La trasformazione del rito non sana l’inammissibilità dell’atto di appello erroneamente introdotto

Giuseppe Buffone
24 Agosto 2016

Nei giudizi di gravame avverso ordinanza resa a seguito di procedimento sommario di cognizione (art. 702-quater c.p.c.), l'appello deve essere proposto nella forma della citazione e non già con ricorso.
Massima

Nei giudizi di gravame avverso ordinanza resa a seguito di procedimento sommario di cognizione (art. 702-quater c.p.c.), l'appello deve essere proposto nella forma della citazione e non già con ricorso, trovando applicazione, in assenza di una specifica previsione normativa per il giudizio di secondo grado, la disciplina ordinaria di cui agli artt. 339 e ss. c.p.c.

L'appello avverso le ordinanze emesse a seguito di procedimento sommario di cognizione, ove erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l'atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte. Non assume rilievo la conversione del rito disposta ai sensi dell'art. 4 del d.lg. n. 150 del 2011, non potendo trovare applicazione, in casi del genere, la regola stabilita dal comma 5 di tale articolo, che fa salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda prodottisi in base alle norme del rito seguito prima del mutamento: come si evince dal comma 2, che impone l'adozione di tale provvedimento non oltre la prima udienza di comparizione delle parti, la norma in esame si riferisce al solo caso in cui il giudizio sia stato erroneamente instaurato in primo grado secondo un rito difforme da quello previsto dalla legge, e non può quindi essere estesa all'ipotesi in cui l'errore sia caduto sulle modalità di proposizione dell'appello.

Il caso

L'Ambasciata d'Italia in Bogotá respinge la richiesta di visto presentata da un cittadino straniero per il ricongiungimento con la propria madre, debitamente munita di nullaosta rilasciato dalla Prefettura di Milano. Il provvedimento negativo viene impugnato davanti al Tribunale di Milano che rigetta l'impugnazione.

Avverso la statuizione di primo grado, l'interessato interpone atto di appello sotto forma di ricorso e non anche di citazione: la Corte di Appello di Milano stima ammissibile il gravame e, decidendo nel merito, lo accoglie.

Il Ministero resistente ricorre in Cassazione dolendosi della decisione in rito del giudice meneghino: il ricorso in appello, infatti, è stato sì depositato entro trenta giorni ma notificato alla controparte oltre tale termine.

La Suprema Corte accoglie le censure ministeriali ritenendo inammissibile l'atto di appello presentato in sede di giudizio di secondo grado.

Le questioni

Le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare sono, oggi, regolate dall'art. 21 del d.lg. n.150 del 2011 (cd. TU delle leggi processuali civili): si applica, dunque, il procedimento sommario di cognizione. L'applicazione di questo modello processuale pone due problemi principali: in primo luogo, quale rito debba essere seguito in grado di appello, nulla precisando al riguardo la disciplina uniforme (v. art. 702-quater c.p.c.) o quella settoriale (art. 21 cit.); in secondo luogo, cosa accada se un procedimento di secondo grado sia introdotto con rito diverso da quello previsto dalla Legge. A questi quesiti offre soluzione l'ordinanza in commento, con una serie di principi di diritto che constano già di precedenti nella giurisprudenza di Cassazione (che, tuttavia, non ha incontrano l'unanime consenso dei giudici di merito).

La prima questione cui si è fatto cenno, riguarda il rito da seguire in appello nel caso di impugnazione di una ordinanza emessa a seguito di procedimento sommario di cognizione. Sul punto, può ritenersi ormai pacifica la soluzione accolta dalla ordinanza in commento. In materia di rito sommario di cognizione, l'appello, ex art. 702-quater c.p.c. ha la funzione di un mezzo d'impugnazione, senza il quale l'ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c. passerebbe in giudicato, e prefigura un procedimento che, seppure non dettagliatamente specificato nella norma, ricalca significativamente quello dell'appello (art. 345 c.p.c., comma 2); non vi sono, dunque, ragioni per ritenere che «la semplificazione della procedura per la trattazione della causa in primo grado e la previsione che nei procedimenti sommari di cognizione la domanda possa essere proposta con ricorso siano elementi idonei a determinare una cristallizzazione delle forme degli atti anche per i gradi successivi, tali da produrre la ultrattività del rito semplificato anche in appello. Costituisce interpretazione più conforme alle regole processuali che governano le impugnazioni in appello ritenere che per effetto del rinvio ordinario alle norme generali dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale (art. 359 c.p.c.) l'impugnazione debba essere proposta mediante atto di citazione» (App. Milano, sez. I civ., sent., 28 ottobre 2014 n. 3812).

L'orientamento sin qui illustrato è stato da ultimo sposato anche dalla Suprema Corte allorché ha affermato che «in materia di rito sommario di cognizione previsto per le controversie regolate dal d.lgs. 150 del 2011, l'appello, ex art. 702-quater c.p.c., va proposto con atto di citazione» (Cass. civ., sez. VI-1, 15 dicembre 2014 n. 26326). Tale principio costituisce un corollario del rilevante arresto delle S.U. n. 2907 del 2014, secondo il quale trova applicazione, in assenza di una specifica previsione normativa per il giudizio di secondo grado, la disciplina ordinaria di cui agli artt. 339 e ss. c.p.c.

Quali effetti pratici ha questo orientamento? Uno senz'altro di particolare importanza: la verifica della tempestività dell'impugnazione va effettuata calcolandone il termine di trenta giorni dalla data di notifica dell'atto introduttivo alla parte appellata e non anche dal deposito del ricorso nella Cancelleria del giudice del gravame. In questi termini si sono pronunciate anche le Sezioni Unite affermando che «l'appello, ove erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione, è suscettibile di sanatoria, a condizione che nel termine previsto dalla legge l'atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte, non trovando applicazione il diverso principio, non suscettibile di applicazione al di fuori dello specifico ambito, affermato con riguardo alla sanatoria delle impugnazioni delle deliberazioni di assemblea di condominio spiegate mediante ricorso, e senza che sia possibile rimettere in termini l'appellante, non ricorrendo i presupposti della pregressa esistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale poi disatteso da un successivo pronunciamento» (Cass. Civ., sez. un., 10 febbraio 2014 n. 2907).

Si approda, così, alla seconda questione: l'eventuale trasformazione del rito può avere effetti salvifici dell'appello erroneamente introdotto con ricorso e tardivamente notificato seppur tempestivamente depositato? Ai sensi dell'art. 4 d.lg. n.150 del 2011, quanto una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza. In questi casi, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. La giurisprudenza di merito ha inteso questo strumento processuale come avente carattere generale e, infatti, lo ha applicato anche rispetto a riti diversi da quelli tipizzati nel decreto 150 cit. (es., rito camerale sui diritto soggettivi: Trib. Milano, sez. IX, decr., 7 maggio 2014); soprattutto, lo ha ritenuto applicabile anche in appello (App. Milano, 9 luglio 2014 n. 3274).

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, opina diversamente. Secondo la Cassazione, come si evince dal comma 2 dell'art. 4 cit., che impone l'adozione di tale provvedimento non oltre la prima udienza di comparizione delle parti, la norma in esame si riferisce al solo caso in cui il giudizio sia stato erroneamente instaurato in primo grado secondo un rito difforme da quello previsto dalla legge, e non può quindi essere estesa all'ipotesi in cui l'errore sia caduto sulle modalità di proposizione dell'appello. In altri termini: l'appello inammissibile non può essere “salvato” attraverso lo strumento dello switch procedimentale.

Osservazioni

Giova ricordare come l'art. 702-quater c.p.c. ammetta l'appello espressamente solo con riguardo alla ordinanza di accoglimento e non anche di rigetto: la decisione in commento, seppur implicitamente, conferma l'indirizzo già enunciato dalla Suprema Corte e per cui, nel procedimento sommario di cognizione, anche l'ordinanza di rigetto della domanda è appellabile ex art. 702-quater c.p.c., «il cui richiamo al comma 6 dell'art. 702-ter c.p.c. va letto in continuità col comma 5, quest'ultimo riferito sia all'accoglimento che al rigetto, essendo peraltro contraria ai principi di eguaglianza, ragionevolezza e difesa un'appellabilità "secundum eventum litis"» (Cass. civ., sez. VI-2, 2 novembre 2015 n. 22387).

Guida all'approfondimento

BUFFONE, CURTÒ, IANNI, Semplificazione dei riti civili (Parte generale. Rito Lavoro), Milano, Giuffré Ed., 2013;

BUFFONE, CURTÒ, IANNI, Semplificazione dei riti civili (Rito Sommario di cognizione. Rito Ordinario), Milano, Giuffré Ed., 2013;

GIORDANO R. Il procedimento sommario di cognizione, in Didone A. (a cura di), Il processo civile competitivo, Torino, 2010.

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