Quali sono le eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio?

Francesco Bartolini
20 Giugno 2017

Riprendendo il discorso iniziato con la risposta del Consigliere M. Di Marzio al quesito inviato da utente il 23 maggio scorso “Eccezioni di rito e di merito: quali non sono rilevabili d'ufficio?”, il Dottor F. Bartolini, attraverso il presente focus, analizza nel dettaglio la questione relativa all'individuazione delle fattispecie per cui la proposizione delle eccezioni non è in capo al giudice (ex art. 112 c.p.c.) ma alle parti. Tale individuazione non è infatti specificata dal diritto positivo ed è oggetto di interpretazione dottrinale e giurisprudenziale.
L'art. 112 c.p.c.

Riprendendo il discorso iniziato con la risposta al quesito inviato da utente, tamite l'apposito strumento Invia il tuo quesito, il 23 maggio scorso Eccezioni di rito e di merito: quali non sono rilevabili d'ufficio?, il presente focus analizza nel dettaglio la questione relativa all'individuazione delle eccedioni di merito e di rito non rilevabili d'ufficio.

La nozione di eccezioni non rilevabili d'ufficio è tratta dal dettato dell'art. 112 c.p.c. per il quale il giudice non può pronunciare d'ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. La stessa disposizione precisa che il giudice deve pronunciare su tutta la domanda: e il fatto che costituiscano un limite deduzioni rimesse alla sola proposizione delle parti ha consentito di affermare che il giudice ha il potere di conoscere di tutti gli aspetti della materia controversa, espressamente delucidati oppur no dalle parti, salvo quanto è demandato alla loro specifica iniziativa. L'eccezione a istanza di parte si pone, quindi, come una deroga al generale potere-dovere dell'organo giudicante di conoscere in maniera completa di tutti gli aspetti della regiudicanda, favorevoli o no alla parte istante.

La questione che sorge dal disposto in tal senso dell'art. 112 riguarda l'esatta identificazione delle eccezioni rimesse all'istanza di parte, atteso che in tale norma non sono forniti criteri in base ai quali determinarne il modo di individuazione o l'oggetto. La questione riguarda un problema di rapporti tra i poteri del giudice e la difesa delle parti. Un potere ampio del giudicante di cogliere nel materiale processuale qualsiasi aspetto idoneo alla decisione può oltrepassare gli interessi dei contendenti e condurre a risultati che nessuna di esse aveva previsto e desiderato. E allontanare il processo dai principi della domanda e dispositivo che ne costituiscono caratteristiche essenziali nel nostro ordinamento.

Nozione di eccezione

Occorre, innanzitutto, intendersi sulla nozione di eccezione. Essa consiste nella contrapposizione di un fatto che produce effetti sfavorevoli, con riguardo alla tesi sostenuta nel giudizio dalla controparte, e favorevoli alla propria posizione difensiva. Essa è tipica difesa del convenuto, che oppone alla richiesta altrui una circostanza in fatto o in diritto idonea a tenerlo indenne da tale richiesta o a ridurne gli effetti. Ma appartiene al bagaglio difensivo dell'attore e del terzo intervenuto, per quanto riguarda lo sviluppo delle relative posizioni in causa. Si distinguono:

  • le eccezioni di merito, che consistono nell'allegazione di un fatto impeditivo, modificativo o estintivo del diritto dedotto in giudizio dalla controparte
  • le eccezioni di rito, o processuali, aventi la finalità di contestare la validità degli atti del processo e di averne dichiarazione dal giudice.

E' importante distinguere l'eccezione dall'argomentazione. Questa consiste nello sviluppo di un ragionamento fondato, in genere, su una premessa e su una conclusione. Essa è sempre consentita nel giudizio ed è parte ineliminabile della partecipazione al processo e del diritto ad agire e resistere in giudizio. L'eccezione, per contro, si risolve in una deduzione specifica: in un fatto ostativo che si ripercuote negativamente sulla possibilità che l'avversa domanda venga accolta, così come è stata formulata.

Eccezioni in senso lato e eccezioni in senso stretto

Il fatto, consentito dall'art. 112 c.cp., che il giudice possa conoscere di circostanze che costituiscono una eccezione (nel senso sopra precisato) e il fatto che di alcune eccezioni non possa conoscere senza una istanza di parte ha indotto a distinguere le eccezioni in senso lato dalle eccezioni in senso stretto (dette anche proprie). Le prime sono quelle rilevabili d'ufficio; le altre sono quelle rilevabili a cura della parte interessata. Entrambe possono essere in rito o in merito. L'importanza della distinzione consegue alla scelta legislativa attuale di restringere la proponibilità delle eccezioni a cura di parte alla sola fase introduttiva del processo. Esse devono venir proposte, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione in giudizio (art. 167 c.p.c. per il processo ordinario; art. 416 per il processo del lavoro); alla prima udienza o nel termine di cui all'art. 183 se sono rese necessarie dalla difesa altrui.

Le eccezioni rilevabili d'ufficio possono essere segnalate al giudice affinchè egli faccia uso del suo potere di rilievo. Le eccezioni rilevabili anche d'ufficio possono sfuggire alla decadenza a carico delle parti se sono indicate, ugualmente, al giudice perché eserciti il suo potere officioso.

Quali sono le eccezioni rilevabili soltanto dalle parti?

Poiché il ricordato art. 112 c.p.c. pone un limite al potere di cognizione del giudice, costituito dall'esistenza di eccezioni che possono essere sollevate soltanto dalle parti, è giocoforza che esista una fonte indicatrice dei casi nei quali le eccezioni possono essere sollevate soltanto dalle parti. La deroga alla regola generale del pieno potere del giudice comporta la tassatività delle situazioni che, rispetto ad essa, rappresentano una deviazione: la fonte della deroga non può che essere la legge. Si afferma, infatti, in giurisprudenza, che è la legge ad indicare quando una determinata eccezione rientra nella sola disponibilità di parte. In questo modo, l'indicazione legislativa diventa il parametro per identificare tanto le eccezioni in senso lato, rimesse al giudice, e le eccezioni a istanza di parte, affidate all'iniziativa dell'interessato. Non esiste, tuttavia, una specificazione capillare delle eccezioni nell'uno o nell'altro senso, né potrebbe sussistere con risultati di completezza. Mentre si ammette che la determinazione positiva dell'eccezione in senso stretto possa avvenire non già per mezzo di una disposizione esplicita ma in ragione di un intento legislativo da rinvenire nel modo stesso con il quale è costruita la difesa dell'eccipiente. Esistono, allora, situazioni nelle quali spetta all'interprete e all'operatore individuare questo intento legislativo, di volta in volta, e stabilire se esista un elemento comune che valga come guida nella vicenda concreta.

Dottrina e giurisprudenza hanno variamente risposto nella ricerca dei criteri in base ai quali operare la distinzione tra le eccezioni in senso lato e le eccezioni nella sola disponibilità di parte. Le acquisizioni raggiunte sono piuttosto articolate.

Una dottrina minoritaria interpreta il dettato dell'art. 112 in modo molto rigoroso e, di per sé, risolutivo. La disposizione, si afferma, rimanda ai casi in cui esiste una norma di legge che prevede esplicitamente l'eccezione di parte, come deroga ad un principio generale che vale nel senso opposto, per il quale è il giudice a conoscere di tutte le eccezioni rilevabili dagli atti, salvo la contraria previsione normativa. In questo modo ogni questione sarebbe risolta: basterebbe leggere il testo delle disposizioni vigenti, sostanziali e processuali, per avere la risposta. Ove non sia espressamente prevista la riserva alla parte, si estende il potere del giudice.

Questa opinione è rimasta inascoltata. La giurisprudenza di legittimità ammette espressamente che esistano eccezioni rilevabili soltanto dalle parti al di fuori di precise e specifiche previsioni legislative. Essa accenna a due categorie di eccezioni rimesse alla scelta delle parti: quelle per le quali esiste una norma che lo indica positivamente (e che dunque trovano, come si è accennato, fonte nella previsione di legge) e quelle per le quali la manifestazione della volontà della parte, di farne utilizzo, è strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (Cass. Sez. un., 25 maggio 2001, n. 226; Cass. 27 luglio 2015, n. 15712; Cass. 5 giugno 2014, n. 12677; Cass. 5 agosto 2013, n. 18602; Cass. 22 giugno 2007, n. 14581; Cass. 15 maggio 2007, n. 11108).

Esaminiamo partitamente le due categorie.

Casi nei quali la legge indica la natura e la disponibilità dell'eccezione

In diversi casi è il diritto positivo a indicare se una determinata eccezione è rilevabile dal giudice o se appartiene alla sola disponibilità delle parti. Di questi casi non può essere offerta che una elencazione: essi vanno conosciuti ed è il singolo testo della relativa norma giuridica a fornire l'occorrente indicazione. A solo titolo d'esempio possiamo ricordare che sono rimesse all'iniziativa della parte le eccezioni processuali di:

  • incompetenza per accordo tra le parti (artt. 28 e 29)
  • incompetenza semplice (art. 38, comma 2, c.p.c.)
  • l'eccezione di inosservanza del termine a comparire o di mancanza dell'avvertimento sulle conseguenza della mancata o ritardata costituzione in giudizio(art. 164 c.p.c.)
  • nullità della citazione, quando il convenuto è costituito (art. 164, terzo comma, c.p.c.)
  • compromesso o clausola arbitrale (art. 819 ter c.p.c.).

Sono, per contro, rilevabili d'ufficio le eccezioni processuali riguardanti:

  • il difetto di giurisdizione (art. 37 c.p.c.)
  • l'incompetenza per territorio inderogabile (art. 38)
  • l'inosservanza della ripartizione di attribuzioni ex art. 50 bis c.p.c.
  • la viziata costituzione del giudice (art. 158)
  • la litispendenza, la connessione, la pregiudizialità, l'estinzione del giudizio, il giudicato, ecc..

In queste situazioni è il legislatore ad aver scelto il regime dell'eccezione, con valutazioni che attengono a politiche di scelte ordinamentali ed a finalità di organizzazione e speditezza dei processi. Sarebbe superfluo ricercare nel complesso della casistica un criterio uniforme che possa aiutare l'interprete, tenuto soltanto a prendere atto delle disposizioni vigenti nelle singole situazioni.

Le eccezioni non specificamente indicate come riservate alla parte

Con il fare riferimento ad eccezioni in cui la manifestazione della volontà della parte è strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva, l'interpretazione giurisprudenziale inserisce un autonomo elemento di valutazione di cui tener conto per lo scioglimento del quesito inerente all'individuazione delle eccezioni in senso stretto. Un autonomo elemento che è costituito non già dal dettato della legge ma da un dato che deve essere desunto dal contenuto della difesa di parte. Enunciato in questo modo può non sembrare che per l'interprete e per l'operatore sia stato fatto un passo verso la chiarezza dei concetti. Resta, infatti, da capire che cosa si deve intendere per una manifestazione di volontà (la deduzione dell'eccezione) rimessa alla parte perché la scelta di attivarsi in tal senso è elemento integrativo della fattispecie difensiva. Che cosa vuol dire: elemento integrativo della fattispecie difensiva ? E perché deve avvalersene solo la parte, con inibizione del rilievo del giudice?

Va osservato che, per assolvere al compito che gli è demandato nel processo, il giudice deve conoscere del fatto oggetto della pretesa attrice in tutti i suoi risvolti costitutivi ma anche negli eventuali aspetti limitativi o negativi del fatto stesso. Il suo accertamento deve comprendere tutti gli elementi della fattispecie portata al suo esame e, pertanto, anche quegli eventi che impediscono, modificano, estinguono il diritto fatto valere e del quale gli viene chiesta l'affermazione. Alcuni di questi eventi operano in modo automatico e devono essere colti dal decidente perché la sua decisione sia corrispondente alla realtà della situazione fattuale. Non potrebbe, il giudice, condannare il convenuto alla prestazione se dagli atti risultasse che la somma dovuta è stata versata al creditore attore, magari all'insaputa del debitore stesso. Questa è la ragione che giustifica il principio posto dall'art. 112, per il quale il giudice deve conoscere di tutta la domanda e di tutta la materia del decidere.

Ma, in taluni casi, il legislatore chiede al convenuto una sua manifestazione di volontà, rivolta a conseguire una modificazione nella situazione del rapporto sostanziale. Per ottenere il risultato difensivo, l'interessato deve scegliere di attivarsi per ottenere una situazione nuova. Ne sono esempio le fattispecie di esercizio, ad opera del convenuto, di azioni costitutive, da valere come contrapposizione non già di un semplice fatto ma di una attività della quale la parte è l'unica titolare. Può farsi l'esempio dell'eccezione di annullamento del contratto (art. 1442, ultimo comma, c.c.). La parte evocata in giudizio, per l'esecuzione della prestazione, può opporre che il contratto è affetto da un vizio che ne cagiona l'annullabilità e proporre la relativa eccezione, con richiesta di accertamento. Non potrebbe il giudice sostituirsi al convenuto nella scelta di proporre l'eccezione ed esercitare l'azione. Questa può costituire oggetto di un giudizio autonomo; non si risolve in un fatto dirimente o impediente ma implica un atto di volontà diretto ad uno scopo che appartiene soltanto alla parte. Il potere cognitorio del giudice si arresta di fronte al potere dispositivo dell'interessato: spetta a quest'ultimo scegliere come difendersi.

L'esempio può continuare: sono, per le stesse ragioni, eccezioni riservate alla parte:

  • l'eccezione di rescissione (art. 1449 c.c.);
  • l'eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.);
  • l'eccezione di vizi nella cosa venduta (art. 1494 c.c.);
  • l'eccezione di beneficio di escussione a favore del fideiussore (artt. 1944 e 1947 c.c.);
  • l'eccezione di avveramento della condizione (art. 1359 c.c.).

Il criterio che conclusivamente è posto dalle affermazioni giurisprudenziali è così sintetizzabile: nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell'eccezione corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l'efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale (Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2013, n. 18602).

Applicazioni del criterio desumibile dalle pronunce giurisprudenziali

Il criterio individuativo delle eccezioni nella sola disponibilità di parte, diverse da quelle specificamente indicate per tali dalla legge sostanziale o processuale, appare sufficientemente chiaro e netto per poter essere utilizzato quale guida orientativa nell'applicazione pratica. Alcune applicazioni, che ne sono state effettuate, meritano di essere ricordate, a miglior chiarimento della sua portata

Si afferma, ad esempio, che l'eccezione di prescrizione estintiva è una tipica eccezione di parte; essa non è rilevabile d'ufficio e, in quanto rimessa alla disponibilità dell'interessato, deve essere proposta con la comparsa di costituzione e risposta (Cass. 3 settembre 2013, n. 20147) o, comunque, nella prima difesa, quando gli elementi della sua sussistenza emergono nel corso del giudizio. Di per sé la prescrizione costituisce un fatto, al quale la legge attribuisce un effetto giuridico: il trascorrere del tempo nell'inerzia del titolare del diritto conduce all'estinzione del diritto. Come tale, la qualificazione dell'eccezione che deduce tale fatto quale eccezione a disposizione della sola parte sembra contraddire il criterio enunciato dalla giurisprudenza, secondo cui ha una siffatta natura l'eccezione che presuppone e implica una scelta volontaria e una attivazione della parte, ad integrazione della propria difesa. In realtà, la giurisprudenza non reputa sufficiente la sola deduzione del fatto materiale; ad integrare l'eccezione di prescrizione essa richiede che la parte esprima la volontà di volere approfittare dell'altrui inerzia e usufruire degli effetti dell'estinzione dell'altrui diritto (Cass. 15790/2016; Cass. 11843/2007). Discendono di conseguenza le ulteriori implicazioni: una volta manifestata la detta volontà, costituiscono questioni rilevabili liberamente dal giudice quelle che riguardano la decorrenza del termine(Cass. Sezioni Unite 10955/2002), la durata del termine (Cass. 1203/2017; Cass. 15337/2016); la (contro eccezione di) sospensione della prescrizione (Cass. 19567/2016), la (contro eccezione) di interruzione della prescrizione (Cass. 18602/2013); la rinuncia all'eccezione (Cass. 24113/2015; Cass. 4804/2007).

Un'altra fattispecie che può apparire dubbia è costituita dall'eccezione di compensazione. Anche in questo caso la compensazione sorge da un fatto materiale (il raffronto tra l'importo di crediti e debiti) al quale la legge conferisce una valenza di effetti giuridici. Tuttavia la giurisprudenza considera l'eccezione suddetta rimessa soltanto alla scelta della parte interessata, in quanto la sua proposizione implica una manifestazione di volontà che soltanto ad essa è affidata: quella, sostanzialmente riconvenzionale, di pretendere l'operatività degli effetti che conseguono al risultato del raffronto tra i crediti e i debiti (Cass. 9662/2000). La compensazione potrebbe, inoltre, essere fatta valere in un giudizio autonomo.

E', invece, considerata eccezione in senso lato l'eccezione di compensatio lucri cum damno. La circostanza può apparire incongrua, ove si ricordi che una eccezione siffatta consiste nel dedurre che l'ammontare del credito avversario deve essere ridotto di quanto il creditore ha comunque potuto avvantaggiarsi a seguito dell'evento lesivo. In proposito la giurisprudenza afferma che l'eccezione è finalizzata ad accertare se il danneggiato abbia conseguito un vantaggio in conseguenza dell'illecito, del quale tener conto ai fini della liquidazione del risarcimento: e non mira, quindi, a verificare l'esistenza di contrapposti crediti (Cass. 992/2014; Cass. 533/2014; Cass. 2112/2000). La giustificazione che viene fornita per queste affermazioni è la seguente: l'unicità del fatto generatore sia del danno che del vantaggio esclude la modificazione della materia del contendere, e la proposizione dell'eccezione si risolve in una richiesta di liquidazione del danno che tenga conto dell'effettivo pregiudizio subito dal danneggiato e sia il risultato di una valutazione globale delle conseguenze dell'illecito nel patrimonio e nella sfera economica del danneggiato (Cass. 2112/2000).

Con una motivazione analoga è giustificata l'affermazione della natura in senso lato dell'eccezione di aliunde perceptum (Cass. 18093/2013; Cass. 2139/2011; Cass. 21919/2010; Cass. 12352/2003). E, invece, ritenuta eccezione strettamente riservata alla parte quella del fatto colposo del creditore (art. 1227, comma 2, c.c.). In questo caso l'applicazione del citato criterio interpretativo della giurisprudenza è pienamente rispondente al canone enunciato. Chi propone l'eccezione intende ottenere un accertamento e manifesta una volontà in tal senso. Non potrebbe in vece e per suo conto rilevare la circostanza il giudice, esercitando una azione la cui proposizione compete esclusivamente alla scelta dell'interessato, anche eventualmente in sede autonoma.

Eccezioni e preclusioni

Sino all'enunciazione di un criterio generale attraverso il quale individuare le eccezioni in senso stretto, nei casi in cui manca una espressa disposizione che per tali le qualifichi, la giurisprudenza può dirsi concorde. I contrasti hanno inizio quando si tratta di stabilire se le preclusioni stabilite per la proposizione delle eccezioni a cura di parte debbano valere anche per le eccezioni rilevabili d'ufficio.

Due sono i principi che vengono a conflitto. Per l'uno, se l'art. 112 c.p.c. attribuisce al giudice un generale potere-dovere di conoscere di tutta la causa, non può ammettersi che nell'esercitarlo egli debba sottostare alle decadenze previste per dare ordine e consequenzialità alle attività delle parti. Per l'altro, negare che le preclusioni si applichino anche al rilievo d'ufficio comporta la pratica soppressione del sistema delle preclusioni stesse, che resterebbero circoscritte ai soli minoritari casi di eccezioni in senso stretto. La giurisprudenza si è divisa, così come la dottrina.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato, con sentenza 7 maggio 2013, n. 10531, che il rilievo delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte e che è ammissibile anche in appello: dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati dagli atti, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d'ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto (nello stesso senso, Cass. Sez. Un. 15661/2005; Cass. 26858/2013; Cass. 409/2012; Cass. 21929/2009). Secondo l'orientamento così espresso, l'unico limite posto al potere officioso del giudice è costituito dal divieto di far uso della sua scienza privata (Cass. 5923/2014).

Le stesse Sezioni unite della Corte di cassazione, con sent., 3 febbraio 1998, n. 1099, avevano affermato che la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi, configuranti eccezione, presuppone che essi risultino dal materiale probatorio legittimamente acquisito, nel divieto della scienza privata del giudice ma soprattutto nel rispetto delle preclusioni e decadenze previste a carico delle parti. Secondo questo orientamento, soltanto quando vi è stata la rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono dirsi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti il giudice può trarne d'ufficio, anche nel silenzio delle parti, tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della valutazione di fondatezza della domanda. Hanno seguito questa impostazione Cass. 5952/2014; Cass. 8527/2009; Cass. 12401/2008; Cass. 22342/2007; Cass. 2035/2006; Cass. 4392/2000.

Le conseguenze cui conducono i due diversi orientamenti sono diametralmente opposte. Per il primo di essi deve tenersi conto di una ricevuta di pagamento prodotta in giudizio dopo che sono maturate le preclusioni difensive, sì che il giudice dovrebbe comunque rilevare d'ufficio l'avvenuta estinzione dell'obbligazione, desumendola dal materiale in atti. Per il secondo orientamento la ricevuta tardivamente esibita non può essere presa in considerazione, in spregio alla maturata decadenza; e il giudice deve condannare il convenuto al pagamento. Si scontrano due concezioni del processo: il processo deve tendere all'accertamento della realtà e non fermarsi ad una verità formale; il processo deve tendere ad una pronuncia di merito, nel rispetto delle forme prescritte.

L'art. 101, secondo comma, c.p.c. pone comunque un principio di grande civiltà e di di tutela delle parti. Il rilievo d'ufficio di questioni dirimenti per la decisione della causa non può avvenire “a sorpresa”; il giudice deve farne indicazione alle parti ed acquisire il loro contraddittorio.

In conclusione

Le eccezioni rimesse alla deduzione di parte sono quelle che la legge indica espressamente come tali e quelle che esprimono una volontà di azione ad opera della parte. Si accenna a ques'ultimo proposito all'esercizio di un diritto potestativo: l'interessato non si limita ad allegare un fatto di per sé modificativo, impeditivo o estintivo della pretesa altrui ma oppone una circostanza della quale chiede l'accertamento e dei cui effetti intende usufruire.

Resta aperta la questione concernente gli oneri di allegazione e di deduzione a carico delle parti relativamente alle eccezioni rilevabili d'ufficio o anche d'ufficio. Per talune decisioni il giudice è titolare dell'ampio potere di conoscere di tutti gli aspetti della causa che gli è attribuito dall'art. 112 c.p.c. Per altre pronunce i fatti dei quali il giudice può tener conto sono soltanto quelli che entrano nel processo con il rispetto delle preclusioni e delle decadenze.

Guida all'approfondimento
  • BATTAGLIA, Le preclusioni nel processo ordinario di cognizione in tribunale, Torino, 2012, 272 ss.;
  • MANDRIOLI, Diritto processuale civile, Torino, 2011, 149 ss.;
  • SCARSELLI, Ancora in tema di cosa giudicata esterna e di rapporti tra preclusioni ed eccezioni rilevabili d'ufficio, in Foro it., 2006, 746 ss.;
  • ORIANI, Eccezione rilevabile d'ufficio e onere di tempestiva allegazione: un discorso ancora aperto, in Foro it., 2001, 127;
  • COLESANTI, Eccezione (dir. proc. civ.) in Enc. Dir., XIV, Milano, 1965, 179 ss.

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