Il pignoramento di crediti da retribuzioni e pensioni versati su conto corrente bancario o postale

12 Luglio 2017

In tema di espropriazione presso terzi, una delle questioni più spinose riguarda la pignorabilità di crediti da retribuzione o trattamenti pensionistici una volta confluiti nel patrimonio del debitore e segnatamente nei conti correnti o depositi a lui intestati o cointestati con altro soggetto.
Premessa

Come già osservato in I riflessi di accertamento, non contestazione e dichiarazione sull'ordinanza di assegnazione nell'espropriazione presso terzi, le riforme del codice di procedura civile (la prima introdotta dalla l. n. 228/2012; la seconda con l. n. 162/2014; la terza con l. n. 132/2015) hanno profondamente modificato la disciplina dell'espropriazione presso terzi e, per quanto riguarda l'oggetto di questo breve studio, in particolare il regime di pignorabilità di crediti da retribuzione o trattamenti pensionistici convogliati in un conto corrente bancario o postale.

È noto che i crediti da retribuzioni o pensioni sono soggetti a parziale (più che relativa) impignorabilità, cioè sono impignorabili entro una certa quota, in considerazione del fatto che essi sono volti a soddisfare esigenze primarie del creditore.

Si è sempre posta in proposito la questione della tutela di tali esigenze allorché i suddetti crediti vengano soddisfatti dal datore di lavoro o dall'ente previdenziale tramite il versamento delle somme su un conto corrente di cui il percettore sia titolare, e ciò perché se da un punto di vista formale essi a quel punto sono adempiuti dal datore o dall'ente previdenziale e si confondono con le altre componenti liquide del patrimonio convogliate sul conto, divenendo così parte del credito verso il banchiere per il saldo; d'altra parte però è innegabile che la loro destinazione non muta, ed anzi il conto corrente è solo lo strumento per agevolarne l'utilizzo nella quotidianità. Ciò tanto più che recenti interventi normativi hanno imposto il pagamento di tali somme tramite accredito su conti correnti bancari o postali (la legge 22 dicembre 2011 n. 214 aveva introdotto un simile obbligo a carattere generale per importi superiori ad euro mille; con la legge di stabilità 2016 l'importo è stato elevato ad euro tremila, ma l'obbligo permane comunque allorché i trattamenti vengano erogati da enti pubblici, in virtù dell'art. 2 d.l. n. 138/2011 che non è stato modificato).

Scopo di queste righe è quello di prendere in esame la problematica, verificare l'impatto della riforma e quindi affrontare alcuni snodi applicativi maggiormente problematici.

I limiti al pignoramento di crediti da salari, stipendi e pensioni

Si deve qui necessariamente partire dal dato storico secondo cui il credito del lavoratore era variamente aggredibile a seconda che si trattasse di lavoratore dipendente di impresa privata o del settore pubblico. Mentre per il primo risultava applicabile l'art. 545 c.p.c. (e quindi pignoramento del quinto in generale, o di una quota individuata con provvedimento autorizzatorio del presidente del tribunale quando il credito per cui si procedeva era di natura alimentare, art. 545, comma 3; di un mezzo in caso di simultaneo concorso di cause contemplate dalla norma); per il secondo la pignorabilità era limitata alle ipotesi di cui all'art. 2, l. n. 180/1950, e cioè nella misura di 1/3 se il credito per cui si procedeva era alimentare; di 1/5 se si procedeva per un credito dell'ente datore di lavoro o per tributi; di un mezzo nel caso di simultaneo concorso (nozione che afferisce non solo a procedimenti in corso ma anche a precedenti assegnazioni, cfr. Cass. n. 6432/2003) dei crediti alimentari e di quelli altrimenti qualificati (crediti per tributi); di 1/5 in caso di concorso tra le ipotesi di crediti qualificati ma non alimentari; era invece esclusa la pignorabilità per crediti aventi altre cause.

Con la sentenza C. cost. n.878/1988 anche i crediti da retribuzioni dei pubblici dipendenti divennero pignorabili nel quinto in caso di crediti non qualificati.

L'equiparazione totale si ha però solo con la l. n. 344/2004, la quale estende il regime pubblicistico (comunque emendato da varie pronunce costituzionali) anche ai lavoratori dipendenti di imprese private.

Primo effetto di ciò sembra essere il superamento del sistema autorizzatorio di cui all'art. 545, comma 3, sostituito ormai dalla pignorabilità nella misura di 1/3 se il credito per cui si procede ha natura alimentare.

Pare infatti in proposito fondata la tesi secondo cui l'art. 545, comma 3, c.p.c. è in gran parte superato a causa dell'entrata in vigore della l. n. 344/2004. Infatti quest'ultima, richiamando la disciplina del d.p.r. n.180/50 anche per i dipendenti delle aziende private, ha di fatto confinato l'ambito applicativo della norma codicistica al caso dei dipendenti di soggetti non esercenti attività imprenditoriale. Mi pare che queste conclusioni sopravvivano anche all'entrata in vigore della l. n. 132/2015, che introducendo i commi 7 e 8 ha fatto ivi espresso richiamo anche al comma 3, posto che evidentemente il richiamo in parola avrà il limitato effetto che s'è appena detto, mentre per i dipendenti di aziende private vale l'ulteriore richiamo delle nuove disposizioni alle «speciali disposizioni di legge».

Resta fermo che, nel simultaneo concorso di crediti non qualificati si può giungere ad un pignoramento di 1/5 (i singoli creditori si divideranno fra loro tale quinto). In caso poi di pignoramenti intervenuti successivamente all'assegnazione del quinto, o di intervenienti non privilegiati tardivi, gli stessi in quanto non qualificati ai termini di cui sopra, saranno messi “in coda” (cioè si soddisferanno solo all'esito della soddisfazione del/dei tempestivi).

Allorché poi tra le cause simultanee ve ne sia una alimentare (la quale si ricorda fruisce poi anche del privilegio di cui all'art. 2751, n. 4, c.c.), la quota pignorabile aumenta fino alla metà dello stipendio come previsto dall'art. 2 del citato d.p.r. n. 180/1950. Altrettanto accadrà in caso di simultaneo concorso fra crediti altrimenti qualificati di cui all'art. 2 e crediti diversi (qui la pignorabilità del mezzo peraltro è un effetto dell'estensione del principio dell'art. 545 u.c. al settore pubblico a seguito delle pronunce di illegittimità costituzionale di cui s'è detto), per cui ove il concorso simultaneo riguardi cause contemplate dal solo d.p.r., cioè i crediti datoriali con quelli per causa diversa non qualificata, resta il limite del quinto.

Naturalmente, accogliendo la corrente nozione di simultaneo concorso come quello che opera anche con un pignoramento successivo alla precedente assegnazione, l'elevazione al mezzo si avrà solo se il nuovo credito sia qualificato.

Deve invece ritenersi implicitamente abrogata la norma di cui all'art. 33, d.p.r. n. 3/1957, in base alla quale lo stipendio dei dipendenti statali sarebbe impignorabile, anche in caso di concorso di cause qualificate, ivi compresa quella d'alimenti, nella misura eccedente il quinto.

Circa la nozione di credito alimentare, si rinvengono decisioni in base alle quali a questi effetti rientri anche l'assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione e divorzio, in quanto anch'esso ha la finalità di garantire i mezzi adeguati al creditore dello stesso (cfr. Cass. n. 15374/2007).

Ai fini che ci occupano pare invece necessario fare riferimento alla nozione propria di credito alimentare come quello che ha quale presupposto l'incapacità della persona che versa in stato di bisogno a far fronte al proprio mantenimento (art. 433 c.c.), come nel caso dell'assegno riconosciuto al coniuge cui va addebitata la separazione, nonché in quello del contributo per il mantenimento della prole (Cass. n. 28987/2008); mentre gli assegni di mantenimento del coniuge veri e propri sono previsti a fronte dell'obbligo di assistenza materiale inerente il vincolo coniugale (cfr. Cass.6519/1996, da ultimo Cass. n. 605/2017).

Quanto alle interferenze degli istituti di cui agli artt. 148, 156 c.c. e art. 8 l. n. 898/1970 sui crediti da lavoro o da pensione, valgono le seguenti considerazioni:

  1. L'art.1 56 c.c. è del tutto avulso dalla tematica del limite della pignorabilità, in quanto la valutazione circa l'incidenza del credito sulla retribuzione è già stata fatta dal giudice;
  2. L'art.8, l. n. 898/1970 (in tema di divorzio) consente al creditore di ordinare direttamente al datore di lavoro di corrispondere a lui fino alla metà del trattamento retributivo o pensionistico; si tratta di una disciplina curiosamente accostabile a quella del pignoramento presso terzi promosso dall'agente della riscossione, non prevedendosi un previo provvedimento giurisdizionale; avverso l'ordine (si tratta di un caso di esecuzione senza titolo) il debitor debitoris potrà peraltro proporre opposizione ex art. 615 c.p.c.;
  3. L'art 148 c.c. attribuisce invece al presidente del tribunale il potere di determinare un assegno di mantenimento in favore di un familiare nei riguardi di chi è tenuto a mantenerlo ed è inadempiente; esso quindi costituirà direttamente il titolo e sarà il presidente a stabilire la misura tenendo conto delle esigenze di vita dell'onerato (che avverso tale provvedimento potrà proporre opposizione ex art. 645 c.p.c.); anche qui allora il sistema degli artt. 545 c.p.c. e art.2 l. n. 180/1950 non hanno spazio applicativo.

In caso poi di retribuzione o pensione già oggetto di cessione si applica l'art. 68, d.p.r. n. 180/1950 (disposizione la cui applicabilità in caso di rapporto di lavoro privato aveva destato perplessità nella giurisprudenza, cfr. Cass. n. 4873/1995, ma che oggi a seguito dell'estensione operata dalla l. 344/2004 può dirsi superata; del resto in passato la giurisprudenza di merito aveva ritenuto in gran maggioranza l'applicabilità delle regole ivi dettate anche per i rapporti di lavoro privati) per cui si potrà pignorare solo la differenza tra la metà dello stipendio e il quinto ceduto, pertanto di norma 3/10 dello stipendio. Stabilito ciò si calcola comunque il quinto del tutto e si procede ad applicarlo alla quota ancor libera (appunto i tre decimi). Allorché lo stipendio sia stato in precedenza colpito da notifica ex art. 8 l. n. 898/1970, la quale quindi agli effetti del concorso sarà equiparata a una precedente cessione, il quinto sarà pignorabile solo se la notifica non avrà già colpito l'intera quota della metà dello stipendio (il che evidentemente dipenderà dall'entità dell'assegno divorzile).

Se le quote di credito da lavoro pignorabile sono determinate dalla legge, fino all'intervento legislativo del 2015 ciò non era per le pensioni. Come noto la sent. 1041/88 della Corte Costituzionale ammise la pignorabilità delle pensioni anche private per crediti alimentari (equiparando così l'ipotesi al regime previsto per i pensionati già pubblici dipendenti), e ciò in difformità al regime di sostanziale impignorabilità antecedentemente vigente, dichiarato pertanto sotto tal profilo incostituzionale.

A sua volta la sentenza n. 506/2002 della C. Cost ha affermato la pignorabilità di tutte le pensioni erogate dall'INPS ritenendo peraltro impignorabile in via assoluta (tranne che per crediti di natura alimentare) quella porzione della pensione stessa che sia necessaria ad assicurare al debitore i mezzi adeguati, salvo che per debiti qualificati, e in primo luogo per crediti alimentari. Quindi il credito pensionistico è divenuto pignorabile per qualsiasi tipologia di credito, nella misura del quinto della differenza tra il trattamento pensionistico e l'importo ritenuto appunto necessario a soddisfare le esigenze di vita del pensionato.

La differenza strutturale fra trattamento pensionistico e trattamento retributivo (attesa la natura previdenziale del primo, cfr. C. Cost. n.55/1991) giustifica, alla luce del disposto di cui all'art. 38 Cost. il diverso regime di pignorabilità di tali fonti di reddito. In particolare il Giudice delle leggi ha ritenuto che il regime di pignorabilità delle pensioni debba ispirarsi al criterio di assicurare al pensionato mezzi adeguati, senza però imporre ai terzi un sacrificio oltre il ragionevole limite suddetto.

A seguito della richiamata pronuncia del Giudice delle Leggi sorsero gravi incertezze sul criterio di quantificazione della porzione pignorabile. La giurisprudenza del Supremo Collegio ritenne che in difetto un intervento legislativo la valutazione dovesse essere rimessa al giudice dell'esecuzione, che avrebbe operato desumendo la disciplina in via sistematica (da ultimo Cass. n. 24536/2014), rifiutando sempre di avallare un criterio che non facesse riferimento alla valutazione delle specificità del caso concreto e quindi delle condizioni economiche del singolo debitore (Cass. n. 18755/2013). In genere la giurisprudenza di merito si era orientata nel senso di considerare come minimo vitale un importo corrispondente all'assegno sociale (attualmente pari ad € 448,07 mensili per tredici mensilità), e quindi di rendere pignorabile il quinto del residuo.

Oltre alle retribuzioni vere e proprie ed ai trattamenti pensionistici, un regime a parte vale per i sussidi, che in virtù dell'art. 545 c.p.c. sono assolutamente impignorabili. Si tratta di erogazioni, solitamente poste a carico di enti locali, previste in caso di malattia, maternità e indigenza; nonché di contributi per spese funerarie previsti dalle varie casse previdenziali; infine delle c.d. borse studio. Per individuare un criterio di generale applicazione, deve ricordarsi che per sussidi devono intendersi tutte le elargizioni assistenziali fatte senza corrispettivo assicurativo o contributivo (in tal senso cfr. Cass. 8966/98), per cui ad esempio sono da escludere dal relativo campo di applicazione gli assegni previsti in corso di malattia, infortunio sul lavoro, maternità per i lavoratori dipendenti. Altrettanto non è sussidio la retribuzione o indennità prevista in costanza di CIG e di CIGS, sempre perché ricollegata a contribuzione previdenziale, mentre costituiscono sussidi quanto corrisposto ai lavoratori socialmente utili perché appunto erogati indipendentemente da una contribuzione e non in qualità di corrispettivo di una prestazione. Non sono soggette a pignoramento anche le pensioni c.d. di accompagnamento per soggetti non autosufficienti (finalisticamente destinate a fornire a tali soggetti i mezzi per ottenere adeguata assistenza), in quanto previste indipendentemente dalla iscrizione ad un fondo previdenziale, ma solo in base alla qualità di cittadino, e le pensioni per invalidità civile (peraltro dichiarate espressamente pignorabili per crediti alimentari, cfr. C. Cost. 1041/1988). Per quanto s'è detto a proposito del pignoramento in generale dei trattamenti pensionistici, appare evidente poi l'impignorabilità assoluta delle pensioni e degli assegni sociali, nonché del trattamento al minimo, in virtù questa volta dell'art. 38 Cost..

Tra le ipotesi assimilabili alle retribuzioni invece sono i compensi fissi degli agenti di commercio, che pertanto sono soggetti al solito limite di pignorabilità del quinto a seguito della totale estensione al settore privato dei limiti di pignorabilità previsti per il settore pubblico per tutte le ipotesi di cui all'art. 409 c.p.c..

Tenuto conto del fatto che la pignorabilità relativa dei trattamenti retributivi costituisce una deroga al principio generale della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c., per cui la stessa non è suscettibile di interpretazione analogica e neppure estensiva, non può ritenersi sussistente alcun limite alla pignorabilità dei compensi riconosciuti dal SSN ai medici di base, e a maggior ragione degli assegni o gettoni corrisposti ai soggetti che rivestono cariche politico o ai funzionari onorari (es. consiglieri e assessori comunali e regionali; giudici di pace ed onorari; per i parlamentari la l. n. 126/1965 prevede l'assoluta impignorabilità dell'indennità ed anche del vitalizio per ex parlamentari).

Sono invece del tutto pignorabili gli indennizzi dovuti da assicuratrici private, ma sono assimilabili alle retribuzioni i fondi di previdenza istituiti dal datore, che non possono essere pignorate neppure a carico del datore di lavoro, e ciò ex art. 2117 c.c..

È nota infine l'impignorabilità per legge dei trattamenti previdenziali integrativi.

Il pignoramento di crediti da retribuzioni e pensioni convogliati in conti correnti ante riforma

Come premesso, la questione più spinosa, o meglio rispetto alla quale potevano crearsi le maggiori iniquità, atteneva al regime di pignorabilità delle retribuzioni (e dei trattamenti pensionistici) una volta confluiti nel patrimonio del debitore e segnatamente nei conti correnti o depositi a lui intestati, con riguardo anche al disposto dell'art. 72-ter d.p.r. 602/1973, come regolarsi in caso di cointestazione del conto a due soggetti entrambi titolari di trattamenti retributivi o pensionistici.

La questione andava (e va) risolta anzitutto prendendo le mosse da alcune considerazioni in tema di crediti rinvenienti da conti bancari.

In linea generale va detto che poiché un credito si qualifica in base al titolo per il quale le somme sono dovute dal debitore, nel caso di pignoramento presso una banca essendo il titolo costituito dal contratto di conto corrente, il diritto alla restituzione delle somme è costituto da detto complesso rapporto (cfr. Cass. 17178/2012) in cui confluisce in preminenza il contratto di mandato, richiamato dall'art.1856 c.c., nonché il rapporto di delegazione i cui elementi tipici sono spesso identificabili (come quelli degli altri rapporto tipici di volta in volta rilevanti) con riferimento alle singole operazioni bancarie. La complessità e la particolarità del rapporto di conto corrente bancario, giustifica poi che oggetto del credito sia costituito non dalle singole rimesse, ma dal saldo presente in un dato momento sul conto stesso.

Con riferimento a tali rapporti si inserisce poi la tematica della cointestazione. Parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che l'intero saldo di conto corrente, in virtù del principio di solidarietà attiva e passiva stabilito dall'art. 1854 c.c. in materia di conto corrente cointestato, sia da considerarsi credito del cointestatario debitore pignorato e quindi sia soggetto integralmente al pignoramento ed all'assegnazione.

Altra parte della giurisprudenza e della dottrina, supportate dall'orientamento espresso da Cass. sent. n. 10028/1998, ritiene invece che ad essere oggetto di pignoramento non possa che essere la quota di spettanza del debitore esecutato. In effetti è ovvio che il pignoramento non può che colpire la quota di credito spettante al debitore esecutato. Il principio di solidarietà per vero vale nei rapporti fra cliente e banca, ma non può giungere a negare l'esistenza di una difforme titolarità che deve essere anche oggetto della dichiarazione dell'istituto di credito. Pertanto la solidarietà svolge la sua funzione nel momento della notifica dell'atto di cui all'art.543 c.p.c., vincolando la banca a custodire l'intero importo (salvo quanto si dirà infra); ma non potrà che cedere in sede di assegnazione, la quale come in ogni altro caso non potrà riguardare che ciò che spetta al debitore esecutato, e cioè la sua quota di credito. L'individuazione di quest'ultima avverrà con il meccanismo di cui agli artt. 599 ss c.p.c. (pignoramento dei beni indivisi): all'udienza all'uopo fissata ex art.600 c.p.c. saranno evocati quindi anche i contitolari, e ivi (almeno nei casi più frequenti) si giungerà alla divisione in natura del saldo, facendo valere gli interessati i propri diritti come previsto dall'art. 1298 c.c., in base al quale peraltro in difetto di prova contraria le parti di ciascuno si presumono uguali. Sorgendo contestazioni sul punto si procederà invece al giudizio divisionale. Se poi il cointestatario venisse del tutto preterito, avrà egli a disposizione lo strumento di cui all'art. 619 c.p.c..

Alla luce dei suesposti principi si possono risolvere le questioni del conto su cui confluiscono retribuzioni o pensioni, e quella ulteriore in cui il conto stesso sia cointestato a due soggetti che entrambi vi facciano confluire stipendi o pensioni.

Al primo quesito occorre rispondere nel senso che appunto qui è presente il diritto alla restituzione sulla base non di un contratto di lavoro o di un trattamento previdenziale, ma di un contratto bancario, rispetto al quale non esisteva fino al recente intervento alcun limite alla pignorabilità.

In evidenza

Va, infatti, ritenuto che qualora le somme dovute per crediti di lavoro siano già affluite sul conto corrente o sul deposito bancario del debitore esecutato non si applicano le limitazioni al pignoramento previste dall'art. 545 c.p.c.. E, d'altra parte, detta ultima norma quando prevede la possibilità di procedere al pignoramento dei crediti soltanto nel limite del "quinto" del loro ammontare si riferisce ai crediti di lavoro. Orbene, per individuare la natura di un credito (ivi compreso quello avente ad oggetto somme di denaro) occorre accertare il titolo per il quale certe somme sono dovute ed i soggetti coinvolti nel rapporto obbligatorio. Ond'è che, laddove il creditore procedente notifichi un pignoramento presso il datore di lavoro del suo debitore, non v'è dubbio che le "somme" da questi dovute a titolo di retribuzione rappresentino un credito di lavoro. Viceversa, quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento (id est a sequestro) somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente. Sono, quindi, del tutto irrilevanti le ragioni per le quali quelle "somme" sono state versate su quel conto: il denaro è bene fungibile per eccellenza. (Cass. 9 ottobre 2012, n.17178)

Tuttavia in maniera esplicita la giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Udine 3 gennaio 2013) ha talora ritenuto l'applicabilità, anche per le somme confluite nel conto, del limite di pignorabilità previsto dagli artt. 545 c.p.c. e 2 d.p.r. n. 180/1950, come pure di quello individuato dalla Corte Cost. nella già richiamata sentenza n. 506/2002, almeno nell'ipotesi in cui il conto fosse stato utilizzato esclusivamente per far ivi confluire i trattamenti in parola, ed in particolare (per quanto riguarda le decisioni fin qui rese) quello pensionistico, e questo fosse dettagliatamente documentato attraverso i movimenti del conto stesso (come puntualizzava già Cass. pen. n. 25168/2008, che peraltro sulla base dell'esatta documentazione riteneva addirittura ipotizzabile il limite di pignorabilità anche in caso di conti ad uso promiscuo), sempre che gli stessi fossero poi utilizzati dopo l'accredito (come dovrebbe provare un prelievo o più prelievi per una somma analoga). Il ragionamento si basava sul fatto che a diversamente concludere si sarebbe leso l'interesse pubblico, diretta estrinsecazione del criterio di solidarietà sociale espresso dall'art. 38 Cost., ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle sue esigenze di vita.

In tal senso deponeva poi l'intervento legislativo di modifica della disciplina del pignoramento nella riscossione di tributi (cfr. in particolare art. 72-ter d.p.r. n. 602/1973, come modificato dalla l. 44/2012) , che prevede al co. 2-bis. (introdotto dalla l. n. 98/2013) che nel caso di accredito delle somme di cui ai commi 1 e 2 (retribuzioni) sul conto corrente intestato al debitore, gli obblighi del terzo pignorato non si estendono all'ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo.

In proposito non pare che le particolarità del pignoramento in parola (ed in particolare il suo perfezionarsi senza necessità di provvedimento giurisdizionale) possano in qualche guisa influenzare e quindi rendere ragionevole un differente trattamento rispetto ai casi pignoramento di crediti da lavoro disciplinato dal codice di rito, per cui adottare quantomeno l'interpretazione da ultimo offerta dalla giurisprudenza di merito appariva nel solco di una lettura adeguatrice della disciplina della materia.

Quanto alla giurisprudenza della Cassazione la stessa, nell'aderire all'opinione tradizionale, non manca di sottolineare che nel caso da esso affrontato si trattava «di un conto corrente variamente movimentato non essendo, dunque, lo stesso qualificabile come di mero appoggio dei soli emolumenti retributivi» con la conseguenza che tutto ciò che ivi veniva accreditato «era destinato a confondersi con le altre somme ivi esistenti, diventando per effetto dell'accreditamento, irrilevante il titolo dell'annotazione», dal che se ne è tratta da alcuno la conseguenza che anche per la cassazione diverse sarebbero le conclusioni nel caso opposto (cioè di conto di solo appoggio per stipendi o pensioni). Il che peraltro leggendo la pronuncia sopra riportata è lecito dubitare.

Circa l'ipotesi della cointestazione, se si aderisce alla ricostruzione sopra offerta circa la disciplina di tale rapporto cointestato, appare ovvio che ove si ritenga sempre e comunque irrilevante la natura del credito il cui pagamento è confluito nel conto, all'udienza di cui all'art. 600 c.p.c. la pensione/retribuzione del cointestatario non pignorato doveva essere certamente svincolata integralmente. Aderendo invece alla ricostruzione da ultimo indicata per l'ipotesi di conti di solo appoggio per l'accredito di emolumenti e pensioni, già al momento della notifica dell'atto di cui all'art. 543 c.p.c. la banca avrebbe potuto consentire al pensionato cointestatario non debitore esecutato di percepire integralmente la propria pensione (vincolando solo la porzione pignorabile della pensione o dell'emolumento dell'esecutato).

Ritenendo poi di aderire all'orientamento minoritario secondo cui il saldo costituisce un credito solidale anche ai fini dell'assegnazione, si sarebbe dovuto svincolare solo il minimum vitale (per entrambi i cointestatari).

Diversamente, e cioè ritenendo che il saldo sia un credito solidale ad ogni effetto e inoltre che le somme, una volta confluite nel conto, siano assolutamente avulse dal loro pervenire da un rapporto previdenziale, nessuna parte dell'importo poteva essere sottratta al pignoramento e quindi all'assegnazione.

Portata e limiti della riforma

In questo non semplice panorama, si inserisce la riforma dell'art. 545 c.p.c. ad opera della l. n. 132/2015.

La disposizione altro non è se non la risposta legislativa ad un'autentica “esortazione” da parte del Giudice delle Leggi che, con la sentenza 20 maggio 2015 n. 85, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale della disciplina sopra descritta (in quanto ad avviso della Corte Costituzionale il giudice remittente aveva errato nell' invocare l'illegittimità delle norme in materia di responsabilità patrimoniale, anziché quelle in materia di conto corrente), accertava la sussistenza di un autentico vulnus nella tutela del pensionato e nella garanzia delle sue condizioni minime di sostentamento, situazione rispetto alla quale appunto si riteneva indispensabile una tempestiva soluzione.

Il legislatore allora, preso atto del dibattito sopra riferito, ne ha approfittato per disciplinare tanto la quantificazione del minimum vitale per i pensionati, quanto quella dei crediti pensionistici confluiti nei conti correnti e infine quella delle retribuzioni che hanno la stessa sorte.

Sotto il primo profilo, abbandonandosi le incertezze nella determinazione giudiziale del minimum assolutamente impignorabile, questo è stato determinato nella misura dell'assegno sociale mensile aumentato della metà, prevedendosi la pignorabilità del quinto (o della diversa frazione in base a quanto detto nel secondo paragrafo) del residuo.

Né mi pare che, a fronte del dato normativo, si possa ritenere che il creditore abbia la facoltà di provare che quegli importi nello specifico non siano necessari per far fronte alle esigenze di vita del debitore, e tantomeno a quest'ultimo di dimostrare la loro insufficienza, dipendendo la misura stessa da una scelta appartenente alla discrezionalità del legislatore, come già avvertiva C. cost. n. 506/2002.

Sotto il secondo profilo si prevede intanto che le somme dovute a titolo di retribuzione o pensione e confluite nel conto corrente anteriormente al pignoramento possano essere pignorate solo per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale.

Nonostante la formulazione della norma, che fa riferimento a retribuzioni o trattamenti pensionistici, è logico che sol che nel rapporto di conto corrente confluisca uno di tali crediti, o meglio il relativo pagamento, non si faranno ulteriori distinzioni: dal saldo il banchiere dovrà dedurre una somma pari il triplo dell'assegno sociale, evidentemente ritenuta sufficiente a soddisfare i bisogni primari del debitore, che rimane quindi a disposizione di quest'ultimo, mentre tutto il resto viene assoggettato a pignoramento in vista della prossima assegnazione al creditore (con la conseguenza che se il saldo fosse negativo, non si farebbe alcuna deduzione, e si applicherebbe solo la successiva norma relativa ai successivi accrediti). La norma in questa fase semplifica molto, perché non impone la ricostruzione del saldo alla luce di magari molteplici accrediti (il che peraltro non avrebbe senso visto che a quel punto gli stipendi o le pensioni pregresse, essendo non consumati, sono ormai a tutti gli effetti una forma di risparmio e non più un importo a disposizione per il sostentamento, salvo per la porzione indicata dal legislatore. Il che spiega per me come la norma si applichi anche ove sul conto confluiscano solo retribuzioni o pensioni già oggetto di precedenti assegnazioni). Tale semplificazione, oltre che ragionevole per quanto appena detto, è anche funzionale a non rendere le cose troppo difficili al banchiere.

Senza seguito è risultata poi l'opinione secondo cui il triplo suddetto debba essere calcolato su base annua. La conclusione – basata sul fatto che il co. 8°, a differenza del 7°, aggiunge all'assegno sociale l'aggettivo “mensile” e che esso è determinato su base annua – è smentita proprio dalla previsione di pignoramento degli accrediti successivi, che non avrebbe senso se la deduzione iniziale avesse riguardo all'anno intero (e un criterio di deduzione su base annua per far fronte alle esigenze di un mese sarebbe ovviamente illogico).

La norma poi detta una disciplina difforme per le somme che venissero accreditate successivamente al pignoramento, stabilendo che in tal caso il pignoramento colpirà solo la quota stabilita dai commi terzo, quarto, quinto e settimo, pertanto in base a quanto detto al secondo paragrafo.

Dunque il legislatore da un lato non ha affatto smentito l'assunto tradizionale secondo cui il credito è verso il banchiere ed è un credito derivante dal contratto di conto corrente bancario o postale, dall'altro ha voluto contemperare tale principio con l'esigenza di tutelare dei bisogni primari, che passa anche attraverso l'impignorabilità di tali somme benché confluite nel conto.

In evidenza

Riassumendo quindi saranno considerate pignorate in tale periodo

  • Un quinto della retribuzione;
  • Un quinto anche in caso di concorso fra crediti del datore con crediti aventi ogni altra causa per dipendenti pubblici o dipendenti di aziende private; nonché in caso di concorso fra crediti aventi cause non qualificate;
  • Un mezzo della stessa nel caso di concorso tra cause differenti ed in particolare in tutti i casi in cui tra i crediti ve ne siano aventi causa d'alimenti o tributari;
  • Nella misura del terzo ove il procedente sia titolare di crediti alimentari ove si tratti di lavoratori dipendenti pubblici o di aziende private;
  • Nella misura stabilita dal presidente del tribunale nell'ipotesi d) ove non si tratti di lavoratori dipendenti pubblici o di aziende private;
  • Nella misura del quinto della differenza fra l'importo della pensione e quello dell'assegno sociale aumentato della metà nel caso di pensionato
  • Nella misura di un mezzo della differenza fra l'importo della pensione e quello dell'assegno sociale aumentato della metà nel caso di pensionato, purché fra i crediti ve ne siano con causa d'alimenti;
  • Nella misura indicata dall'art. 68 d.p.r. n. 180/1950 in caso di retribuzione precedentemente soggetta alla cessione del quinto;

È logico che in questa fase l'ipotesi di cui al comma 5 (cioè quella del simultaneo concorso di cause) potrà essere rilevata dal banchiere in quanto lo stesso riceve la notifica anche dell'altro o degli altri pignoramenti. Per il caso di assegnazioni precedenti, si pone il problema perché esse riguarderanno retribuzioni o pensioni che verranno accreditati già dedotte della quota dal datore di lavoro o dall'ente: qui non è detto che il banchiere ne sia informato od abbia i mezzi per saperlo, ma se lo sa (ad esempio per essere stato coinvolto nella precedente espropriazione presso terzi da cui scaturisce l'assegnazione, o perché lo desume dall'ordine di pagamento del datore) dovrà tenerne conto in base a quanto precede. In caso contrario, la relativa verifica andrà fatta d'ufficio all'udienza preposta.

Anche qui la differente disciplina rispetto al caso dell'accredito anteriore al pignoramento trova ragione nella diversa situazione: di mese in mese, in attesa dell'udienza di assegnazione, il banchiere potrà agevolmente accantonare la somma prevista dall'art. 545 c.p.c. e d'altra parte a nuovi accrediti corrisponde l'insorgere di nuove esigenze del debitore, il quale frattanto ha tutto il suo eventuale risparmio bloccato. Proprio questa finalità giustifica il fatto che la limitazione alla pignorabilità viene qui in rilievo già in sede anteriore all'assegnazione, a differenza di quanto generalmente avveniva in precedenza (soprattutto con riguardo ai datori di lavoro), dove nell'incertezza sovente si assisteva al blocco totale delle somme dovute.

Si conferma così, se ce ne fosse bisogno, la natura di pignoramento a formazione progressiva di quello presso terzi, risultando superate le tesi secondo cui lo stesso si perfezionerebbe immediatamente con la dichiarazione (che ebbero un ritorno con l'introduzione della dichiarazione scritta e l'eliminazione della citazione all'udienza per i terzo), posto che la norma chiarisce indirettamente, indicando i limiti del pignoramento delle somme versate dopo il pignoramento, come anch'esse siano soggette al vincolo. Allo stesso tempo dal momento della notifica dell'atto di cui all'art. 543 c.p.c. vige l'inopponibilità di cause estintive del credito (art. 2917 c.c.; ergo il pignoramento opererà sulle rimesse successive ancorché al momento della sua notifica il saldo fosse negativo), e l'art. 546 c.p.c., novellato anch'esso prevede l'obbligo di custodia del banchiere per le somme non vincolate versate (anche) successivamente. In definitiva da tali principi si ricava che tutti i prelievi effettuati nel frattempo dal debitore, e che non siano nei limiti di impignorabilità suddetti, saranno del tutto inopponibili al creditore procedente.

Chiaramente tutto questo sistema di riferisce al periodo anteriore all'assegnazione. È infatti logico che in simili situazioni sia onere del creditore procedente invitare alla dichiarazione prevista dall'art. 547 c.p.c. tanto il banchiere quanto il datore di lavoro o l'ente previdenziale. Effettuate le rispettive dichiarazioni, l'assegnazione riguarderà fino alla data della stessa il banchiere con riferimento alle somme determinate ai sensi dei nuovi commi 7° e 8° dell'art. 545 c.p.c.; mentre gli stipendi o le rate di pensione che matureranno successivamente saranno assegnate, nei limiti visti, al creditore procedente e vedranno come terzo debitore rispettivamente il datore di lavoro e l'ente previdenziale, e nel conto corrente confluirà solo il netto, liberamente disponibile in capo al debitore.

Qualora poi, in prosieguo di tempo, si verifichino nuovi pignoramenti, o nell'ipotesi in cui siano presenti delle precedenti cessioni del quinto, il banchiere dovrà operare secondo quanto si è visto retro.

In caso di cointestazione, pare ormai logica la piena disponibilità delle somme dovute a titolo di retribuzione o trattamento pensionistico al cointestatario non debitore ed accreditate sul conto, alludendo evidentemente la norma alle sole retribuzioni e pensioni del debitore, e quindi a maggior ragione escludendo qualsiasi vincolo per altri soggetti.

Concretamente il banchiere provvederà quindi a dedurre dalla metà del saldo il triplo dell'assegno sociale, lasciando libera interamente l'altra metà.

Deve peraltro rimarcarsi come il legislatore non abbia disciplinato le ipotesi dei crediti da sussidi e quella delle pensioni di invalidità o di accompagnamento e sociali, ipotesi in cui come s'è visto sopra è prevista addirittura l'assoluta impignorabilità, e per le quali il problema della confluenza nei conti correnti si presenta sempre, posto che anche qui in linea di principio la confusione col patrimonio del debitore rimane.

Per evitare allora l'illegittimità costituzionale delle norme, almeno nelle ipotesi in cui tali somme sono destinate a soddisfare esigenze primarie del percettore (escludendosi così dal ragionamento che segue quelle dove si hanno erogazioni indipendenti da tali fattori), occorre ritenere che quando oggetto dell'accreditamento siano i sussidi, i relativi importi siano assolutamente e totalmente impignorabili alle condizioni che si sono viste al paragrafo precedente, restando dubbio se tale effetto si produca solo quando il conto venga utilizzato in via esclusiva proprio per la riscossione e gestione di tali crediti.

Ciò significa che per le somme accreditate anteriormente al pignoramento si procederà al solito blocco del triplo della pensione sociale per considerazioni analoghe a quanto detto per le retribuzioni e le pensioni, mentre circa le somme successivamente accreditate non si procederà al blocco nei limiti di cui ai commi 3, 4, 5 e 7, bensì tali somme saranno a disposizione del correntista per l'intero. A tali conclusioni non possono opporsi né le difficoltà del banchiere ad individuare tali tipologie di crediti né il fatto che le cause di prelazione sono di carattere eccezionale.

Sotto il primo aspetto l'individuazione di tali tipologie di crediti non presenta difficoltà superiori rispetto a quanto accada per pensioni e retribuzioni, e il meccanismo della totale esclusione risulta anzi più agevole di quello di dedurre quote, specie nelle ipotesi in cui si debba procedere ai sensi del terzo e quinto comma (concorso con crediti alimentari o simultaneo concorso di cause).

Sotto il secondo aspetto con quanto qui proposto non si ampliano le ipotesi di impignorabilità, ma soltanto si procede a salvaguardare crediti ex lege impignorabili anche nella fase iniziale dell'esecuzione adattando un meccanismo previsto dalla legge.

A diversamente concludere non resterebbe che sollevare questione di legittimità costituzionale.

A tutto ciò si aggiunga che quanto alle pensioni sociale, d'accompagnamento e d'invalidità civile, sempre nell'ottica di un'interpretazione costituzionalmente orientata, si deve ritenere che allorché il legislatore si riferisce a «pensione» al comma 8°, allude anche a tali crediti (sebbene si tratti di crediti aventi origine assistenziale più che previdenziale). In tal senso comunque depone il fatto stesso che la norma utilizzi proprio l'assegno sociale come parametro per il calcolo della quota esente da pignoramento.

Nulla dispone poi la norma circa l'ipotesi in cui anziché pensioni e retribuzioni siano pignorati crediti alimentari. Anche qui un'interpretazione analogica dei co. 7° e 8° della disposizione in commento, non vietata per quanto appena osservato e anzi necessaria in quanto costituzionalmente orientata (essendo evidente che se si avverte l'esigenza di tutelare il soddisfacimento di bisogni primari rendendo impignorabili in parte retribuzioni e pensioni convogliati in conto corrente, tra l'altro su sollecitazione del giudice delle leggi, a maggior ragione tale esigenza sussiste con riguardo ai crediti alimentari), porta a soluzioni analoghe a quelle appena viste, per cui qui il blocco sarà operato nei limiti di quanto stabilito dall'autorizzazione presidenziale di cui al 1° comma dell'art. 545 c.p.c..

Potrebbe peraltro accadere che ferma la confluenza nel conto di somme rinvenienti da crediti alimentari, nessuna speciale autorizzazione si sia fatta concedere il creditore procedente. In tal caso è ovvio che il banchiere non potrà ritenere pignorato il relativo importo in alcuna percentuale, ma la difficoltà sarà qui rappresentata dalla sua possibilità di sapere che quel dato versamento sia stato effettuato a titolo d'alimenti. Giocoforza in tali casi la questione verrà affrontata all'udienza su segnalazione del debitore esecutato, ma nel frattempo l'ignaro banchiere avrà legittimamente bloccato il pagamento di tutto il saldo.

Circa gli artt. 156 c.c. e 8, l. n. 898/1970, va ricordato che qui non si tratta di pignoramento ma di ordine di versamento a favore del coniuge creditore, quindi in caso di eventuali retribuzioni e pensioni confluite nel conto l'unica analogia possibile è con il disposto del co. 8°, prima parte, dell'art. 545 c.p.c. (triplo della pensione sociale), perché trattandosi di un conto corrente il banchiere non potrà che consegnare al creditore il saldo senza dover attendere alcun successivo provvedimento, escludendosi così l'applicabilità della seconda parte della norma in esame. Peraltro l'applicazione analogica varrà solo con riferimento all'ipotesi di cui art. 8, 8 comma, l. n. 898/1970, poiché con riguardo al caso di cui all'art. 156 c.c. al banchiere non resterà che attenersi alla determinazione del giudice ai sensi del 6° comma della disposizione da ultimo richiamata.

Non può infine sottacersi il fatto che i limiti al pignoramento suddetti sono rilevabili d'ufficio dal giudice, come espressamente stabilito dall'art. 545, comma 10, c.p.c.. La questione non è banale, perché va ancora una volta ricordato che si tratta pur sempre di crediti vantati dal debitore nei riguardi di un banchiere e che ripetono la loro causa da un rapporto di conto corrente bancario o postale. Con la precisazione circa il rilievo officioso il legislatore ha equiparato anche sotto questo profilo ed esplicitamente i crediti in esame a quelli di lavoro veri e propri, per i quali la rilevabilità d'ufficio discende peraltro da un costante principio giurisprudenziale (cfr. Cass. 11 giugno 1999, n. 5761).

Si pone qui la questione circa l'ambito del rilievo d'ufficio, ma a me pare debba escludersi che lo stesso si spinga fino all'indagine circa la presenza di accrediti di retribuzioni e pensioni oltre le risultanze documentali, non risultando le quali secondo alcuni dovendo addirittura il giudice imporre alla banca di svolgere le opportune verifiche.

Infine, come già ricordato, la riforma ha altresì, e correlativamente, modificato l'art. 546 c.p.c., disponendo che gli obblighi del terzo pignorato non operano per le somme versate in conto corrente e nella misura di loro esenzione dal pignoramento come sopra specificata.

Guida all'approfondimento
  • Boerci e Bottiglieri, Prime prassi applicative sulle recenti novità in materia di espropriazione presso terzi con speciale riferimento al pignoramento di stipendi e pensioni, relazione per la Scuola Superiore della Magistratura, 3 marzo 2016,BORGHESI, La legge n.132/2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali), REF, 2016, 52-58;
  • Crivelli, Pignoramento presso terzi, Milano, 2011;
  • Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2016;
  • Vallone, L'impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente: note a prima lettura del d.l. del 27 giugno 2015 n. 83, in www.judicium.it;

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