Impugnazione della convalida di sfratto: la Corte d’appello non deve rimettere le parti innanzi al giudice di primo grado ma deve decidere la causa nel merito

Caterina Costabile
26 Luglio 2017

La questione sottoposta all'attenzione della Cassazione è se la Corte d'appello, una volta accertato che l'ordinanza di convalida dello sfratto appellata è stata emessa in difetto dei presupposti di cui all'art. 663 c.p.c., debba rimettere le parti innanzi al giudice di primo grado oppure decidere la causa nel merito.
Massima

In tema di sfratto per morosità alla cui convalida l'intimato si sia opposto, qualora il giudice erroneamente anziché adottare i provvedimenti di cui agli artt. 665 e 667 c.p.c., emetta ordinanza di convalida, questa assume natura decisoria e contenuto sostanziale di sentenza e l'impugnazione deve essere proposta con appello. Con tale atto l'intimato potrà chiedere di essere rimesso nei termini per espletare l'attività difensiva che gli è stata impedita in primo grado, fermo restando la decisione di merito del Giudice di appello

Il caso

Il locatore Tizio intimava sfratto per morosità dall'immobile di proprietà esponendo di averlo concesso in locazione per uso diverso alla conduttrice Caia, la quale a sua volta aveva ceduto l'azienda, e con essa il contratto di locazione, ad un altro conduttore Sempronio. Quest'ultimo si era reso moroso nel pagamento di alcune mensilità.

Sempronio si opponeva alla convalida di sfratto proposto dinnanzi alla sezione distaccata del Tribunale territorialmente competente. Successivamente, a seguito della soppressione della sezione distaccata, gli atti del processo in questione venivano trasferiti al Tribunale in sede centrale, il quale all'udienza fissata ed in assenza di Sempronio, convalidava lo sfratto.

Sempronio proponeva appello avverso l'ordinanza di convalida di sfratto eccependone la nullità per non essere stato avvisato dell'udienza all'uopo fissata dal Tribunale adito dopo la soppressione della sezione distaccata, innanzi alla quale era stata originariamente incardinata la causa.

La Corte di appello dichiarava con sentenza la nullità dell'ordinanza di convalida dello sfratto osservando che la stessa era stata emessa in difetto dei relativi presupposti. Procedeva di seguito all'esame del merito della controversia, ed accoglieva la domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore.

L'intimato proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado.

La questione

La questione sottoposta all'attenzione della S.C. è se la Corte d'appello, una volta accertato che l'ordinanza di convalida dello sfratto appellata è stata emessa in difetto dei presupposti di cui all'art. 663 c.p.c., debba rimettere le parti innanzi al giudice di primo grado oppure decidere la causa nel merito.

Le soluzioni giuridiche

Costituisce principio pacifico in giurisprudenza che la convalida della licenza o dello sfratto emessa «ritualmente», e cioè in presenza del paradigma legale dettato per la sua adozione dallo schema-tipo di procedimento sommario previsto dall' art. 663 c.p.c. e dei presupposti generali dell'azione, è da considerarsi non impugnabile con i normali mezzi di gravame e soggetta esclusivamente allo specifico rimedio dell'opposizione dopo la convalida ex art. 668 c.p.c. L'ordinanza emessa in difetto dei presupposti prescritti dalla legge e, quindi, al di fuori dello schema processuale ad essa relativo, è invece soggetta al normale rimedio dell'appello essendo, in tal caso, equiparabile, nella sostanza, ad una sentenza anche ai fini delle impugnazioni (Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2006, n. 15353; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2001, n. 10146).

Tali presupposti sono, da un lato, quelli particolari del provvedimento di convalida (indicati nell'art. 663, commi 1 e 3, c.p.c., e cioè la mancata comparizione, la mancata contestazione e la dichiarata persistenza della morosità, sicché l'intimato non deve limitarsi a comparire ma deve anche opporsi alla convalida), dall'altro, quelli generali dell'azione, cioè la giurisdizione, la competenza, la capacità processuale dell'intimante e la corretta evocazione in giudizio.

Il giudice deve, pertanto, rifiutare la convalida anche quando riscontri la mancanza dei presupposti generali dell'azione non assumendo al riguardo rilievo il comportamento mantenuto dall'intimato (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2002, n. 17151).

Esistendo dei mezzi specifici di impugnazione avverso il provvedimento di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione o per morosità, non è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 cost. (Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2010, n. 12979).

La questione affrontata dalla sentenza in epigrafe è se la Corte d'appello, una volta accertato che l'ordinanza di convalida dello sfratto appellata è stata emessa in difetto dei presupposti di cui all'art. 663 c.p.c., debba rimettere le parti innanzi al giudice di primo grado oppure decidere la causa nel merito.

I giudici di legittimità hanno all'uopo rimarcato che la rimessione della causa al giudice di primo grado è consentita solamente nelle ipotesi tassative previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c. (Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 2016, n. 27516; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2016, n. 21219).

Principio questo ritenuto applicabile anche nel caso di nullità della citazione introduttiva del giudizio di primo grado, che si è svolto in contumacia della parte convenuta, determinata dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione, giacché in una simile ipotesi non ricorre né la nullità della notificazione dell'atto introduttivo, né alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 343 e 354 c.p.c. Pertanto, il giudice di appello deve decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse (Cass. civ., sez. I, 13 settembre 2016, n. 17950; Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2016, n. 12156).

Ipotesi quest'ultima ritenuta dalla S.C. sovrapponibile al caso di specie, potendo l'intimato chiedere con l'atto di appello di essere rimesso nei termini per espletare l'attività difensiva che gli è stata impedita in primo grado. Fermo restando che il giudice d'appello dovrà decidere la controversia nel merito, giacché l'omissione del mutamento di rito non integra alcuna delle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 343 e 354 c.p.c., per la rimessione della causa al primo giudice.

Osservazioni

La deviazione dallo schema processuale tipico, cui la giurisprudenza fa riferimento per individuare le ipotesi di appellabilità dell'ordinanza di convalida, ricorre quando il giudice abbia pronunciato l'ordinanza in difetto dei presupposti previsti dall'art. 663 c.p.c., ma non anche se non abbia esaminato questioni di merito (quale quella della validità del contratto di locazione), che non trovano spazio nell'ambito del procedimento sommario al di fuori del caso in cui l'intimato abbia dichiarato di opporsi alla convalida (e al limitato fine di emettere o negare l'ordinanza non impugnabile di rilascio).

Ciò in quanto nella fase sommaria il giudice opera unicamente una verifica ab externo, che non investe i contenuti del rapporto negoziale ma è volta ad accertare soltanto se l'intimato intenda o meno opporsi alla convalida. Le questioni di merito rimangono, di conseguenza, estranee alla fase sommaria che si concluda con la rituale emissione dell'ordinanza di convalida, senza possibilità per l'intimato - che avrebbe potuto farle valere mediante l'opposizione alla licenza o allo sfratto e nell'ambito del procedimento ordinario instaurato a seguito di tale opposizione - di recuperarne l'esame a mezzo dell'appello avverso l'ordinanza di convalida (Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2014, n. 15230).

La S.C. ha inoltre chiarito che la dichiarazione del locatore che la morosità persiste costituisce il presupposto di legittimità della convalida, sicché contro di essa è ammissibile l'appello solo se diretto a contestarne la mancanza e non per dedurne la non veridicità (Cass. civ., sez. VI, 3 settembre 2015, n. 17582).

Va inoltre rimarcato che l'ordinanza di convalida emessa a seguito del mancato rispetto del termine per purgare la mora ex art. 55 L. 392/1978 non è impugnabile con l'appello né con il ricorso per cassazione di cui all'art. 111 Cost., ma soltanto con l'opposizione tardiva contemplata dall'art. 668 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2008, n. 24764; Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2006, n. 11380). Ciò in quanto il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, chieda la concessione del cosiddetto termine di grazia, manifesta in tal modo una volontà incompatibile con quella di opporsi alla convalida, cosicché al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice, segue ipso facto l'emissione dell'ordinanza di convalida prevista dall' art. 663 c.p.c., senza che possa aver luogo l'ulteriore trattazione nel merito.

Appare inoltre opportuno ricordare che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 404 c.p.c. laddove non prevedeva l'opposizione di terzo, sia ordinaria che revocatoria, avverso l'ordinanza di convalida di sfratto per finita locazione (C. Cost., 7 giugno 1984, n. 167), avverso quella di convalida dello sfratto per morosità (C. Cost., 25 ottobre 1985, n. 237) e avverso quella di convalida di licenza per finita locazione (C. Cost., 26 maggio 1995, n. 192). Quest'ultima decisione ha esteso all'ordinanza di convalida per finita locazione solo l'opposizione ordinaria, ma non anche quella revocatoria come invece era avvenuto con le due sentenze precedenti.

Guida all'approfondimento
  • Ansanelli, Appellabilità dell'ordinanza di convalida di sfratto illegittimamente emessa, in Giur. It., 2001, 7;
  • Ronco, Convalida di sfratto, opposizione tardiva e mezzi ordinari di impugnazione: coordinate dell'esistente e fuga sul possibile, in Giur. It., 1996, 3.

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