Il legittimario può esperire l’azione di divisione solo se accolta prima quella di riduzione
24 Luglio 2017
Massima
Il legittimario, che sostenga di essere stato leso nei suoi diritti, deve domandare, anzitutto, la riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni lesive della legittima e, in subordine, la divisione: infatti, solo nell'eventualità in cui la prima istanza sia accolta, può essere presa in esame la seconda domanda. L'azione di divisione e l'azione di reintegrazione di quota legittima o di riduzione presentano una netta differenza sostanziale. La prima presuppone la preesistenza di una comunione; la seconda (art. 553 e ss. c.c.) è un'azione che la legge concede ai legittimari per ottenere la reintegrazione della quota legittima, mediante la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore può disporre. Il caso
Alcuni eredi legittimi proponevano domanda di divisione di una comunione ereditaria frutto di una successione legittima. I convenuti si costituivano opponendo un testamento olografo appena pubblicato, che escludeva dalla comunione ereditaria e, quindi, dalla divisione gli attori. Di tutta risposta, gli attori avanzavano domanda di riduzione, perché assumevano che fosse stata lesa la loro quota di legittima. Il Tribunale rigettava la domanda di riduzione sul presupposto che fosse stata proposta tardivamente, in quanto domanda nuova. La Corte d'appello presso la quale veniva impugnata la sentenza, ribaltava la decisione del giudice di primo grado, considerando tempestivamente proposta la domanda di riduzione, perché immediatamente conseguente alle difese del convenuto. La domanda di riduzione veniva, tuttavia, rigettata nel merito dal giudice d'appello, perché la corte riteneva che gli attori non avessero adempiuto all'onere della prova imposto dall'art. 554 c.c.. Le questioni
La pronuncia in esame vuole risolvere diverse questioni legate tra di loro. In primo luogo, si vuole chiarire il rapporto che sussiste tra l'azione di divisione e l'azione di riduzione. In secondo luogo, partendo dal presupposto che l'azione di riduzione sia una domanda nuova rispetto all'istanza di divisione, si indicano i termini entro i quali essa può essere proposta a giudizio iniziato. Infine, si indicano le condizioni che si debbono soddisfare perché possa essere accolta la suddetta domanda. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione parte dal presupposto dell'assoluta differenza di oggetto tra azione di divisione ed azione di riduzione. La prima, infatti, richiede la sussistenza di un precedente stato di divisione; la seconda riguarda, invece, la reintegrazione della propria quota di legittima che si assume lesa da disposizioni testamentarie eccedenti la quota di patrimonio a disposizione del de cuius o da donazioni. Le due domanda non sono incompatibili tra di loro, tuttavia, l'azione di riduzione è necessariamente antecedente a quella di divisione, se il legittimato pretende di essere stato estromesso dalla comunione ereditaria a seguito di atti disposizione patrimoniale del de cuius illegittimi. Così, prima egli deve rientrare nello stato di comunione, poi può chiedere la ripartizione dei beni comuni. In ipotesi del genere, per ragioni di economia processuale, viene consentito proporre cumulativamente le due azioni nello stesso processo: l'azione di divisione in subordine all'accoglimento dell'azione di riduzione, che indubbiamente ha carattere pregiudiziale. La diversità di oggetto sostanziale delle due azioni, ha come diretta conseguenza che la domanda di reintegrazione della quota di riserva non possa ritenersi implicitamente contenuta in quella di divisione e che, se proposta nel corso del giudizio di scioglimento della comunione, essa vada considerata come domanda nuova, per diversità di causa petendi e di petitum rispetto a quella iniziale di divisione. Il giudizio di divisione è riconosciuto come un procedimento ordinario con momenti di specialità, dovuti all'oggetto sostanziale che accoglie. Perciò, è soggetto alle preclusioni proprie del giudizio ordinario. Conseguentemente non sono proponibili domande nuove dopo gli atti introduttivi. A questo principio generale, però, fa eccezione il caso in cui la domanda riconvenzionale o l'eccezione del convenuto abbiano introdotto nel processo nuovi elementi di fatto in senso materiale, oppure un nuovo e diverso fatto giuridico, così mutando i termini della controversia inizialmente delineati dall'attore. In queste ipotesi secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale è consentito all'attore introdurre una domanda nuova, ma dipendente dal suddetto fatto materiale o giuridico, nella prima udienza di trattazione (In questo senso Cass., Sez. II, 27 settembre 2013, n. 22287; Id., Sez. Un.,15 giugno 2015, n. 12310). Nella fattispecie, la domanda di riduzione degli attori è stata ritenuta legittima dal giudice d'appello, in quanto reazione necessaria alla produzione in giudizio da parte degli avversari del testamento appena pubblicato, quindi, legittimamente ignorato. Inoltre, la domanda è stata correttamente proposta nella prima difesa utile, dopo il deposito del testamento da parte dei convenuti. La questione che, di seguito, la Corte di Cassazione affronta è quando possa ritenersi soddisfatto l'onera di allegazione da parte di chi agisce in riduzione. In proposito, la Corte specifica che il legittimario che agisce in riduzione ha l'onere di indicare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria nonché quello della quota di legittima violata dal testatore. Perciò, egli deve allegare, e poi provare, tutti gli elementi necessari per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della sua quota di riserva. In particolare, artt. 555 e 559 c.c. impongono all'attore di indicare il valore e l'ordine cronologico dei vari atti di disposizione del de cuius. L'adempimento di questo onere è necessario perché la prima norma stabilisce che le donazioni non si riducono se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento; la seconda che le donazioni si riducono cominciando dall'ultima e risalendo via via alle anteriori. Ovviamente, l'onere di allegazione deve essere soddisfatto contestualmente alla proposizione della domanda, non successivamente: perciò, è da considerare tardiva l'allegazione di fatti avvenuta nella comparsa conclusionale. Osservazioni
Questa pronuncia della Corte di Cassazione è perfettamente in linea con le Sez. Un. 12310/2015 che, affrontando il problema delle modificazioni alla domanda consentite in sede di prima udienza di trattazione, hanno posto principi generali anche in ordine alle domande nuove consentite, con un ragionamento di carattere sistematico. La Corte ha confrontato il dettato dell'art. 183 c.p.c. con l'art. 345 c.p.c., rilevando come solo in quest'ultima disposizione ci sia un esplicito divieto di domande nuove. Il giudice di legittimità ha constatato, però, come l'art. 183 ammetta specificamente per l'attore solo le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Il rovescio della medaglia di questa l'affermazione è il divieto per l'attore di presentare tutte le domande nuove ad eccezione di quelle che rappresentino una reazione legittima alle difese del convenuto. Questa interpretazione dell'art. 183 c.p.c. è perfettamente coerente con il principio di economia processuale, inteso non con riferimento al singolo procedimento, ma alla vicenda giudiziaria complessivamente intesa. In tal modo, infatti, si evita la moltiplicazione dei giudizi e la generazione di giudicati tra di loro contraddittori. |