Può l'avvocato negoziare in proprio ex art. 3 L. n. 162/2014?
13 Giugno 2017
Può l'avvocato negoziare in proprio ex art. 3 L. n. 162/2014?
Due anni fa il Tribunale di Verona con due ordinanze (18 giugno 2015 e 2 ottobre 2015) ha sospeso il giudizio promosso in proprio da avvocato per il recupero di propria parcella rimettendo le parti a negoziazione assistita obbligatoria. Ciò sulla considerazione che il petitum era inferiore ad € 50.000, l'avvocato non aveva patrocinato per un consumatore (quindi è da escludersi l'esenzione ex art. 3 comma 1) e lo stare in giudizio personale dell'avvocato nel caso di specie era cosa diversa dallo «stare in giudizio personalmente» previsto dall'art. 82 c.p.c. (da escludersi anche l'esenzione ex art. 3 comma 7). Un conto, infatti, è stare in giudizio senza difesa tecnica, un altro stare in giudizio attraverso la propria difesa tecnica. Nel primo caso l'attore è solo parte che può non avvalersi di un difensore, nel secondo è, insieme, parte e difensore in una situazione di obbligatorietà di patrocinio. Subito dopo è intervenuto il Tribunale di Milano (ord. 14 ottobre 2015) confermando che la negoziazione assistita era condizione di procedibilità per l'avvocato che recupera il proprio credito con atto di citazione nanti il Giudice di Pace o con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. nanti il Tribunale. Non lo è se si agisce ex art. 82 c.p.c. per credito fino ad € 1.100,00 o attraverso la procedura ex art. 14, d.lgs. n. 150/2011 caso, quest'ultimo, in cui il Giudice potrebbe imporre mediazione ex officio ai sensi dell'art. 5 comma 2, d.lgs. n. 28/2010, anche qui con problemi legati all'assistenza legale. E, aggiungerei, non lo è neppure se propone monitoria (art. 3 comm 3).
Fermo il petitum, la giurisprudenza ha creato per l'avvocato una condizione di procedibilità dell'azione condizionata dalla scelta del rito. Si tratta di capire se l'avvocato possa negoziare per se medesimo. Esiste un unico precedente noto, negativo, ma pronunciato in negoziazione assistita familiare. Il Trib. Palermo (ord. 1 dicembre 2016) ha osservato che in negoziazione spetta agli avvocati - in veste sostitutiva del Giudice - il tentativo di conciliazione e valutare la rispondenza degli accordi a norme imperative ed ordine pubblico, poiché l'intervento del PM ha natura autorizzativa, non integrativa o modificativa. Considerata la delicatezza degli interessi personali e la spesso sperimentata dipendenza psicologica o economica di un coniuge, il Tribunale impone, allora, scissione tra parte ed avvocato, volendo quest'ultimo libero, sereno e distaccato nel verificare presupposti, validità ed efficacia dell'accordo pubblicistico. Lo stesso art. 6 mostra, nella negoziazione familiare, avvocati più centrali e protagonisti: qui sono «almeno un avvocato per parte», laddove nella negoziazione vertente su questioni prettamente patrimoniali basta l'assistenza «da uno o più avvocati» (art. 2, comma 1), con formulazione che, nella sua lettera, da spazio alla negoziazione in proprio. Resta che la difesa in proprio è regola processuale che copre lo stragiudiziale, quindi anche le ADR. Ancora, la condizione «cooperare in buona fede e con lealtà» (art. 2 comma 1) non è di per sé ostativa ad una negoziazione in proprio, ponendosi, al contrario, come specificazione di un canone deontologico che impone – sempre - all'avvocato di agire in buona fede e con lealtà, in causa, in via bonaria, nella difesa di un cliente o in proprio.
Concludo osservando che, a fini pratici, la negoziazione del legale in proprio potrebbe non aggiungere nulla ai già esperiti tentativi di definizione stragiudiziale. Risolvendosi, anzi, in aggravio procedurale in cui l'avvocato è chiamato, come professionista, a stemperare la propria litigiosità di parte. Anomalia già rilevata in dottrina (DALMOTTO), che invita le Corti a ripensare la questione, ricomprendendo nell'esenzione ex art. 3 comma 7 anche l'art. 86 c.p.c..
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