Irrilevanza della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma attributiva della giurisdizione sul giudicato implicito
18 Settembre 2017
Massima
Il giudicato implicito sulla sussistenza della giurisdizione, formatosi per effetto della non impugnazione sulla questione di giurisdizione della sentenza che ha deciso il merito della controversia, preclude alla pronuncia di incostituzionalità della norma sul cui presupposto il giudice ha deciso nel merito di produrre effetti nel processo, poiché il rilievo del difetto di giurisdizione è ormai precluso. Il caso
Nell'ambito di una controversia pendente in appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale, quest'ultima, nonostante l'eccezione del contribuente, non teneva conto della propria sopravvenuta carenza di giurisdizione per la spettanza della stessa al giudice ordinario a seguito di una decisione della Corte Costituzionale che aveva ritenuto parzialmente illegittimo l'art. 2, d.lgs. n. 546/1992. Il contribuente proponeva quindi ricorso per cassazione contro la decisione della Commissione tributaria regionale deducendo che la sopravvenuta carenza di giurisdizione doveva ritenersi per converso rilevabile, in quanto riferita ad un rapporto non ancora definito e, inoltre, perché eccepita con la prima difesa utile successiva alla suddetta pronuncia di illegittimità costituzionale mediante la memoria difensiva in appello. La questione
La questione esaminata dalla decisione in commento riguarda la possibilità per il giudice di tenere conto della pronuncia che dichiara l'illegittimità costituzionale della norma attributiva della giurisdizione, ove si sia formato il giudicato implicito sulla questione. Le soluzioni giuridiche
La risposta della Suprema Corte è negativa. Evidenzia, in particolare, la Corte di legittimità che sulla questione si era formato nel processo dinanzi al giudice tributario il giudicato implicito poiché nessuna delle parti aveva impugnato la decisione sul merito della controversia pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale in primo grado facendo valere anche il motivo della carenza di giurisdizione del giudice adito. In effetti, è opportuno ricordare che alcuni anni fa le Sezioni Unite, rivisitando la propria giurisprudenza consolidata, hanno sancito che l'interpretazione dell'art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione "è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo", deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo ("asse portante della nuova lettura della norma"), della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell'affievolirsi dell'idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. All'esito della nuova interpretazione della predetta disposizione, volta a delinearne l'ambito applicativo in senso restrittivo e residuale, ne consegue che:
In sostanza, è ormai il principio per il quale allorché il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi di questione ormai coperta dal giudicato implicito (v., tra le molte, Cass., sez. lav., 20 marzo 2013, n. 6966). Nella pronuncia in esame la portata di tale assunto viene intesa nel senso più rigoroso possibile, assumendo che non possa spiegare alcuna incidenza neppure una decisione della Corte Costituzionale che dichiari illegittima la norma attributiva della giurisdizione, nonostante l'efficacia retroattiva di tale sentenza di incostituzionalità. Sul punto, invero, la Cassazione richiama la propria giurisprudenza per la quale uno dei “limiti” rispetto all'operare degli effetti ex tunc della pronuncia di accoglimento della Corte Costituzionale è costituito dal giudicato. Osservazione
La soluzione alla quale è pervenuta la Corte di Cassazione si iscrive nel solco della giurisprudenza della stessa sia in ordine alla formazione del giudicato implicito sulla giurisdizione sia circa i limiti all'efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale. Tuttavia, non si può trascurare di evidenziare che il principio secondo cui il giudicato implicito sulla giurisdizione si forma anche ove la decisione abbia esaminato il merito della controversia senza nulla precisare sulla questione di giurisdizione ove non si impugni il capo implicito di detta pronuncia, si scontra con la formulazione letterale dell'art. 37 c.p.c. che continua a prevedere – a differenza dell'art. 31 Codice sul processo amministrativo – che il difetto di giurisdizione è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. A prescindere da qualsivoglia considerazione sulla tendenza giurisprudenziale a modificare le norme processuali, è evidente che tale tendenza pone in capo ai difensori delle parti l'onere, del tutto peculiare, di verificare un intervenuta decadenza in ragione di come la disposizione è interpretata nel diritto vivente anche ove ciò si scontri, come nella fattispecie in esame, con la formulazione letterale della previsione normativa. Guida all'approfondimento
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