Il rappresentante legale della persona giuridica può essere chiamato a testimoniare?
18 Luglio 2017
Oggi 18 luglio 2017, attraverso l'apposito strumento Inviaci il tuo quesito, un utente ha posto la seguente domanda: Il rappresentante legale della persona giuridica può essere chiamato a testimoniare?
La persona fisica, che si sia costituita in giudizio, in rappresentanza di una società per la sua qualità di amministratore, è indubbiamente parte del processo, ma la sua veste è soltanto formale, giacché la destinataria degli effetti del giudizio e della sentenza è la stessa società, da lui rappresentata per ragioni di immedesimazione organica. In base all'art. 246 c.p.c. non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio. Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'interesse che determina l'incapacità a testimoniare, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., è solo quello giuridico, personale, concreto ed attuale, che comporta o una legittimazione principale a proporre l'azione ovvero una legittimazione secondaria ad intervenire in un giudizio già proposto da altri cointeressati. Tale interesse non si identifica con l'interesse di mero fatto, che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui esso sia stato chiamato a deporre, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto ed anche se quest'ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui la deposizione deve essere resa (Cass. civ., sez. lav., 21 ottobre 2015, n. 21418; Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11034). In buona sostanza, l'interesse a partecipare al giudizio, previsto come causa d'incapacità a testimoniare dall'art. 246 c.p.c., si identifica con l'interesse a proporre la domanda e a contraddirvi ex art. 100 c.p.c., sicchè deve ritenersi colpito da detta incapacità chi potrebbe, o avrebbe potuto, essere chiamato dall'attore, in linea alternativa o solidale, quale soggetto passivo della stessa pretesa fatta valere contro il convenuto originario, nonchè il soggetto da cui il convenuto originario potrebbe, o avrebbe potuto, pretendere di essere garantito (Cass. civ., sez.III, 17 luglio 2002, n. 10382 e, con riferimento all'analoga situazione del rappresentante organico di società, Cass. civ., sez. II, 7 settembre 2012, n. 14987). Si deve, pertanto, escludere che l'interesse a partecipare al giudizio possa discendere soltanto dalla potenziale responsabilità del teste nei confronti degli attori (Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2015, n. 1344). Da ciò deriva che l'amministratore non possa essere ammesso a deporre nel processo in cui abbia agito come rappresentante della società, data l'assoluta inconciliabilità esistente tra la posizione di testimone e quella di parte. Ma questo divieto di testimonianza non sussiste qualora l'amministratore sia chiamato a deporre in un processo in cui non rappresenti la società (a maggiore ragione se al momento in cui sia stato indotto come testimone non era più rappresentante della società) perché in tal caso non essendo parte, non si ha quella situazione d'inconciliabilità da cui deriva la sia incapacità a deporre. In tale ipotesi l'incapacità a testimoniare si verifica, perciò, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., solo se l'amministratore abbia nella causa un interesse attuale e concreto che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio (Cass. civ., sez.II, 11 novembre 1996, n.9826) Pertanto, l'amministratore unico di una società non è incapace a testimoniare in una controversia fra la società ed un terzo qualora al momento in cui è stato indotto come testimone non sia più il rappresentante legale della persona giuridica, a meno che non sussista un interesse che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio (Cass. civ., sez. lav., 19 aprile 1980, n. 2580).
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