel caso di specie di adeguate informazioni utili a consentirne un rapido smistamento. Dopodiché, tuttavia, la Suprema Corte prende posizione sull'infondatezza della doglianza richiamando la propria giurisprudenza, che ha individuato nella «ricezione dell'atto a fini processuali» (Cass. civ., Sez. Un., sent., 4 marzo 2009, n. 5160) il momento in cui si determina la sanatoria della costituzione a mezzo posta, aggiungendo che il raggiungimento dello scopo è integrato dalla presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario e dalla messa a disposizione dell'atto in favore delle altre parti (Cass. civ., sent., 12 maggio 2016, n.9772, concernente il deposito telematico di atti da depositarsi in cartaceo). Osservazioni
Capisco bene le difficoltà in cui si imbatte un avvocato al cospetto del processo civile telematico, laddove occorre distinguere, in una pluralità di situazioni opinabili, se un determinato atto ha da essere depositato per via telematica ovvero in cartaceo: e comprendo di conseguenza l'atteggiamento elastico adottato in proposito dalla giurisprudenza (mi riferisco a Cass. civ., Sent., 12 maggio 2016, n.9772, citata anche dall'ordinanza in esame). Non capisco affatto, invece, quali moti di pensiero alberghino nella mente dell'avvocato che, nella veste di appellante, dovendosi costituire in appello, scelga di inviare al giudice ad quem gli atti necessari alla costituzione a mezzo del servizio postale. Se facessi l'avvocato, aprirei il codice di procedura civile nel capo dedicato all'appello e cercherei la norma dedicata alla costituzione dell'appellante; constaterei che l'art. 347 c.p.c. rinvia all'art. 165 c.p.c. e prenderei atto che, in forza del combinato disposto delle due norme, l'appellante deve costituirsi depositando in cancelleria la nota d'iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente quanto indicato dalla norma. Dopodiché provvederei di conseguenza. Non mi passerebbe affatto per la testa, viceversa, di spedire il necessario a mezzo del servizio postale. Ma, evidentemente, non è questo, sovente, il modo di ragionare dell'avvocato. Ed infatti la questione della validità della costituzione effettuata a mezzo del servizio postale ha una storia lunga e contrastata. In epoca ormai remota, si affermava — ad esempio in fattispecie concernente il rito del lavoro — che l'invio per mezzo del servizio postale del ricorso contenente l'atto di appello non può considerarsi equipollente al deposito in cancelleria richiesto dal comma 2 dell'art. 434 c.p.c. (Cass. civ., Sent., 10 aprile 1980, n. 2306). Ancora nel 2007 si confermava che «nelle controversie di lavoro, la spedizione dell'atto introduttivo del giudizio a mezzo del servizio postale, pur se pervenuto nella cancelleria del giudice del lavoro nei termini di legge, integra una modalità non prevista in via generale (salva l'espressa eccezione rappresentata dall'art. 134 disp. att. c.p.c. per il deposito del ricorso per cassazione e del controricorso) ed è carente del requisito formale indispensabile (il deposito in cancelleria ex art. 415 c.p.c.) per il raggiungimento dello scopo, cui è destinato dalla legge, conseguendone la nullità della prescelta modalità di proposizione del ricorso, nella specie in opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell'art. 156, comma 2, c.p.c. e la rilevabilità d'ufficio e l'insanabilità del relativo vizio, ancorché il cancelliere abbia erroneamente proceduto all'iscrizione a ruolo della causa relativa» (Cass. civ., sent., 12 ottobre 2007, n. 21447). Ma già negli anni ‘80 del secolo scorso, con riguardo all'opposizione ad ordinanza-ingiunzione ai sensi della legge n. 689/1981, la Suprema Corte, non ha negato in radice che un'opposizione ad ingiunzione potesse essere proposta a mezzo del servizio postale, ma, nel caso considerato, ha ritenuto legittimo il comportamento del cancelliere di non accettare l'atto, semplicemente perché non corredato dei depositi prescritti dalle norme all'epoca vigenti (Cass. civ., Sez. Un., Sent., 17 giugno 1988, n. 4130). Nondimeno, per lungo tempo è stato ribadito l'orientamento negativo, sul rilievo che la consegna dell'opposizione ad ordinanza-ingiunzione «direttamente al cancelliere, da parte del soggetto legittimato a presentarlo, è da considerarsi il modo "normale" per l'effettuazione del deposito, alla luce […] dei connessi compiti di certificazione e controllo sulla regolarità dell'adempimento. Il deposito a mezzo posta, quindi, è l'eccezione, di modo che non può ritenersi ammissibile in carenza di una norma che espressamente lo preveda. La conferma che il deposito "a mano" ed il deposito "per posta" configurano, rispettivamente, la regola e l'eccezione si ricava dall' art. 134 disp. att. c.p.c. , il quale, nel conferire la facoltà di provvedere al deposito del ricorso per cassazione (o del controricorso) mediante invio di plico raccomandato al cancelliere, adotta una formulazione di tipo integrativo, muovendo dall'implicito presupposto che, altrimenti, l'avvocato sottoscrittore del ricorso medesimo non potrebbe sottrarsi all'onere di consegnarlo direttamente e personalmente. La citata disposizione d'attuazione, peraltro, risponde alle peculiari esigenze del procedimento di legittimità, devoluto ad un organo centralizzato, in funzione di giudice d'impugnazione rispetto a pronunce rese nell'intero ambito nazionale» (Cass. civ., Sez. I. Sent., 14 marzo 1992, n. 3137; nello stesso senso Cass. civ., Sent., 15 febbraio 1999, n. 1262; Cass. civ., Sent., 18 marzo 1999, n. 2450). In seguito, la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. dell'art. 22, commi 1 e 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario), nella parte in cui non consentiva, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l'utilizzo del servizio postale. Sulla scia di tale decisione lo stesso giudice delle leggi ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 22, l. n. 689/1981, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non consentiva l'utilizzo del servizio postale per la proposizione del ricorso in opposizione contro l'ordinanza-ingiunzione (Corte cost. 18 marzo 2004, n. 98), precisando che, in applicazione dei noti principi concernenti la scissione dei momenti perfezionativi della notificazione (Corte cost. 26 novembre 2002, n. 477; Corte cost. 23 gennaio 2004, n. 28), «l'opposizione dovrà ritenersi tempestiva purché la spedizione del plico sia intervenuta entro il termine previsto dal comma 1 dell'art. 22». Di qui si perviene ad un profondo mutamento di indirizzo, di rilievo generale, nella giurisprudenza di legittimità. Viene affermato, difatti, che l'invio a mezzo posta dell'atto processuale destinato alla cancelleria (nella specie, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvenzionale) — al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione — realizza un deposito dell'atto irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando un'attività materiale priva di requisito volitivo autonomo e che non necessariamente deve essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio ex art. 156, terzo comma, c.p.c.; in tal caso, la sanatoria — questo il punto qui rilevante — si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione (Cass., Sez.Un., Sent., 4 marzo 2009, n.5160). Tale soluzione è stata ulteriormente ribadita da Cass. civ., sent, 17 gennaio 2017, n.1027, poi dall'ordinanza in commento. Tutto chiaro, dunque? Possiamo dire che l'appellante può costituirsi a mezzo del servizio postale, purché l'atto arrivi al cancelliere entro i 10 giorni previsti? Nient'affatto. Di mezzo occorre considerare l'affermazione di segno totalmente opposto secondo cui la disciplina risultante dall'art. 165 c.p.c. (e dagli artt. 72, 73 e 74 disp. att. c.p.c.), nel richiedere alla parte attrice - a mezzo del proprio procuratore o personalmente nei casi consentiti dalla legge - il deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo, contenente l'originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione, è finalizzata a consentire alla cancelleria il controllo dell'esistenza dei documenti prodotti ed alla parte convenuta di contestarne, eventualmente, sia la genuinità che l'attinenza rispetto alla questione da trattare. Di conseguenza essa - mirando a soddisfare esigenze sia di correttezza che di certezza in ordine all'instaurazione del rapporto processuale - non si pone in contrasto né con gli artt. 24 e 111 Cost., né con il diritto dell'Unione europea, in particolare quello emergente dalle sentenze della Corte di giustizia in tema di libera circolazione delle persone, secondo cui l'osservanza della normativa processuale interna non restringe alcuno spazio di giustizia, che va pur sempre realizzato nel rispetto dei diritti fondamentali e delle differenze degli ordinamenti e delle tradizioni giuridiche degli stati membri (Cass. civ., sent., 21 maggio 2013, n.12391). Insomma, consegnare l'atto al cancelliere non è un vuoto formalismo sostituibile con l'invio dell'atto per posta, ma ha un preciso scopo, che è quello di verificare completezza ed ammissibilità degli atti depositati. Al di là di questo contrasto, che mi sembra essere occulto (Cass. 12391/2013 non cita Cass. 5160/2009; le conformi a quest'ultima non citano Cass. 12391/2013), mi parrebbe legittimo un semplice suggerimento: laddove si prospettano soluzioni opinabili si invochino pure, e legittimamente, letture antiformaliste delle norme, giacché, come diceva Satta, «il formalismo comincia dove il diritto finisce» (Satta, Il formalismo del processo, in Il mistero del processo, Milano, 1994, 86); laddove il codice parla chiaro, citerei invece Confucio: «Chi può uscire se non per la porta? Perché dunque si vuole avanzare non per questa via?» (Confucio, I dialoghi, Milano, 1975, 96). |