Pignoramento di più trattamenti pensionistici e calcolo del “minimo vitale impignorabile”

Rosaria Giordano
13 Aprile 2017

Il Tribunale di Benevento ha affrontato la questione attiene alle modalità di calcolo della soglia del c.d. minimo vitale impignorabile nel caso in cui il debitore percepisca più trattamenti pensionistici.
Massima

In tema di pignoramento presso terzi del trattamento pensionistico, nell'ipotesi in cui il debitore percepisca più pensioni, i relativi importi devono essere sommati al fine di determinare la soglia oltre la quale risultano pignorabili, entro i limiti di un quinto, ex art. 545 c.p.c..

Il caso

Era proposta opposizione agli atti esecutivi avverso l'ordinanza di assegnazione emessa in un procedimento di espropriazione presso terzi incardinato da Equitalia nei confronti del debitore, mediante il pignoramento dei trattamenti pensionistici dello stesso.

Nell'ambito delle varie doglianze proposte sia nella fase sommaria che in quella di merito dell'opposizione esecutiva, il debitore lamentava che il provvedimento di assegnazione, pur avendo tenuto conto del limite generale di un quinto entro il quale è pignorabile la pensione, non aveva anche considerato la riserva del minimo vitale impignorabile.

Nella sentenza in esame, viene affrontata quest'ultima problematica, anche in considerazione del disposto dell'art. 545 c.p.c. come novellato dal d.l. n. 83/2015, con riferimento alla peculiare questione della percezione da parte del debitore di più trattamenti pensionistici.

La questione

La questione attiene alle modalità di calcolo della soglia del c.d. minimo vitale impignorabile laddove il debitore percepisca più trattamenti pensionistici.

Le soluzioni giuridiche

Mediante la pronuncia che si annota, per pervenire alla soluzione sintetizzata dalla massima, ossia quella del cumulo delle due pensioni percepite dal debitore ai fini del calcolo del minimo vitale assolutamente impignorabile si svolgono preliminarmente alcune considerazioni di carattere generale.

In primo luogo, infatti, la decisione richiama l'evoluzione dal concetto generico di minimo vitale impignorabile espresso dalla fondamentale pronuncia C. cost. n. 506/2002 sino a quello normativamente predeterminato dal d.l. n. 83/2015, convertito nella l. n. 132/2015.

A riguardo, non è superfluo ricordare che i limiti di pignorabilità dei crediti derivanti da trattamenti pensionistici (o emolumenti previdenziali equiparati) sono stati oggetto di ampia discussione a seguito delle incertezze applicative derivate dalla pronuncia n. 506/2002 mediante la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli art. 1 e 2 comma 1 d.P.R. n. 180/1950, nella parte in cui escludono la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, indennità che ne tengono luogo ed altri assegni di quiescenza erogati ai dipendenti dai soggetti individuati dall'art. 1, anziché prevedere l'impignorabilità, con le sole eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte delle pensioni, indennità o altri assegni di quiescenza necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte (Corte cost. n. 506/2002, in Dir. e prat. lav., 2003, 503, con nota di Sica).

Nell'elaborazione successiva la giurisprudenza aveva cercato di precisare la portata della locuzione che impedisce il pignoramento dei trattamenti pensionistici dei dipendenti pubblici nella misura necessaria ad assicurare il minimo vitale, salva la pignorabilità, entro i limiti di un quinto, del residuo.

Proprio la difficoltà di individuare un criterio unitario aveva indotto la Suprema Corte ad affermare il principio per il quale, in assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del c.d. minimo vitale, ben può il giudice dell'esecuzione, in considerazione degli elementi concreti del caso, pervenire all'individuazione dell'importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare al pensionato adeguati mezzi di vita (Cass. n. 18225/2014).

La riforma di cui al d.l. n. 83/2015, è intervenuta, pertanto, sull'art. 545 c.p.c. stabilendo che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà, ferma la pignorabilità, degli importi eventualmente eccedenti tale minimo vitale, secondo il consueto limite generale di un quinto.

Come evidenziato nella Relazione Illustrativa, proprio per superare definitivamente l'incertezza correlata alla determinazione del minimo vitale (effettuata diversamente dai numerosi enti previdenziali e nella stessa prassi giudiziaria) e così prevenire ulteriori contenziosi rispetto a quelli già incardinati sulla questione, il d.l. n. 83/2015, conv. nella l. n. 132/2015, è intervenuto sull'art. 545 precisando che il minimum vitale assolutamente impignorabile corrisponde all'importo dell'assegno sociale (pari per l'anno 2015 alla somma di Euro 448,42), aumentato della metà. In altre e più chiare parole, ciò significa che nell'assetto attuale il trattamento pensionistico sarà impignorabile fino all'importo di Euro 672,63, restando invece pignorabile entro i limiti già precisati, di regola pari ad un quinto, per l'eventuale eccedenza.

In tale assetto, la pronuncia in esame, nell'affermare che il minimo vitale impignorabile pari ad Euro 672,63 deve essere calcolato sul cumulo dei due trattamenti pensionistici dell'esecutato rinviene il fondamento di tale assunto nella ratio della decisione C. cost. n. 506/2002.

Osservazioni

La soluzione affermata dalla pronuncia in commento appare condivisibile.

Invero, le norme che limitano la pignorabilità dei beni del debitore si pongono come disposizioni eccezionali rispetto al generale principio sancito dall'art. 2740 c.c. della responsabilità patrimoniale del debitore nei confronti dei propri creditori con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Rispetto al pignoramento dei trattamenti pensionistici, alla tutela tradizionale, del pignoramento entro i limiti del quinto, la Corte Costituzionale, mediante la fondamentale pronuncia n. 506, ha ritenuto di riconoscere quella aggiuntiva dell'impignorabilità assoluta del c.d. minimo vitale.

Questa decisione e la differenza di tutela rispetto al trattamento dello stipendio si fondano sull'art. 38 Cost., dovendosi assicurare garanzie rafforzate al pensionato il quale è privo di energie lavorative.

In detta prospettiva peraltro il concetto di minimo vitale impignorabile, oggi fissato dall'art. 545 c.p.c. nell'importo pari all'assegno sociale aumentato della metà, non può certo “moltiplicarsi” ove il debitore percepisca diversi trattamenti pensionistici, poiché, volendo avallare tale interpretazione, si andrebbe ad estendere, ben oltre l'esigenza di assicurare una vita dignitosa al pensionato considerata dalla Corte Costituzionale, la tutela in modo eccessivo, in danno del creditore.

A riguardo invero occorre tener conto della circostanza che, decurtato dal trattamento pensionistico l'importo del minimo vitale impignorabile, la pensione non è pignorabile in toto, ma soltanto entro i canonici limiti di un quinto.

Ciò significa, in altri termini, che se, ad esempio, la pensione percepita è pari ad 872,63 Euro, decurtato il minimo vitale impignorabile pari a 672,63 Euro, l'importo residuo di 200,00 Euro sarà aggredibile dai creditori esclusivamente nei limiti di un quinto, ossia di 40,00 Euro mensili.

Guida all'approfondimento

CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, 14a ed., Milano 2017, 592 ss.

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