Su taluni profili processuali del pegno non possessorio

18 Novembre 2016

Il d.l. 3 maggio 2016, n. 59, ha introdotto nel nostro sistema il pegno mobiliare non possessorio, svincolato dal presupposto dello “spossessamento” tipico della garanzia reale. Per l'ipotesi di inadempimento del debitore o del terzo datore del pegno sono previste diverse forme di escussione della garanzia; peraltro, al debitore deve essere previamente notificato un avviso, contro il quale potrà proporre, entro un termine di cinque giorni, opposizione. Nell'articolo sono esaminate, con alcune considerazioni critiche di carattere sistematico, le forme processuali di tale opposizione.
Premessa

L'inedito istituto del pegno mobiliare non possessorio si caratterizza perché viene consentito in via generale, con riferimento ai beni funzionali all'esercizio dell'impresa e per assicurare il credito necessario all'impresa medesima, che la garanzia in questione perda il tradizionale connotato “reale”, costituito dallo spossessamento in favore del creditore, per assumere natura consensuale.

In particolare, il bene resta nella disponibilità del debitore (o del terzo datore), ma ha funzione costitutiva della garanzia un accordo avente forma scritta ad substantiam. Ai fini dell'opponibilità ai terzi assume, invece, valenza l'iscrizione del pegno – che ha durata decennale – nel registro informatizzato dei pegni mobiliari non possessori presso l'Agenzia delle Entrate.

Qualora il debitore sia inadempiente, il creditore potrà scegliere tra differenti modalità di escussione della garanzia, ossia:

  • potrà procedere alla vendita dei beni oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita;
  • potrà procedere, ove si tratti di crediti, alla escussione degli stessi sino alla concorrenza della somma garantita;
  • potrà locare il bene oggetto del pegno imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, qualora sia previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro delle imprese;
  • potrà appropriarsi dei beni oggetto del pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto consenta tale possibilità e preveda anticipatamente i criteri e le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell'obbligazione garantita.

In tutti questi casi il creditore dovrà inviare, prima di procedere ad una delle forme di escussione della garanzia sopra indicate, un preventivoavviso scritto al debitore o al terzo datore della garanzia, i quali potranno proporre opposizione entro il termine, invero molto breve, di cinque giorni.

Le forme processuali dell'opposizione: il rito sommario di cognizione

Il legislatore prevede che l'opposizione debba essere proposta ai sensi degli artt. 702-bis e ss. c.p.c., ossia nelle forme del procedimento sommario di cognizione.

Come noto, si tratta di un rito introdotto, con finalità di economia processuale, dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, come alternativo al processo ordinario di cognizione.

In seguito, specie con il d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, di semplificazione dei riti civili, il modello del procedimento sommario di cognizione è stato previsto come contenitore “esclusivo”, pur con talune correzioni, per la tutela di specifici diritti (in precedenza regolati dalla legislazione speciale).

L'estensione del procedimento in questione, che ora avviene anche ai fini della proposizione dell'opposizione avverso l'avviso di escussione della garanzia pignoratizia da parte del creditore, è effettuata sempre più dal legislatore ordinario (essendovi peraltro progetti normativi nel senso di rendere “generale” detto rito per i procedimenti dinanzi al Tribunale in composizione monocratica) nell'illusione che la destrutturazione formale propria dello stesso, che non si articola in una serie di udienze necessarie come il processo ordinario di cognizione, possa condurre a decisioni più celeri.

Trattasi, come evidenziato, forse con espressione forte, di illusione perché il reale problema del giudice civile non è la celebrazione delle udienze o l'espletamento dell'istruttoria ma il c.d. “collo di bottiglia” tra la fine dell'istruttoria e la definizione della controversia, la cui durata, più o meno lunga, non è determinata dal rito prescelto bensì, semplicemente, dal numero delle cause che il giudice ha sul ruolo.

A nostro sommesso parere, pertanto, anche nell'ipotesi qui in esame, forse sarebbe stato più opportuno, equiparando l'invito notificato dal creditore al datore della garanzia ad un atto di precetto, prevedere per l'opposizione le forme di cui all'art. 615, primo comma, c.p.c., ossia dell'opposizione c.d. preventiva all'esecuzione forzata.

Segue: la fase introduttiva

L'opposizione, seguendo le forme procedimentali degli artt. 702-bis e ss. c.p.c., deve proporsi con ricorso entro, come detto, il termine di cinque giorni dalla notifica dell'avviso da parte del creditore.

Ciò implica che entro il previsto termine dovrà essere depositato il ricorso presso il Tribunale e non anche notificato lo stesso al creditore/convenuto unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell'udienza.

Non vengono dettate regole specifiche in tema di competenza, sicché varranno, deve ritenersi, i criteri ordinari dettati dagli artt. 18 e ss. c.p.c..

Quanto alla costituzione in giudizio del creditore il termine sarà quello di dieci giorni prima dell'udienza fissata dal giudice: a riguardo, occorre tener presente che il ricorso va notificato allo stesso almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione. In tale sede, il convenuto dovrà proporre le domande riconvenzionali e le eccezioni non rilevabili d'ufficio a pena di preclusione.

Segue: l'istruttoria e le preclusioni

Il procedimento sommario di cognizione si caratterizza specialmente per la destrutturazione formale. Ciò si trae dall'art. 702-ter c.p.c. secondo cui il giudice, se non muta il rito, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande.

Ne deriva che potrà essere dato ampio spazio all'assunzione di prove tipiche con modalità atipiche (ad esempio, escussione di testimoni senza previa indicazione dei capitoli, acquisizione come prova testimoniale di dichiarazioni scritte di terzi prive delle indicazioni di cui all'art. 257-bis c.p.c.) ed alle stesse prove atipiche, purché non illegittimamente acquisite (in arg. PROTO PISANI, L'istruzione nei procedimenti sommari, in Foro it., 2002, V, 17 ss.).

Nessuna udienza è “necessaria”, sicché, nell'ipotesi di controversia semplice, di carattere documentale o vertente esclusivamente su una questione giuridica, il giudice potrebbe decidere sin dalla prima udienza.

Riteniamo che un modello processuale di questo tipo debba essere caratterizzato, anche nel silenzio del legislatore sulla questione, da “preclusioni naturali”, nel senso che le parti sono tenute ad indicare i documenti ed i mezzi di prova dei quali vogliano avvalersi sin dagli atti introduttivi, in modo del tutto analogo a quanto avviene nel processo del lavoro.

Tuttavia, sebbene in un obiter dictum, nell'unica pronuncia che sinora si è occupata della questione, la Suprema Corte ha espresso un orientamento difforme, sancendo che nel procedimento sommario di cognizione non sono previste preclusioni rispetto a nuovi mezzi di prova, anche in appello, con evidenti conseguente distoniche rispetto alle esigenze di economia processuale proprie del rito (Cass., sez. II, 18 novembre 2015, n. 25547, v. G. Ianni, Richieste istruttorie e preclusioni nel rito sommario di cognizione in ilProcessoCivile e R. Masoni, Note sull'istruzione probatoria del procedimento sommario di cognizione nella prima pronunzia della Cassazione, in GiustiziaCivile.com).

Segue: la decisione

Il procedimento sommario di cognizione è decisione con ordinanza.

Invero, solo apparentemente questo comporta un minor impegno del giudice sul piano decisorio, poiché anche la motivazione delle sentenze ex art. 132 e 118 disp. att. c.p.c. deve ormai essere caratterizzata dalla concisione.

L'ordinanza è appellabile ed, in mancanza, suscettibile di passare in giudicato.

Ciò rende ragione dell'opinione, ormai comunemente espressa, per la quale il procedimento sommario di cognizione è, quindi, un rito speciale cognitivo che si affianca a quello ordinario a cognizione piena per la tutela delle situazioni soggettive sostanziali con l'emanazione di provvedimenti idonei al giudicato sostanziale e nel quale non muta la qualità della cognizione, essendo difatti la sommarietà riferita alle modalità di esercizio dei poteri del giudice che non vengono pre-definite dal legislatore ma lasciate alla discrezionalità dello stesso, nel rispetto del principio del contraddittorio (cfr. BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V, 329).

Questa soluzione trova avallo nella giurisprudenza di legittimità per la quale col mezzo di impugnazione previsto dall'art. 702-quater c.p.c., in tema di procedimento sommario di cognizione, ha natura di appello (e non di reclamo cautelare) per cui la sua mancata proposizione comporta il passaggio in giudicato dell'ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c., essendo un procedimento con pienezza sia di cognizione (come in primo grado) che di istruttoria (a differenza del primo grado, ove è semplificata), analogo a quello disciplinato dall'art. 345, comma 2, c.p.c. (Cass., sez. II, 19 maggio 2015, n. 10211).

La tutela cautelare

Profili assolutamente peculiari assume la tutela cautelare nel procedimento sommario di cognizione incardinato dal debitore (o dal terzo datore del pegno) per proporre opposizione avverso l'avviso notificato dal creditore.

In particolare, il comma 7-bis, con terminologia processualmente “ibrida” prevede, a riguardo, che «ove concorrano gravi motivi il giudice, su istanza dell'opponente, può inibire, con provvedimento d'urgenza, al creditore di procedere a norma del comma 7».

Orbene, è noto che i gravi motivi che possono porsi a fondamento di un'istanza cautelare in genere di carattere inibitorio o di una richiesta di sospensione (ad esempio, dell'efficacia del titolo esecutivo posto a fondamento della minacciata esecuzione forzata ex art. 615, primo comma, c.p.c. o dell'esecuzione già iniziata ai sensi dell'art. 624 c.p.c.), si compendiano, di norma, in una valutazione ponderata del fumus boni juris e del periculum in mora, ossia dei presupposti canonici della tutela cautelare.

In sostanza, il giudice tende a concedere il richiesto provvedimento anche in presenza di un fumus boni juris attenuato se il pericolo dedotto è particolarmente rilevante e viceversa.

Il problema, sul piano processuale, è che si fa riferimento ai gravi motivi per la concessione, in favore del debitore opponente, di un provvedimento d'urgenza.

È noto, tuttavia, che ai fini della concessione di un provvedimento d'urgenza l'art. 700 c.p.c. richiede, sul piano del periculum in mora, che ricorra il pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile.

Laddove si valorizzasse il riferimento normativo al provvedimento d'urgenza operato dalla norma piuttosto che il generico presupposto della ricorrenza dei gravi motivi, dovrebbe allora ritenersi che il provvedimento in questione possa essere emanato soltanto qualora la perdita del bene concesso in pegno potrebbe arrecare al debitore (o al terzo concedente) un pregiudizio irreparabile – quale può, ad esempio, essere il fallimento dell'impresa - , pregiudizio che non sia invero suscettibile di ristoro successivo mediante equivalente pecuniario.

Per vero, come osservato in altra sede, considerata la necessità di recuperare l'importanza della persona titolare del diritto al fine di meglio determinare la nozione di irreparabilità del pregiudizio ai fini della concessione dei provvedimenti d'urgenza occorre distinguere:

  1. i diritti a contenuto e a funzione non patrimoniale (ad esempio, i diritti della personalità, le libertà costituzionalmente protette, il diritto alla salute);
  2. i diritti a contenuto patrimoniale ma a funzione non patrimoniale (ad esempio, il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato o trasferito ad essere reintegrato nel posto di lavoro);
  3. i diritti a contenuto e funzione esclusivamente patrimoniale, per i quali la tutela d'urgenza è esclusa (PANZAROLA – GIORDANO, Provvedimenti d'urgenza, Bologna 2016, 229 ss.).

Riteniamo, tuttavia, che, dalla pur ibrida e confusa terminologia processuale utilizzata dall'odierno legislatore, debba trarsi una differente conseguenza, i.e. che il richiamo al provvedimento d'urgenza non è quello ascrivibile al modello generale proprio delineato dall'art. 700 c.p.c. bensì ad una particolare misura inibitoria sui generis, che può essere concessa per gravi motivi, idonei ad impedire, nelle more della decisione sul merito del ricorso con rito sommario, l'escussione della garanzia.

Peraltro, la natura evidentemente cautelare della misura, pur di incerta qualificazione, comporta, a nostro sommesso parere, che avverso la stessa sia previsto il generale rimedio del reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c. (mediante il rinvio operato, in generale, dalla clausola di cui all'art. 669-quaterdecies c.p.c.)

Guida all'approfondimento
  • BALENA, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V, 329;
  • PANZAROLA – GIORDANO, Provvedimenti d'urgenza, Bologna 2016, 229 ss.;
  • PROTO PISANI, L'istruzione nei procedimenti sommari, in Foro it., 2002, V, 17 ss.;
  • TISCINI, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino 2009.

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