La rimessione in termini
26 Settembre 2017
La rimessione in termini in generale
L'art. 19, l. 26 novembre 1990, n. 353, ha introdotto nell'ordinamento l'istituto della rimessione in termini, collocato nell'art. 184-bis c.p.c.. Successivamente la disposizione è stata spostata nell'art. 153, comma 2, c.p.c., con l'art. 45, l. 18 giugno 2009, n. 69: il testo è rimasto inalterato, salvo per il riferimento non più al giudice istruttore, ma al giudice tout court. Si è parlato, in proposito, di «valvola di sicurezza dell'ordinamento» (Verde, Considerazioni sul progetto Vassalli, in Foro it., 1989, V, 250) posta in correlazione con l'ampio rilievo assunto dal sistema delle decadenze e delle preclusioni previste dalle riforme processuali degli anni 1990-1995. Si discuteva, in passato, dell'ambito di applicazione dell'art. 184-bis c.p.c., intesa da alcuni come istituto di carattere generale applicabile a ciascuna articolazione del processo e da altri come rimedio restitutorio di applicazione limitata allo svolgimento del processo dinanzi all'istruttore. Quest'ultima soluzione ha trovato il consenso rimasto fermo per molti anni della SC, la quale ha più volte ribadito che la rimessione in termini concerne le sole ipotesi in cui le parti costituite siano decadute dal potere di compiere determinate attività nel corso di causa, e non è quindi applicabile alle situazioni esterne al grado del giudizio (anzitutto alle impugnazioni, ma anche, ad es., alla riassunzione) relativamente alle quali i termini perentori previsti dall'art. 153 c.p.c. sono improrogabili (Cass. civ. 7 febbraio 2008, n. 2946; Cass. civ. 21 aprile 2004, n. 7612; Cass. civ. 8 aprile 2004, n. 6932; Cass. civ. 29 gennaio 2003, n. 1285; Cass. civ. 9 agosto 2002, n. 12132; Cass. civ. 30 luglio 2002, n. 11218; Cass. civ. 27 luglio 2002, n. 11136; Cass. civ. 26 febbraio 2002, n. 2875; Cass. civ. 29 settembre 2000, n. 12935). Sulla spinta dell'opinione critica della dottrina, la quale, pur con diverse accentuazioni, ha posto in evidenza la difficoltà di conciliare l'orientamento della Suprema Corte con l'art. 24 Cost. (v. Balbi, La decadenza nel processo di cognizione, Milano 1983, 309 ss., 455 ss.; Balbi, Rimessione in termini (dir. proc. civ.), Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1993, 2; Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 49 ss., 119 ss.; Caponi, La causa non imputabile alla parte nella disciplina della rimessione in termini nel processo civile, in Foro it., 1998, I, 2658), nel 2008 l'indirizzo è mutato, quando — peraltro — alcune conseguenze non commendevoli provocate dalla lettura restrittiva dell'art. 184-bis c.p.c. si erano ormai determinate: non sembra avventato supporre, in particolare, che il vero e proprio sovvertimento occorso nel settore delle notificazioni, con l'affermarsi del principio della scissione dei momenti perfezionativi per il notificante e per il notificato, non avrebbe avuto ragione di essere se si fosse ammessa, caso per caso, la rimessione in termini ove il mancato perfezionamento della notificazione fosse stato da ascrivere a causa non imputabile. Ha difatti affermato la Cassazione, nel rimeditare la questione dell'ambito di applicabilità della rimessione in termini, che il difensore del ricorrente per cassazione può domandare di essere rimesso in termini per la produzione dell'avviso del piego raccomandato che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere il duplicato che l'amministrazione è tenuta a rilasciare in caso di smarrimento dell'originale da parte dell'ufficio postale (Cass. civ., Sez. Un., 14 gennaio 2008, n. 627). Ed il nuovo indirizzo si è successivamente stabilizzato, con l'affermazione del principio secondo cui l'istituto della rimessione in termini, previsto dall'art. 184-bis c.p.c. (abrogato dall'art. 46, comma 3, della legge n. 69 del 2009, con decorrenza dal 4 luglio 2009, per l'entrata in vigore del novellato art. 153, comma 2, c.p.c.), ancorché collocato sotto la rubrica della «trattazione della causa» e riferito al «giudice istruttore», è applicabile, alla luce del principio costituzionale del giusto processo, anche alle situazioni esterne allo svolgimento del grado del giudizio, quali sono, per esempio, le attività necessarie alla proposizione del ricorso per cassazione ed alla prosecuzione del procedimento (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2010, n. 14627). Dopodiché il carattere generale del rimedio della rimessione in termini è venuto in evidenza con il «trasloco» del precetto posto dall'art. 184-bis c.p.c. nell'art. 153 c.p.c., ove non si fa più riferimento al giudice istruttore, ma semplicemente al giudice. Sicché, in breve, la rimessione in termini ha acquistato lo stesso assetto sia nelle fattispecie cui si applica quoad tempus l'art. 184-bis c.p.c. (cause pendenti al 4 luglio 2009), sia in quelle regolate dal nuovo art. 153 c.p.c., che, mediante tale collocazione, ha indubbiamente fatto della rimessione in termini un istituto di carattere generale applicabile a tutti i termini perentori (almeno ad essi) contemplati dal primo comma della stessa disposizione. Ambito di applicazione
Esemplificando, con riguardo alla fase di trattazione del giudizio di primo grado, è da ritenere che la rimessione in termine possa senz'altro trovare applicazione — come già accadeva in applicazione dell'art. 184-bis c.p.c., pur nella vecchia lettura — per quanto concerne:
Quanto alla contestazione e all'allegazione dei fatti posti a fondamento di eccezioni in senso lato, l'applicabilità della rimessione in termini discende dalla soluzione delle discusse questioni se il congegno della non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. (v. F. Petrolati, Contestazione in ilprocessocivile.it) sia o meno reversibile (e, in altri termini, se la parte possa o meno contestare nell'intero corso del processo in primo grado i fatti posti a fondamento della domanda o dell'eccezione) e se, parimenti, i fatti posti a sostegno delle eccezioni in senso lato (v. S. Tassone, Eccezione in generale) possano essere o meno allegati per tutto l'arco temporale del processo in primo grado. Oltre che alle decadenze maturate all'interno del singolo grado di giudizio, la rimessione in termini si applica alle decadenze da poteri esterni al grado del giudizio (in tal senso espressamente Cass. civ., sez. V, 2 marzo 2012, n. 3277; Cass. civ., sez. V, 15 aprile 2014, n. 8715, entrambe concernenti il processo tributario): dunque all'inosservanza dei termini per appellare, per ricorrere per cassazione o proporre altri mezzi di impugnazione, per proseguire o riassumere un processo interrotto o sospeso, e così via. Quanto all'impugnazione, in particolare, non sembra possa distinguersi tra l'inosservanza del termine «breve» ex art. 325 c.p.c. e termine «lungo» ex art. 327 c.p.c.: e, cioè, è da ritenere che se l'inosservanza è dovuta a causa non imputabile, la parte vada rimessa in termini nell'uno e nell'altro caso (Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell'ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, www.judicium.it, 6; contra Balbi, La decadenza, cit., 458 ss.). Alla base della rimessione in termini sta infatti l'esigenza di neutralizzare gli impedimenti di fatto all'esercizio dei poteri processuali, esigenza che, in presenza di causa non imputabile, ricorre tanto in caso di violazione del termine breve che di violazione del termine lungo. Pare inoltre preferibile ritenere che la rimessione in termini, pur collocata nella norma dettata a disciplinare il termine perentorio, debba trovare applicazione non soltanto in caso di violazione di un termine perentorio in senso stretto, ma anche nell'ipotesi del formarsi di una preclusione dipendente dall'inosservanza della sequenza degli atti processuali prevista dal codice di rito. Non sembra invece porsi la questione dell'applicazione dell'istituto ai termini ordinatori (v. M. Di Marzio, Termine ordinatorio in ilprocessocivile.it), giacché delle due l'una: se essi non sono ancora scaduti, sono prorogabili su istanza della parte interessata, senza che necessiti l'allegazione e prova della causa non imputabile; se sono scaduti, tali termini producono effetti identici a quelli dei termini perentori, sicché la rimessione in termini appare senz'altro applicabile. La causa non imputabile
Non perfettamente netta è la nozione di causa non imputabile cui la figura della rimessione in termini fa riferimento: si discute, in particolare, se la formulazione dell'art. 184-bis c.p.c. e poi dell'art. 153 c.p.c., laddove si riferisce alla causa non imputabile, debba essere fatta coincidere o meno con la nozione di caso fortuito e forza maggiore, ovvero se debba essere parametrata all'assenza di colpa e, specularmente, all'osservanza di un adeguato grado di diligenza, così da tradursi in definitiva in più elastica scusabilità. Una certa tendenza alla dilatazione della nozione di causa non imputabile è testimoniata da due pronunce le quali hanno ammesso l'applicabilità della rimessione in termini proprio in caso di mutamenti giurisprudenziali. È stato affermato, cioè, che alla luce del principio costituzionale del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza preclusiva l'errore della parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata, al tempo della proposizione dell'impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non richiesto al momento del deposito dell'atto di impugnazione, discenda dall'overruling; il mezzo tecnico per ovviare all'errore oggettivamente scusabile, secondo la Suprema Corte, è dato dal rimedio della rimessione in termini, previsto dall'art. 184-bis c.p.c. (ratione temporis applicabile), alla cui applicazione non osta la mancanza dell'istanza dell'interessato, dato che, nella specie, la causa non imputabile è conosciuta dalla corte di cassazione, che con la sua stessa giurisprudenza ha dato indicazioni sul rito da seguire, ex post rivelatesi non più attendibili (Cass. civ. 2 luglio 2010, n. 15811; Cass. civ. 17 giugno 2010, n. 14627). Certo, non è facile ritrovare una netta linea di coerenza e definire la nozione di causa non imputabile, volendo muovere dallo scrutinio del dato giurisprudenziale, ove si osservi che la stessa S.C. la quale applica addirittura d'ufficio (mentre Cass. civ. 13 giugno 2008, n. 16026 sottolinea invece, nel rispetto del dato normativo, che l'art. 184-bis c.p.c. ammette la rimessione in termini, ma solo ad istanza della parte interessata) la rimessione in termini in caso di propri mutamenti di indirizzo, ritiene poi, nell'ipotesi di ritardato deposito in cancelleria del ricorso per cassazione, di escludere possa costituire «causa di non imputabilità del ritardo l'avvenuta sottrazione del plico contenente il ricorso al vettore incaricato del recapito al collega del difensore in Roma, che ne avrebbe dovuto curare il deposito, dipendendo l'impossibilità di tale adempimento dal mezzo a tal fine prescelto dal difensore, in luogo dell'invio per posta direttamente al cancelliere della Corte di cassazione» (Cass. civ. 23 febbraio 2010, n. 4356). In generale sembrerebbe prevalere l'idea che, rispetto al caso fortuito e alla forza maggiore, la nozione di causa non imputabile sia caratterizzata da un maggior tasso di elasticità e da minor rigore, dovendo in definitiva consistere in un fatto, pur considerato nella sua obbiettività e che abbia riguardato la sfera della parte incorsa in decadenza sì da escludere ogni suo profilo di colpa. Così, la Cassazione ha stabilito che l'istituto della rimessione in termini presuppone che la decadenza sia derivata da una causa non imputabile alla parte perché estranea alla sua volontà, sicché non può essere invocata quando la parte stessa, dovendo integrare una delibera di ammissione al gratuito patrocinio erroneamente emessa da un consiglio dell'ordine degli avvocati incompetente, non abbia per tale ragione provveduto alla iscrizione a ruolo di una causa di appello nel termine di legge, trattandosi di una scelta della parte medesima, che avrebbe potuto pagare il contributo unificato e ricorrere solo successivamente all'assistenza tramite il patrocinio a spese dello Stato (Cass. civ., sez. III, 27 ottobre 2015, n. 21794: si potrebbe obbiettare che, avendo l'interessato fatto istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, probabilmente i denari per provvedere all'iscrizione a ruolo aveva difficoltà a procurarseli). In un caso invero ricorrente, quello della proposizione dell'impugnazione con ricorso anziché con atto di citazione (e viceversa), la SC ha escluso che la parte possa invocare il diritto alla rimessione in termini, giacché l'errore sulla forma dell'atto di appello non è sussumibile nella causa non imputabile (Cass. civ. 17 maggio 2017, n. 12413). Parimenti, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto, ravvisabile laddove la parte si dolga dell'omessa comunicazione della data di trattazione dell'udienza e/o della sentenza stessa, atteso che il termine di cui all'art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, a prescindere dal rispetto, da parte della cancelleria medesima, degli obblighi di comunicazione alle parti, e che, inoltre, rientra nei compiti del difensore attivarsi per verificare se siano state compiute attività processuali a sua insaputa (Cass. 8 marzo 2017, n. 5946). Certo è, inoltre, che l'istituto della rimessione in termini non può essere applicato nel caso in cui il processo sia ormai definito con sentenza irretrattabile: in particolare, il processo può essere riassunto nel termine di un anno e, dato che l'ampiezza del termine suddetto garantisce il diritto di difesa, l'eventuale decesso del difensore avvenuto dopo la pubblicazione della sentenza che ha cassato con rinvio la decisione impugnata e durante la pendenza del termine per impugnare non è idoneo a interrompere il processo suddetto, né ad incidere sull'osservanza del termine perentorio per la riassunzione (Cass. civ.17 febbraio 2017, n. 4242). Inoltre la causa non imputabile ex art. 153, comma 2, c.p.c., legittimante l'istanza di rimessione in termini, deve essere valutata in relazione al tempo ragionevolmente utile a porre rimedio alla situazione verificatasi (Cass. civ. 10 gennaio 2017, n. 363, concernente una ipotesi di negligenza in capo al domiciliatario, colpito da un malore prima di poter iscrivere al ruolo la causa). La rimessione in termini, ancora, non può essere riferita ad un evento esterno al processo, impeditivo della costituzione della parte, quale la circostanza dell'infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, giacché attinente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell'art. 83 c.p.c., che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un'azione di responsabilità promossa contro quest'ultimo, e non già, quindi, spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte dichiarata contumace, o, addirittura, comportare la revoca, in grado d'appello, di tale dichiarazione (Cass. civ. 17 novembre 2016, n. 23430). Può ipoteticamente costituire causa non imputabile, tale da giustificare la rimessione in termini, l'incapacità di intendere e di volere della parte (Cass. civ. 15 marzo 2017, n. 6664). Non mancano, fin da epoca ormai non più recente, altre pronunce che danno dell'istituto una lettura alquanto restrittiva, come nel caso dell'esclusione della rimessione in termini richiesta a seguito di una lesione ischemica celebrale che aveva colpito il difensore, poiché la malattia aveva provocato esclusivamente conseguenze di carattere motorio (Trib. Padova, 15 luglio 2005, in Resp. civ. e prev., 2006, 324; anche Cass. 7 maggio 1980, n. 3007, nel quadro di applicazione dell'art. 294 c.p.c., ha ritenuto irrilevante uno stato di malattia, perché «tale stato non può essere considerato una causa di impedimento a lui non imputabile, essendo in ogni caso possibile il rilascio di una procura ad hoc» per il compimento dell'atto). In altri casi sembra prevalere l'opinione secondo cui il presupposto della rimessione in termini non è circoscritto agli impedimenti di natura strettamente materiale o comunque oggettiva, ma abbraccia anche le situazioni in cui il superamento delle preclusioni sia motivato da esigenze difensive sopravvenute (Trib. Roma 16 dicembre 1997, in Foro it., 1998, I, 2660). Sono ad esempio numerosi i casi in cui la rimessione in termini è stata applicata al fine di consentire la produzione di documenti sopravvenuti dopo lo spirare dei termini preclusivi fissati dall'art. 183 c.p.c. (Trib. Milano 9 dicembre 2009, n. 14694, in Giustizia a Milano, 2009, 12, 87; Trib. Milano 3 giugno 2008, n. 72143, in Giustizia a Milano, 2008, 78, 55; Trib. Trani 1° dicembre 1999, in Giur. merito, 2000, 556; ma, in dottrina, vi è chi sostiene che la produzione dei documenti sopravvenuti si colloca al di fuori dell'ambito di applicazione della rimessione in termini, giacché in tal caso, la non imputabilità della causa sarebbe in re ipsa, sicché non occorrerebbe neppure provvedimento giudiziale previsto dall'art. 153 c.p.c.) o la deduzione di prove costituende in dipendenza di un imprevisto ed imprevedibile sviluppo dell'istruzione probatoria (Trib. Reggio Calabria 2 luglio 2003, in Giur. merito, 2004, 246). Allo stesso modo, si è fatto ricorso alla disciplina dettata dall'art. 184-bis c.p.c. al fine di ovviare ad errori o mancanze commesse dal giudice od altresì da personale dell'ufficio giudiziario, come nel caso dell'ordine di integrazione del contraddittorio non osservato perché non correttamente impartito alla parte destinataria (Trib. Vercelli 18 giugno 2001, in Foro it., 2001, I, 3407), ovvero alla mancata notificazione del ricorso introduttivo per avere il giudice omesso di depositare il fascicolo in cancelleria, sì da non consentire al ricorrente di conoscere l'esistenza del termine e di effettuare la notificazione (Trib. Roma 4 gennaio 2000, Giur. romana, 2000, 325). È stato invece escluso il ricorso alla rimessione in termini per l'effettuazione di produzioni documentali nel caso in cui la parte assumeva che essi, una volta depositati, erano stati smarriti dall'amministrazione (Trib. Roma 4 giugno 2005, secondo cui occorre in tal caso ricorrere alla procedura di ricostruzione dei fascicoli smarriti di cui all'art. 13 r.d.l. 15 novembre 1925, n. 2071). Ed ancora non è stata disposta la rimessione in termini per mancanza del nesso causale fra il fatto non imputabile alla parte e la decadenza avverata, in un caso in cui, al momento dell'iscrizione della causa a ruolo, si era verificato un errore materiale della cancelleria, consistito nell'aver riportato il nome della parte attrice nella rubrica alfabetica generale sotto la lettera corrispondente al nome di battesimo e non, come dovuto, sotto la lettera corrispondente al cognome, sicché il convenuto aveva lamentato di non aver potuto costituirsi nei termini e spiegare riconvenzionale (Pret. Bari 17 giugno 1997, in Foro it., 1998, I, 2030). Al di fuori dell'ambito di applicazione della rimessione in termini si collocano senz'altro le decadenze derivate da comportamenti negligenti della parte interessata. Così, ad esempio, la Consulta non ha dato ingresso alla rimessione in termini nel caso di un difensore recatosi all'estero per un tempo superiore ai 20 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell'atto di promovimento, potendo egli incaricare un collega di studio (Corte cost., 13 aprile 2016, n. 84). Allo stesso modo, non ricorrono i presupposti per la rimessione in termini nel caso che il convenuto, prima della costituzione in giudizio, non abbia potuto consultare il fascicolo d'ufficio e non abbia di conseguenza potuto accertare se la prima udienza indicata dal sistema informatico fosse stata o meno differita dal giudice ex art. 168-bis, comma 5, c.p.c. o d'ufficio ex art. 168-bis, comma 4, c.p.c., dal momento che proprio l'esistenza di un dubbio sul solo ipotetico differimento avrebbe dovuto indurre la parte diligente a costituirsi tempestivamente rispetto alla data indicata nella citazione; ovvero nel caso in cui l'amministrazione parte in giudizio sia incorsa in decadenza perché il funzionario delegato dall'avvocatura dello Stato a rappresentare in giudizio l'amministrazione stessa abbia annotato erroneamente la data dell'udienza fissata dal giudice istruttore per la precisazione delle conclusioni (Trib. Rovigo 29 novembre 1996, in Foro it., 1997, I,1262). È stata ancora esclusa la rimessione in termini fondata su indirizzo asseritamente sopravvenuto della Cedu e della Corte dell'Unione Europea (Cass. civ., sez. lav., 16 ottobre 2015, n. 20992). Opinioni discordi si rinvengono altresì con riguardo alla questione se, in applicazione delle regole concernenti la rinuncia al mandato difensivo o la sua revoca, la parte possa rimediare a negligenze od omissioni poste in essere dal difensore rinunciante o revocato. Talora è stato affermato, ad esempio, che non ricorrono i presupposti per la rimessione in termini nell'ipotesi in cui il difensore che ha rinunciato al mandato abbia comunicato tardivamente alla parte l'ordinanza con la quale il giudice istruttore abbia assegnato il termine perentorio per il deposito di memorie ai sensi dell'art. 183, comma 5, c.p.c. (Trib. Trani 15 giugno 1998, Foro it., 1999, I, 696). Per l'asserita erronea informativa da parte della cancelleria in ordine alla iscrizione a ruolo di una causa v. Cass. civ., sez. III, 3 aprile 2015, n. 6829. Altre volte è stato detto che qualora, a seguito di rinuncia al mandato da parte del difensore, la parte incorra in decadenza, essendo venuto meno il rapporto interno di immedesimazione tra parte e difensore ed essendo conseguentemente eliminata la possibilità di imputare alla prima comportamenti negligenti del difensore, la parte può essere rimessa in termini qualora dia prova che il mancato esercizio del potere processuale sia dipeso da causa alla stessa non imputabile, cioè inevitabile o ad essa non attribuibile, neanche indirettamente (Trib. Vercelli 15 giugno 2001, in Gius, 2001, 2891). Non sembra rivestire più interesse, viceversa, la questione in passato discussa se la rimessione in termini si applichi anche nel processo esecutivo, dal momento che lo spostamento dell'istituto entro l'art. 153 c.p.c. gli attribuisce senza dubbio, ormai, un ambito di applicazione generale (per l'applicabilità Trib. Terni 19 maggio 2005, in Giur. merito, 2005, 10, 2123; per l'inapplicabilità Trib. L'Aquila 28 giugno 2002, in Foro it., 2003, I, 925; Trib. Vibo Valentia 29 maggio 2002, in Giust. civ., 2003, I, 2985). Eguali considerazioni possono svolgersi con riguardo alla questione, anch'essa in passato discussa, dell'utilizzabilità della rimessione in termini nel caso di omessa tempestiva notifica per causa non imputabile del decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 644 c.p.c. (per l'ammissibilità della rimessione in termini v. Trib. Crotone 31 gennaio 2008, Foro it., 2009, 2, 564; Trib. Roma 16 giugno 2003, in Gius, 2003, 1651; per l'inammissibilità v. Trib. Modena 9 luglio 2008, www.judicium.it; Trib. Torino 29 giugno 2007, in Foro it., 2008, 3, 999; Trib. Torino 29 giugno 2007, in Giur. merito, 2008, 78, 1940; Trib. Modena 20 giugno 2005, n. 1229, www.judicium.it). Il procedimento di rimessione in termini
Quanto alla procedura, l'art. 184-bis e l'art. 153, comma 2, c.p.c. rinviano espressamente all'art. 294 c.p.c. dettato in tema di rimessione in termine del contumace. Si può ritenere, in proposito, che l'istanza di rimessione possa essere formulata sia con apposito atto, sia con richiesta a verbale, in ossequio al principio di libertà delle forme degli atti processuali di cui all'art. 121 c.p.c.. Si discute se possa essere individuato un momento ultimo entro cui formulare l'istanza. Secondo alcuni dovrebbe farsi applicazione analogica dell'art. 157, comma 2, c.p.c., sicché l'istanza dovrebbe essere proposta nella prima difesa successiva alla cessazione della causa non imputabile (Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 438). Altri hanno affermato che la richiesta di rimessione in termini debba essere proposta entro un termine di ampiezza pari a quello originariamente previsto per il compimento dell'atto, decorrente dalla cessazione dell'impedimento incolpevole (Briguglio, Le novità, cit., 6). Altri ritengono indifferente il momento in cui la parte abbia scelto di attivarsi per proporre l'istanza. In giurisprudenza si è affermato che l'istanza di rimessione in termini deve essere proposta «senza ritardo», ossia non appena la parte abbia ottenuto consapevolezza della violazione del termine (Cass. civ., sez. III, 26 marzo 2012, n. 4841; Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2011, n. 23561). Si è inoltre affermato che nel procedimento civile, l'istanza di rimessione in termini può essere proposta contestuale all'atto scaduto, nessuna disposizione imponendo alla parte di avanzare la richiesta separatamente ed anteriormente (Cass. civ., sez. VI, 15 giugno 2015, n. 12405). Sull'istanza di rimessione in termini, il giudice provvede con ordinanza, dando preventivamente ingresso all'attività istruttoria eventualmente necessaria. L'ordinanza non è reclamabile (Trib. Roma 11 giugno 2003, in Giur. romana, 2003, 422). A seguito dell'accoglimento dell'istanza di rimessione ha luogo la riapertura della fase processuale, nella quale vanno altresì restituiti alla controparte le appropriate facoltà di replica.
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