I riflessi di accertamento, non contestazione e dichiarazione sull'ordinanza di assegnazione nell'espropriazione presso terzi
12 Maggio 2017
Premessa
Le riforme del codice di procedura civile (la prima introdotta dalla l. n. 228/2012; la seconda con l. n. 162/14; la terza con l. n. 132/15) hanno profondamente innovato la materia dell'espropriazione presso terzi, ed in particolare hanno letteralmente stravolto la disciplina dell'accertamento dell'obbligo del terzo. E' noto anzitutto che se in precedenza l'art. 548 c.p.c. prevedeva un accertamento demandato ad un autonomo giudizio di cognizione ordinaria, pur introdotto da un'istanza di istruzione rivolta al g.e., oggi tale accertamento avviene nell'ambito di un subprocedimento endoesecutivo definito con ordinanza, e tale subprocedimento può altresì riguardare l'esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo. Peraltro l'oggetto del subprocedimento coincide con quello del vecchio giudizio, essendo questo costituito infatti dalla definizione dell'oggetto del pignoramento come conferma ulteriormente la sua natura endoesecutiva, per cui l'azione continua per ciò solo ad essere qualificabile come esercitata iure proprio. Alla definizione dell'oggetto del pignoramento è strumentale anche la dichiarazione positiva, cui il legislatore ha aggiunto la non contestazione del credito, ricollegata alla mancata dichiarazione, quest'ultima di cui al nuovo testo dell'art. 548 c.p.c., altra grande novità delle riforme che va a sostituire anch'essa il vecchio giudizio il quale, per il caso di mancata comparizione o ricusazione della dichiarazione, prevedeva l'applicazione della disposizione di cui all'art. 232 c.p.c. (cd. ficta confessio). In questo breve studio si tenterà di analizzare in parallelo le tre diverse situazioni che si possono creare nell'espropriazione presso terzi in base al comportamento del terzo, e cioè:
E soprattutto si illustreranno i riflessi che i diversi comportamenti sovra indicati hanno sul titolo esecutivo che si forma a seguito di essi, cioè sull'ordinanza di assegnazione. In base allo schema delineato dagli artt. 547, 548 e 549 cpc come riformati, un primo possibile comportamento del terzo è costituito dal fatto che egli renda dichiarazione positiva. Ho già sostenuto in passato e confermo che per me tale dichiarazione ha valore di accertamento costitutivo e in particolare di confessione, se si vuole stragiudiziale (dal momento che il terzo non è certo parte del processo esecutivo).
Il terzo, una volta che abbia reso tale dichiarazione, ma prima che intervenga l'ordinanza di assegnazione del credito al creditore procedente, potrà quindi sì revocare la sua dichiarazione, ma solo a condizione che ricorrano le ipotesi contemplate dall'art. 2732 c.c., e cioè l'errore di fatto o la violenza (Cass. 13 febbraio 1954, n. 357). Circa il grado di precisione della dichiarazione, se cioè essa debba anche specificare l'entità del credito, qui vale il criterio generale per cui il titolo esecutivo (qual è poi l'ordinanza di assegnazione che conseguirà alla dichiarazione) deve essere fondato su un credito liquido (art. 474 c.p.c.). Pur potendosi ritenere l'opportunità di disporre prima la comparizione del terzo all'udienza, ritengo che se ciononostante la dichiarazione rimanga generica, il creditore possa instare per l'introduzione di un accertamento ai sensi dell'art.549 c.p.c., nonostante l'orientamento della giurisprudenza paia in senso contrario (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3851), anche in analogica applicazione di quanto si ricava dal suddetto art. 549, seconda ipotesi, cpc (su cui infra) che infatti prevede l'accertamento anche per l'esatta determinazione del credito, in caso però di mancata dichiarazione.
Il secondo possibile comportamento è quello in cui il terzo non renda la dichiarazione. Va ricordato in proposito che quest'ultima oggi è sempre data per iscritto, a mezzo di raccomandata o di pec. Ebbene se il creditore all'udienza dichiara che tale missiva non è giunta, il legislatore ha ritenuto che il giudice debba disporre un'ulteriore notifica, avente ad oggetto l'ordinanza di rinvio che lo stesso emetterà. Nulla vieta, a mio parere, che tale ordinanza contenga un nuovo avvertimento, analogo a quello che lo stesso art. 543 c.p.c. dispone sia contenuto nell'atto di pignoramento (e cioè che in caso di mancata comparizione del terzo o comunque ove questi ricusasse di rendere la dichiarazione, il credito o il possesso delle cose si considereranno non contestati). E soprattutto nulla vieta che alla prima udienza il cui verbale viene come visto notificato, il creditore possa indicare elementi identificativi del bene o del credito od anche dell'ammontare di quest'ultimo, che abbia appreso o conosca. Ciò consente di evitare il giudizio di accertamento, e al contempo in nulla comprime i diritti di difesa del terzo, che leggerà il verbale stesso Orbene se a quel punto il terzo non comparisse allora il credito si avrebbe per non contestato. Chiaro prima di tutto che il legislatore abbia voluto aggiungere la cautela della doppia udienza per evitare di ricollegare la non contestazione ad una semplice attestazione del creditore, ma sibbene alla verifica de visu da parte del giudice della mancata comparizione fisica ad un'udienza davanti a quest'ultimo. Chiaro anche però che la non contestazione di cui trattiamo è ben altra cosa da quella contemplata dall'art. 115 c.p.c. Infatti mentre in quest'ultimo caso la rilevanza della non contestazione è tutta sul piano probatorio, di talché essa si inserisce tra gli elementi che il giudice deve valutare per formulare il suo giudizio sulla fondatezza o meno della pretesa, unitamente quindi a tutto l'altro materiale probatorio a sua disposizione; nel nostro caso il semplice contegno del terzo, cioè la sua mancata comparizione o il suo rifiuto di dichiarare, di per sé soli fondano l'incontestabilità del credito (seppur con valore endoesecutivo, oltre che con riguardo all'esecuzione che sarà promossa verso il terzo). Evidente poi come tale meccanismo sia più forte e diverso da quello che prevedeva la vecchia normativa, in base alla quale in caso di mancata comparizione per la dichiarazione, se il terzo neppure compariva nel corso del processo di cognizione ex art. 548 testo abrg., c.p.c., veniva applicata la disposizione di cui all'art. 232 c.p.c. (la cd ficta confessio). Infatti non solo la suddetta ficta confessio costituisce un elemento di prova che pur sempre confluisce in un giudizio e che non costituisce una prova legale, ma il terzo in quel giudizio era certamente parte, mentre nel processo esecutivo in cui si forma la non contestazione (a differenza che nel subprocedimento di cui si dirà fra poco), egli tale non è. Non credo però che tale effetto d'incontestabilità si possa produrre immediatamente, perché anzi ritengo che la mancata dichiarazione sia sicuramente superata da una dichiarazione, sia essa positiva o negativa, che intervenga prima che venga emessa l'ordinanza di assegnazione, e senza che sussista alcun vincolo per il terzo circa i presupposti per l'esercizio di tale facoltà. Ciò dal momento che solo l'ordinanza di assegnazione attribuisce carattere definitivo al vincolo esecutivo che discende dalla mancata contestazione, posto che l'effetto previsto dall'art. 548 c.p.c. dipende non solo dalla verifica della mancata dichiarazione, ma altresì dalla valutazione circa l'identificabilità del bene o del credito e dall'emissione dell'ordinanza di assegnazione. Chiaramente spesso non vi sarà uno iato temporale fra la presa d'atto e l'assegnazione, ma per varie ragioni ciò potrebbe sempre accadere. Da notare che nell'ipotesi di non contestazione del possesso di beni oppure quella di crediti scadenti oltre i novanta giorni, in quest'ultimo caso ove non sia fatta concorde richiesta di assegnazione (sempre che tale richiesta non sia fatta contestualmente a quella di rilevare la mancata comparizione), l'effetto in parola si produrrà con il provvedimento che dispone la vendita.
La terza possibilità è data dal fatto che sulla dichiarazione del terzo sorgano delle contestazioni. Si tratterà di dichiarazioni negative, condizionate o parziali, ma quel che è certo è che non si tratterà di dichiarazioni integralmente positive e complete, perché in tal caso non vi sarebbe alcuno spazio per un accertamento. Le contestazioni non potranno peraltro essere sollevate dal debitore, e ciò se si accetta il presupposto di partenza, per cui oggetto dell'accertamento è la definizione dell'oggetto del pignoramento, rispetto al quale il debitore non ha alcun interesse. Accanto all'accertamento vero e proprio del credito (totale o parziale, o della sua esigibilità), si può avere come oggetto del giudizio l'esatta identificazione del credito in caso di mancata dichiarazione (ma anche, come anticipato retro, di irriducibile genericità della dichiarazione positiva), il che si verificherà allorché nell'atto di cui all'art. 543 c.p.c. ( integrabile a mio avviso anche alla prima udienza ex art. 548 c.p.c.) il creditore non abbia potuto formulare una esatta identificazione dello stesso o del suo ammontare. Sotto il profilo dell'esatta identificazione del credito non mette conto qui approfondire oltre l'argomento, sul che mi permetto di rinviare ad altro mio scritto. Invece è di interesse affrontare il tema della determinazione dell'ammontare del credito qual possibile oggetto dell'accertamento ex art. 549 c.p.c.. In dottrina che l'ammontare possa essere oggetto del subprocedimento è stato negato, sull'osservazione che a dover essere certa è solo la causa del credito. A parte la pacifica ipotesi del credito inesigibile entro novanta giorni, che per essere venduto deve necessariamente essere determinato nel suo ammontare, alle surriferite conclusioni non può a mio avviso giungersi per varie ragioni, ma prima di tutto per due: la prima è che l'art. 543 c.p.c. presuppone ai fini dell'effetto vincolante della non contestazione che il credito si consideri tale “nell'ammontare o nei termini indicati dal creditore”, locuzione che sebbene offra un'alternativa (tra “ammontare” e “termini”), lo fa tra due espressioni che non lasciano seri dubbi circa la necessità di una determinazione o determinabilità dell'importo dovuto. L'altra decisiva ragione sta in ciò, che l'ordinanza di assegnazione costituisce titolo esecutivo per l'esecuzione che dovesse essere promossa verso il terzo, e l'art. 474, 1° comma, c.p.c., stabilisce per i crediti (pecuniari) il requisito della liquidità, e un credito né determinato né determinabile non è liquido. Anche i limiti di cui all'art. 546 c.p.c. valgono a contenere l'entità massima del diritto trasferito al creditore procedente, ma non certo a conferire liquidità a un diritto che tale elemento non riporti nel relativo titolo. Al postutto non si vede perché e come proprio per questo titolo si dovrebbe derogare a siffatta regola, con la precisazione che ovviamente un simile accertamento si renderà necessario solo in caso di indeterminabilità vera e propria e che la certezza della preponderanza del credito pignorato rispetto a quello oggetto del titolo del o dei creditori risulta sufficiente (in tal caso si procederà all'assegnazione fino alla concorrenza di tali crediti). Diversamente, l'assegnazione potrà riguardare un credito di ammontare indeterminabile, in quanto anch'esso suscettibile di capacità satisfattiva, ma essa non costituirà un titolo esecutivo, e costringerà in assenza di spontaneo adempimento ad autonomi giudizi di cognizione o a controversie oppositive. L'azione endoesecutiva è introdotta come il vecchio giudizio di cui al precedente testo dell'art. 548 c.p.c. a mezzo di un'istanza del creditore rivolta al g.e., che andrà certamente notificata al terzo fin lì non parte del processo esecutivo, e poi parte dell'incidente endoesecutivo di cui trattiamo, e che dovrà contenere quantomeno l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto, indispensabili per costituire anche col terzo quel contraddittorio che esplicitamente il legislatore intende sia instaurato. Se oggetto di questo subprocedimento, avente natura di giudizio pur sommario, è quello sopra indicato, e tenuto conto dell'efficacia solo endoesecutiva dell'accertamento (pur estesa all'esecuzione fondata sull'ordinanza di assegnazione), non vi sarà alcun problema di sua litispendenza con il giudizio ordinario in ipotesi già pendente sullo stesso credito tra debitore esecutato e debitor debitoris. Né sussisterà poi alcuna questione in ordine alla sospensione del processo esecutivo, perché il nostro accertamento è parte del processo esecutivo stesso. Sui poteri istruttori del g.e. in questo processo e su altre specificità dello stesso non occorre qui dire oltre (anche qui rinviandosi ad altro scritto), mentre in ordine all'oggetto dell'accertamento va chiarito che esso non potrà mai attenere alla pignorabilità dei beni. Se quest'ultima infatti non è rilevabile d'ufficio, come di regola, la questione andrà promossa dal debitore con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. (se la questione fosse irritualmente decisa dal g.e. con l'ordinanza di assegnazione, quest'ultima dovrà essere considerata come resa anche ai sensi dell'art. 624 c.p.c., con tutte le conseguenze, cfr. Cass. ord. 15 giugno 2011, n.15588); se invece sarà rilevabile d'ufficio (anche se su sollecitazione del terzo), il processo esecutivo andrà chiuso anticipatamente (cfr. art.187-bis disp. att. c.p.c.) dal giudice, con provvedimento impugnabile dal creditore ex art. 617 c.p.c.. Se poi si intendesse da parte del creditore fondare la contestazione sulla pretesa irritualità o assenza di procura da parte del dichiarante, si dovrebbe promuovere un'opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento conclusivo del giudice (se invece la questione della procura fosse di rilievo per il terzo, questi potrà ovviamente sollevare la questione della non riferibilità a sé della dichiarazione ex art. 615 c.p.c. nel processo esecutivo che contro di lui sarà promosso). Va quindi precisato che effetto ultimo della dichiarazione positiva, della non contestazione e dell'ordinanza che accerta il credito, è quello di perfezionare il pignoramento, noto essendo che il pignoramento presso terzi costituisce una fattispecie a formazione progressiva, formata dall'atto preveduto dall'art. 543 c.p.c. ed appunto dalla dichiarazione positiva o dall'ordinanza ex art. 549 c.p.c. Con la sola puntualizzazione che quanto all'ipotesi di non contestazione, il momento di perfezionamento dovrebbe qui essere considerato quello dell'emissione dell'ordinanza di assegnazione (o, trattandosi di accertamento del possesso o di crediti da porsi in vendita ex art. 553 c.p.c., col provvedimento che rispettivamente lo dichiara possessore delle cose o debitore, ai sensi dell'art. 552 c.p.c., richiamato appunto dall'art. 553 c.p.c.). In tutte e tre le ipotesi sopra delineate (quindi se il terzo non sarà comparso o avrà ricusato di rendere la dichiarazione; se ci sarà stata la dichiarazione positiva; se alla fine del subprocedimento di cui all'art. 549 c.p.c. si accerterà il credito) farà seguito l'ordinanza di assegnazione, con l'avvertenza che se invece venisse accertato il possesso di un bene o un credito esigibile oltre novanta giorni si avrà solo l'accertamento o il rilievo della non contestazione, cui dovrà far seguito l'istanza di vendita o d'assegnazione concorde. Nella prima ipotesi, quella cioè della non contestazione, deve escludersi che il terzo possa ancora in qualsiasi guisa revocare la sua dichiarazione. Con l'emanazione dell'ordinanza di assegnazione si perfeziona infatti l'effetto di incontestabilità del credito. Ecco perché il legislatore, pur inciampando sulla particella pronominale, ha consentito al terzo di impugnare l'ordinanza di assegnazione – e nelle già viste ipotesi in cui il credito debba essere venduto, il provvedimento che dispone la vendita, peraltro qui con il limite dell'art. 2929 c.c. - se dimostra di non aver avuto tempestiva conoscenza dell'udienza fissata per rendere la dichiarazione davanti al giudice, purché ciò dipenda da caso fortuito, forza maggiore o irregolarità della notifica. Tra queste ipotesi ritengo sia sicuramente contemplata quella in cui nell'atto di cui all'art. 543 c.p.c., pur regolarmente notificato, non sia stato indicato l'avvertimento di cui si è più sopra riferito (e qui dunque non si tratterà di mancata conoscenza dell'udienza, ma delle conseguenze della mancata comparizione alla stessa). Più in generale è ovvio che tali situazioni coincidano di fatto con quelle stesse che giustificherebbero una rimessione in termini, prevista dall'art.153 c.p.c. ( e comunque contemplate dagli artt. 650 e 668 c.p.c.). Oltre che dimostrare che la mancata dichiarazione è dipesa da tali circostanze, nella sua opposizione il terzo dovrà allegare l'insussistenza del credito. Ciò in quanto altrimenti egli non avrebbe un concreto interesse ad opporsi all'ordinanza, dovendo dimostrare in base alla giurisprudenza del Supremo Collegio formatasi in tema di opposizione agli atti esecutivi il concreto pregiudizio derivante dall'invalidità (Cass. 10 giugno 2005, n. 12326). Non credo invece che egli debba dedurre e provare, per essere legittimato all'opposizione in parola, fatti negativi, modificativi od estintivi del credito. Siffatta soluzione infatti comporterebbe una sostanziale inversione dell'onere della prova, perché il porre la prova di tali fatti a carico del terzo non può che ricollegarsi alla presunzione di sussistenza del credito (ed infatti è pacifico che nel procedimento ex art. 549 c.p.c. la prova del credito del debitore esecutato spetta al creditore procedente). E certo l'inversione suddetta non è giustificata dalla non contestazione formatasi proprio sull'assenza dei relativi presupposti. Sarà dunque il creditore a dover dimostrare in quella sede la sussistenza del credito e solo dopo, ma dunque non ai fini dell'interesse ad agire, il terzo dovrà dimostrare la sussistenza di eventuali vicende estintive o modificative. Allorché invece l'assegnazione consegua a una dichiarazione positiva, analogamente a quanto osservato in ordine alla natura di tale ultimo atto, l'ordinanza sarà impugnabile – sempre ex art. 617 c.p.c. – per errore di fatto o violenza (oltre che ovviamente in caso di allegazione dell'errata interpretazione della dichiarazione da parte del giudice, per essere essa invece da intendersi ad esempio come negativa, o parzialmente negativa, condizionata etc.). E' escluso che altri possano essere i profili di impugnazione, a parte quelli formali dell'atto che qui non interessano, perché al di fuori delle suddette ipotesi contemplate dall'art. 2732 c.c.,la dichiarazione è incontestabile. E' ovvio infine che, se il credito è stato accertato nel subprocedimento di cui all'art. 549 c.p.c., proprio per la natura di quest'ultimo di giudizio sommario, il provvedimento conclusivo potrà essere impugnato ai sensi dell'art. 617 c.p.c., come espressamente dispone la norma, ma il relativo giudizio avrà ad oggetto proprio l'accertamento, e s'incentrerà sul merito della decisione. In argomento si è molto discusso se sia ammissibile che l'ordinanza che definisce il giudizio ex art. 549 c.p.c. debba essere, o possa essere emessa separatamente da quella di assegnazione, o se invece le stesse possano essere contestuali. Da alcuni si è osservato che vi sarebbe quantomeno l'opportunità di emettere prima l'ordinanza che definisce il subprocedimento, mentre quella d'assegnazione andrebbe emessa in un secondo tempo, decorsi i termini di venti giorni per l'eventuale opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso la prima. A me pare che nulla osti all'emissione contestuale dei due provvedimenti, il secondo dei quali in particolare non richiede alcuna specifica istanza da parte del creditore (tanto che l'istanza d'assegnazione esplicita è richiesta dall'art. 553 c.p.c. solo per il caso di crediti esigibili oltre i novanta giorni, Cass. 22 febbraio 1995, n. 1954). D'altronde a diversamente concludere vi sarebbe l'effetto curioso per cui il g.e., in prevenzione, non emetterebbe l'ordinanza di assegnazione nella pospettiva di un'eventuale opposizione, magari fissando un'udienza apposita (non certo a venti giorni) e attendendo un'istanza non prevista. Ma soprattutto se poi il suo timore fosse fondato, e l'opposizione si concretizzasse, l'unica per dare un senso al tutto sarebbe di non emettere l'ordinanza di assegnazione (altrimenti tanto sarebbe valso emetterla subito), e quindi si avrebbe l'esercizio di un potere sospensivo senza alcun vaglio circa la presenza del fumus boni iuris, implicito presupposto anche della sospensione ex art. 618 c.p.c.. La soluzione qui preferita poi non impedisce di distinguere i motivi specifici di impugnazione dei due provvedimenti, pur contestuali, anche se quelli attinenti l'ordinanza ex art. 549 c.p.c. si riverberano immancabilmente sul provvedimento d'assegnazione, tanto che la sospensione che venisse disposta a seguito dell'opposizione, pur se incentrata solo su motivi attinenti l'accertamento ex art. 549 c.p.c., non potrà che incidere anche l'assegnazione. Diverso il quadro in caso di accertamento del possesso di cose o di crediti esigibili oltre novanta giorni: qui occorre un'istanza di vendita da parte del creditore e quindi la formale non contestualità dei due provvedimenti si impone. Allo stesso modo anche in caso di assegnazione di crediti di tal tipo occorre un'istanza esplicita, e tra l'altro concorde se più siano i creditori. In questo caso peraltro nulla impedisce che la stessa venga esplicitamente proposta in sede di domanda di accertamento, ed allora si seguirà la soluzione vista per i crediti immediatamente esigibili. Quanto poi all'ipotesi in cui invece il subprocedimento si concluda con un mancato accertamento del credito, il provvedimento sarà comprensivo di una disposizione, formalmente distinta, di chiusura anticipata del processo esecutivo (art. 187-bis disp. att. c.p.c.). Come visto, che il credito sia divenuto incontestabile a seguito di una dichiarazione positiva, di una non contestazione o di un accertamento nel descritto subprocedimento di cui all'art. 549 c.p.c., in ogni caso su di esso si fonda l'ordinanza di assegnazione (anche quella concorde di cui al secondo comma dell'art. 553 c.p.c.). Si sono visti al paragrafo precedente i rapporti fra l'ordinanza che accerta e quella che assegna, nel senso che si è ritenuto che esse possano essere contestuali, così come si è visto che nell'ordinanza di assegnazione confluisce l'effetto vincolante della non contestazione o quello della dichiarazione positiva. La stabilità dell'ordinanza di cui all'art. 549 c.p.c. dunque si trasfonde nell'ordinanza di assegnazione, quand'anche esse dovessero essere emesse in momenti differenti. Né si deve dimenticare che, trattandosi di crediti esigibili oltre novanta giorni e per i quali i creditori non chiedano l'assegnazione (art. 553, 2° comma, c.p.c.), i problemi di stabilità affrontati in questo paragrafo dovranno essere riferiti all'ordinanza di aggiudicazione del credito, conseguente alla vendita dello stesso. Tenuto conto di ciò e decorso il termine di cui all'art. 617 c.p.c., l'ordinanza di assegnazione risulterà ormai stabilizzata. Tale stabilità, che però non va equiparata all'idoneità a formare cosa giudicata (neppure quando consegue al subprocedimento di cui all'art. 549 c.p.c.), dal momento che i comportamenti e anche il subprocedimento ex art. 549 c.p.c. che ne costituiscono il presupposto sono strumentali solo alla definizione dell'oggetto del pignoramento ed all'emissione dell'ordinanza stessa, assume rilevanza con riferimento all'esazione del credito, e in particolare all'espropriazione forzata nei riguardi del terzo che non adempia spontaneamente. Al proposito mette conto rilevare che tanto l'art. 548 c.p.c. quanto l'art. 549 c.p.c. stabiliscono rispettivamente che la non contestazione e l'accertamento producono effetti tanto nel processo esecutivo in corso quanto nell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione (che dunque viene direttamente qualificato di titolo esecutivo, fermo restando quanto si osserverà oltre circa le ipotesi in cui l'ordinanza in parola è sfornita di tale idoneità). Alcuni però leggono tale effetto sul processo esecutivo che venisse promosso verso il debitor debitoris dal creditore assegnatario, come un semplice trasferimento della legittimazione. In altri termini la posizione del debitore esecutato si trasferirebbe in capo al creditore, ma a quest'ultimo il terzo potrebbe opporre tutte le eccezioni che ha a disposizione nei riguardi del proprio originario creditore, che potrebbero quindi essere fatte valere con l'opposizione ex art. 615 c.p.c. nei confronti dell'esecuzione promossa appunto avvalendosi dell'ordinanza di assegnazione. Il che tra l'altro avrebbe come conseguenza di escludere dall'oggetto dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza ex art. 549 c.p.c. le questioni inerenti il credito, oggetto invece del subprocedimento di accertamento. Tutto ciò quindi limiterebbe l'effetto di stabilità dell'ordinanza di assegnazione all'aspetto formale della legittimazione, negandone così ogni rilevanza sostanziale. Tale tesi però non considera la vera essenza dell'ordinanza di assegnazione, che altro non è (e non può essere) se non un titolo giudiziale ( perché emesso dal g.e. a seguito di un accertamento o di un atto che rende incontestabile il credito, sebbene con i già richiamati limiti di efficacia endoesecutiva e nel processo esecutivo promosso nei riguardi del terzo). E come per tutti i titoli giudiziali il debitore non potrà che eccepire i fatti sopravvenuti alla sua formazione (o meglio al momento in cui essi non siano più deducibili nel processo in cui esso si è formato, cfr. infra), i quali peraltro dovranno essere opponibili ai sensi dell'art. 2917 c.c., in particolare in quanto dipendenti dalla natura sinallagmatica del rapporto in cui il credito è inserito, ed in effetti in genere si tratta di risoluzione di rapporti di durata, in particolare licenziamenti, scoperta di vizi e difetti in materia di appalto o vendita, ove il credito sia costituito dai relativi corrispettivi, più in generale di sopravvenuto inadempimento. I fatti anteriori invece vanno inevitabilmente ed esclusivamente fatti valere nel processo in cui il titolo si è formato.
Nel nostro caso tali fatti anteriori - inclusi quelli sopravvenuti tra la notifica dell'atto di cui all'art. 543 c.p.c. e il maturare delle già viste preclusioni, nella misura in cui essi siano opponibili al creditore, di fatto nei limiti di quelli elencati sopra (Cass. 9 marzo 2011, n.5529) - e quindi deducibili nel subprocedimento ex art. 549 c.p.c. o noti al momento della dichiarazione o del verificarsi dell'effetto di cui all'art. 548 c.p.c., vanno quindi fatti valere nel processo esecutivo, e quindi o a mezzo di una dichiarazione negativa (cui eventualmente farà seguito il giudizio ex art.549 c.p.c.), oppure - in caso di contestazione - nel procedimento di cui all'art.549 c.p.c. Se poi in caso di titolo fondato sulla non contestazione il terzo volesse difendersi sostenendo di non aver avuto notizia della notifica ex art. 548 c.p.c., qui ho già detto qual sia il meccanismo. Di conseguenza una volta formatosi il titolo, non v'è spazio per sollevare le suddette eccezioni, essendo esse ormai precluse nell'ambito del processo esecutivo promosso verso il terzo. Chiaramente i fatti sopravvenuti sono, nel caso dell'accertamento del credito, quelli successivi alla data non di emissione dell'ordinanza di assegnazione, ma a quella dell'emissione dell'ordinanza ex art. 549 c.p.c. (se differente) – o meglio al momento in cui tali fatti non possono più essere fatti valere nel relativo subprocedimento - e ciò in quanto è a quel momento che si ha l'accertamento del credito che confluisce nel titolo (in parallelo con il momento ultimo in cui normalmente il debitore può far valere le sue eccezioni nell'ipotesi di titolo esecutivo di formazione giudiziale). Per il residuo spazio temporale in cui ancora si protraesse il processo esecutivo originario i fatti che sopravvenissero saranno rilevanti alla stregua di quelli che intervenissero dopo, e quindi potranno essere fatti valere nei limiti suddetti nel processo esecutivo fondato sull'ordinanza di assegnazione, a mezzo dell'opposizione ex art. 615 c.p.c.. Ai fini della stabilità assume però rilevanza un fatto: mentre l'ordinanza di assegnazione, soprattutto se contestuale a quella ex art. 549 c.p.c., normalmente è subito resa nota al terzo, parte del subprocedimento; invece nell'ipotesi di non contestazione o di dichiarazione positiva essa non deve di necessità essere subito notificata al terzo. Questi ne prende conoscenza solo dal creditore in un secondo tempo, addirittura se non v'è stato un previo contatto informale, in sede di preannuncio dell'esecuzione che si intende promuovere nei suoi confronti. E' proprio in ragione di ciò che un recente arresto del S.C. (Cass. 10 maggio 2016, n. 9390) ha stabilito che in tali ipotesi (lo stesso si riferisce al caso della dichiarazione positiva, ma il principio è sicuramente estensibile a quello della mancata dichiarazione), è onere del creditore, prima di notificare il precetto, notificare il titolo, cioè l'ordinanza di assegnazione. Il relativo obbligo è individuato in analogia a quello previsto dall'art. 1264 c.c. in tema di cessione del credito (è noto che l'ordinanza di assegnazione produce l'effetto di una cessione giudiziale del credito). Chiaro dunque che la stabilità dell'ordinanza e conseguentemente del titolo sia subordinata, in tali ipotesi, soprattutto in quella di cui all'art. 548, 2° comma, c.p.c. (perché in quella della dichiarazione positiva le questioni saranno francamente piuttosto limitate) alla formalità in parola, perché solo quando il debitore ha notizia dell'assegnazione decorrerà il termine di venti giorni previsto dall'art. 617 c.p.c.. Opposizione che sarà quella prevista dall'art. 617, 2° comma, c.p.c. (con tutte le conseguenze in materia di competenza e di poteri sospensivi), come del resto è evidente trattandosi di validità di un atto esecutivo del processo d'espropriazione presso terzi (e non della fase preesecutiva nei confronti del debitor debitoris) e come poi conferma l'abrogazione, ad opera dell'ultima delle citate riforme, del riferimento al 1° co. della norma contenuto nella precedente dizione dell'art. 548 c.p.c.. Fatte queste precisazioni, una volta stabilizzatosi l'effetto dell'ordinanza, appare evidente che – come detto – le uniche eccezioni che potrà sollevare il terzo saranno quelle attinenti fatti sopravvenuti (in tal senso Cass. 14 maggio 2013, n. 11566), così come sopra delineati. Alle quali peraltro si aggiungono le eccezioni personali del terzo al creditore procedente e, trattandosi di un'esecuzione forzata che è strumentale alla realizzazione di un altro titolo (quello del creditore verso il debitore esecutato originario), le eventuali vicende di quest'ultimo, es. la sua sospensione o la sua caducazione, ovvero quelle dell'originario processo esecutivo, ed in particolare la sua sospensione o estinzione. Casi peraltro tutt'altro che frequenti, visto che di norma quel processo si chiude con l'ordinanza di assegnazione, il che se si verifica mette fuori gioco tutto tranne la caducazione del titolo. Se peraltro una rilevanza la distinzione tra trasferimento della legittimazione e credito riveste, ciò è in tema di crediti che sono soggetti ad accertamento fuori dal processo esecutivo, e cioè quelli che devono essere accertati in sede fallimentare ed i crediti litigiosi. In tali casi effettivamente la dichiarazione positiva rispettivamente del curatore o del terzo varrà solo a legittimare il creditore alla domanda di insinuazione od a riscuotere il credito in caso di esito positivo della lite, ma resta il fatto che l'accertamento del credito sarà riservato al giudice delegato ex art. 95 l.f. nel primo caso, od al giudizio pendente in quell'altro. Ciò in quanto il curatore od il terzo non potranno che riscontrare l'uno l'esistenza della pretesa senza entrare nel merito della fondatezza, l'altro l'esistenza della lite. Ciò avrà riflessi anche sull'oggetto del subprocedimento ex art. 549 c.p.c., perché qui null'altro si potrà discutere se non dell'esistenza della pretesa del debitore esecutato, che una volta accertata nelle forme già viste, potrà portare ad un'assegnazione che, ancora una volta, lo legittimerà solo all'istanza di insinuazione od alla riscossione se la lite sarà vinta (lite rispetto alla quale a questo punto sarà riconosciuta al creditore la facoltà prevista dall'art. 111 c.p.c.). Si tratta di alcune delle ipotesi (unitamente a quelle del credito illiquido e, fino all'avverarsi della condizione o alla scadenza del termine, del credito inesigibile e di quello futuro, caratterizzati tutti “da capacità satisfattiva futura concretamente prospettabile al momento dell'assegnazione” in ragione dell'attualità del rapporto da cui scaturiscono, che dev'essere identificato ed esistente, Cass. 10 settembre 2009, n. 19501) in cui l'ordinanza di assegnazione non costituisce titolo esecutivo. Infine un cenno merita il caso, invero raro nella pratica, dei crediti scadenti oltre novanta giorni rispetto ai quali i creditori non abbiano chiesto concordemente l'assegnazione (il che poi si traduce nella semplice richiesta d'assegnazione ove unico sia il creditore). Qui dopo l'avvenuto accertamento, la mancata contestazione o la dichiarazione positiva, si avrà l'istanza di vendita che, ai sensi dell'art.497 c.p.c., dovrà intervenire nel termine di quarantacinque giorni dal perfezionamento del pignoramento (individuato come si è visto retro). Titolo esecutivo, ma a vantaggio ovviamente dell'aggiudicatario, sarà quindi in tale ipotesi l'ordinanza di aggiudicazione del credito, rispetto al quale valgono le preclusioni relative alla deduzione di fatti anteriori al pignoramento di cui all'art. 2917 c.c., mentre circa i fatti posteriori non deducibili nel processo in cui s'è formato il titolo valgono le superiori osservazioni (sostituita l'ordinanza di assegnazione del credito non contestato al provvedimento che dispone la vendita). Formandosi qui, sempre, un concreto iato temporale tra il momento dell'accertamento del credito e quello della formazione del titolo, acquisirà certa rilevanza l'osservazione più sopra riportata in ordine al momento rilevante cui va riguardata la natura sopravvenuta dei fatti eccepibili dal terzo. Riferimenti
|