Appello iscritto con «velina»: alla prima udienza cala la saracinesca per produrre l’originale

Mauro Di Marzio
13 Settembre 2016

La costituzione dell'appellante nei termini, ma senza il deposito dell'originale notificato della citazione, bensì con «velina», non determina di per sé l'improcedibilità dell'appello.
Massima

L'improcedibilità dell'appello «se l'appellante non si costituisce nei termini», prevista dall'art. 348, comma 1, c.p.c., ricorre in caso di mancata o ritardata costituzione nei termini indicati dall'art. 165 c.p.c., e non invece in caso di costituzione avvenuta nei termini, ma senza il rispetto delle forme previste dello stesso art. 165. Ne deriva che la costituzione dell'appellante nei termini, ma senza il deposito dell'originale notificato della citazione, bensì con «velina», non determina di per sé l'improcedibilità dell'appello. Nondimeno, l'inosservanza delle forme indicate dall'art. 165 c.p.c., ivi compreso il deposito della «velina» in luogo dell'originale della citazione notificata, dà luogo ad un'ipotesi di nullità, che può essere superata dallo stesso appellante fino all'udienza di comparizione, mediante il deposito dell'originale notificato, oppure può rimanere sanata, ricorrendone le condizioni, a seguito della costituzione dell'appellato.

Il caso

Dopo aver eseguito lavori di ristrutturazione di un immobile, un appaltatore agisce in giudizio nei confronti dell'appaltante per conseguire l'importo ancora dovutogli a titolo di corrispettivo, oltre ad ulteriori somme. La convenuta appaltante, condannata in primo grado a pagare circa 8.000 euro, propone un primo appello che — per motivi a noi ignoti — non iscrive a ruolo, e che è invece iscritto dall'appellato, ossia dall'originario attore, il quale chiede perciò dichiararsi improcedibile l'impugnazione. Intanto, qualche giorno dopo il primo appello, la medesima appaltante-appellante, propone un secondo appello, identico all'altro, questa volta tempestivamente iscritto a ruolo, e però iscritto con «velina», senza, tuttavia, che tale deposito venga seguito — o almeno che venga seguito entro la prima udienza — dal deposito dell'originale notificato della citazione in appello.

La Corte d'appello investita dell'impugnazione — che è quella di Roma, curiosamente indicata in sentenza come «Corte genovese» (pag. 3), a causa di un evidente cortocircuito mentale indotto nell'estensore, presumibilmente rimasto sprovvisto di residue forze da dedicare alla collazione delle ben 34 pagine del suo componimento, dalla circostanza che il nome dell'appellante fosse «Genova» — riunisce le impugnazioni e dà sostanzialmente ragione all'appellante, originaria convenuta, riducendo l'importo dovuto all'appaltatore a poche centinaia di euro.

Quanto agli aspetti processuali della vicenda, la Corte capitolina, a quanto sembra, non si esprime sull'eccezione di improcedibilità del primo appello, mentre disattende quella di inammissibilità del secondo considerando che:

a) esso era stato proposto, tempestivamente, prima che l'improcedibilità dell'iniziale impugnazione fosse stata dichiarata;

b) l'iscrizione a ruolo con «velina», costituiva mera irregolarità formale non pregiudizievole per la parte appellata.

L'appaltatore propone dunque ricorso per cassazione per sette motivi, riconducibili a tre problematiche:

  • il primo concernente la consecuzione tra un primo ed un secondo appello, e dunque il principio di consumazione dell'impugnazione sancito dall'art. 358 c.p.c.;
  • il secondo concernente la ritualità del secondo appello, per essere stato iscritto con «velina», senza che l'originale notificato della citazione in appello, come eccepito, risultasse essere stata depositata entro la prima udienza;
  • il terzo, che qui non riveste interesse, concernente il riparto degli oneri probatori e la valutazione delle prove.
La questione

La decisione in esame si sofferma su più questioni, ma quella centrale può essere così riassunta: quali conseguenze comporta l'iscrizione a ruolo dell'appello con «velina»? Se e quando occorre produrre l'originale, come prescrive il codice? Quali conseguenze comporta la costituzione dell'appellato?

Le soluzioni giuridiche

Le Sezioni Unite ribadiscono anzitutto il principio, desunto dall'art. 358 c.p.c., in forza del quale la consumazione dell'impugnazione si verifica soltanto ove il secondo appello venga proposto dopo che il primo sia stato già dichiarato improcedibile o inammissibile, in conformità ad un fermo indirizzo della SC, recentemente ribadito da Cass. civ., sez. un., sent., 13 giugno 2016 n. 12084. Ripete ancora la pronuncia in commento che, in caso di consecuzione tra un primo ed un secondo appello, quest'ultimo — salvo non sia medio tempore maturato il termine «lungo» di cui all'art. 326 c.p.c. — deve essere proposto nel termine breve di 30 giorni, previsto dall'art. 325 c.p.c., calcolato a far data dalla notificazione del primo appello, notificazione la quale comporta la conoscenza legale della sentenza impugnata: orientamento, quest'ultimo, che la dottrina ha sottoposto ad un severo vaglio critico, sottolineando che il congegno di applicazione del termine breve discende non già dalla conoscenza legale, in sé considerata, della sentenza, bensì dal comportamento volontario della parte vincitrice, la quale provveda alla sua notificazione secondo la previsione dell'art. 285 c.p.c. Nella pratica, la consumazione dell'impugnazione per effetto della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità di un primo appello non avrà mai luogo, giacché è impensabile — per ragioni talmente evidenti da non meritare neppure di essere menzionate — che il primo appello venga dichiarato improcedibile o inammissibile nel breve volgere del termine di 30 giorni: al contrario, in un simile frangente, il secondo appello verrà normalmente dichiarato inammissibile perché tardivo, a meno che la sua proposizione non sia avvenuta entro il termine di 30 giorni di cui si è detto, ovvero nel termine ipoteticamente ancor più breve derivante dall'applicazione dell'art. 326 c.p.c..

Fin qui nulla di nuovo.

Gli aspetti di interesse ravvisabili nella sentenza in esame riguardano invece il tema dell'iscrizione dell'appello con «velina»: pratica — che presumibilmente si diraderà con l'affermarsi, quando possibile, delle notificazioni via Pec, le quali forniscono al notificante l'immediata prova dell'avvenuta notificazione — già sdoganata da Cass. civ., sez. un., sent., 18 maggio 2011 n. 10864, cimentatasi con la famigerata questione (una delle trappole più sofisticate che il codice di rito tende agli avvocati) della decorrenza del termine per la costituzione dell'attore ovvero dell'appellante (termine che è stato ribadito decorrere dalla prima e non dall'ultima notificazione) nel caso di processo intentato nei confronti di una pluralità di convenuti.

Ebbene, che cosa ci dicono le Sezioni Unite?

Prima affermazione. La sanzione di improcedibilità per mancata costituzione dell'appellante nei termini, ai sensi dell'art. 348, comma 1, c.p.c., è ricollegata soltanto all'inosservanza del termine di costituzione e non anche all'inosservanza delle sue forme, previste dall'art. 165 c.p.c.: il quale stabilisce che l'attore deve depositare la nota di iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo, contenente l'originale della citazione, la procura e i documenti che offre in comunicazione. Si tratta di una soluzione che le Sezioni Unite hanno ritenuto di mutuare da un precedente delle sezioni semplici dovuto alla penna del medesimo estensore (Cass. civ., sez. III, sent., 8 maggio 2012 n. 6912; confermata successivamente da Cass. civ., sez. II, sent., 21 giugno 2013 n. 15715; Cass. civ., sez. 6-V, ord., 16 dicembre 2014 n. 26437). Questo però non vuol dire che l'inosservanza delle forme richieste per la costituzione rimanga priva di conseguenze: ma le conseguenze — chiariscono le Sezioni Unite — si collocano nell'ambito della nullità (che come sappiamo è sempre sanabile) e non dell'improcedibilità (che è irrimediabile). Facendo applicazione della regola così concepita alla costituzione dell'appellante con «velina», possiamo concludere che l'appello, in tal caso, non è viziato da improcedibilità, ma la costituzione, che non ha rispettato la regola posta dall'art. 165 c.p.c., richiamato dall'art. 347 c.p.c., il quale richiede il deposito in Cancelleria del «proprio fascicolo contenente l'originale della citazione», è afflitta da nullità

Seconda affermazione. Trattandosi di nullità, essa è suscettibile di sanatoria, sanatoria che all'appellante spetta di compiere, depositando l'originale notificato della citazione in appello, entro uno sbarramento costituito dall'udienza (effettivamente tenutasi) di cui al secondo comma dell'art. 350 c.p.c., ossia della prima udienza destinata, anzitutto, alla verifica della regolare costituzione del contraddittorio. In mancanza di sanatoria, la nullità si consolida irreversibilmente — salvo quanto tra breve si dirà —, non essendo consentito al giudice di assegnare un ulteriore termine allo scopo, a meno che l'appellante non abbia ragione di proporre un'istanza di rimessione in termini ai sensi dell'art. 153 c.p.c. (istanza che richiede la non imputabilità dell'omesso deposito dell'originale). In udienza, dunque, il giudice non potrà fare altro che far constare il mancato deposito dell'originale notificato della citazione in appello, documento che l'appellante potrà in tal caso produrre seduta stante, se ne è in possesso: ma non potrà concedere un rinvio per la produzione. L'appello verrà dichiarato improcedibile.

Terza affermazione. La sanatoria della nullità può aver luogo anche per altra via, a seguito della costituzione dell'appellato. Le Sezioni Unite distinguono qui tra «velina» e «velina». Può darsi il caso che la «velina» sia una fotocopia della citazione in appello con la relazione di notificazione (in effetti questa ipotesi si incontra non di rado nella pratica, in genere per ragioni di cautela dell'avvocato, il quale non intende correre il rischio che l'originale notificato, nel marasma di taluni uffici giudiziari, possa andare perduto). Può darsi inoltre il caso che la «velina» sia una fotocopia della citazione in appello priva della relazione di notificazione (questa ipotesi è motivata generalmente dal fatto che l'appellante non ha ancora avuto restituito l'atto notificato).

Cosa accade se l'appellato si costituisce senza eccepire la conformità della copia prodotta all'originale, eventualmente limitandosi a far rilevare il mancato deposito di esso?

Nel primo caso, quello della «velina» completa della relazione di notificazione, la nullità derivante dal mancato deposito dell'originale notificato (art. 347 c.p.c. in relazione all'art. 165 c.p.c.) rimane sanato sotto ogni profilo: e quello della regolare instaurazione del contraddittorio, e quello della verifica della tempestività della costituzione, che deve aver luogo entro 10 giorni dalla notificazione, e che ben può essere compiuto sulla copia.

Nel secondo caso, quello della «velina» mancante della relata di notificazione, non vi è questione per quanto attiene alla regolare instaurazione del contraddittorio, ma al giudice rimane precluso il controllo officioso della tempestività della costituzione: la nullità derivante dal mancato deposito dell'originale notificato diviene in questo caso irretrattabile, sicché l'appello viene definito in rito con pronuncia di improcedibilità.

Ma può anche darsi il caso che l'appellato si costituisca contestando la conformità della copia all'originale. In questo caso occorre la produzione dell'originale notificato, altrimenti la nullità si consolida.

Se infine l'appellato non si costituisce, la nullità rimane ancora una volta irrimediabilmente consolidata.

Osservazioni

La pronuncia in commento merita nel complesso un giudizio positivo.

Essa ha il merito di aver precisato che il mancato deposito dell'originale notificato dà luogo ad una nullità, e non ad una semplice irregolarità (in questo senso, invece, v. Cass. civ., sez. I, sent., 9 dicembre 2004, n. 23027; Cass. civ., sez. I, sent., 29 luglio 2009 n. 17666; Cass. civ., sez. I, sent., 17 novembre 2010 n. 23192): in effetti, non era comprensibile come fosse possibile che una simile irregolarità, ove non emendata, potesse poi trasformarsi in causa di definizione in rito dell'impugnazione. Più coerentemente, dunque, le Sezioni Unite inquadrano la fattispecie nella nullità, nullità tuttavia sanabile secondo le regole generali entro un preciso termine, quello della prima udienza, in occasione della quale il giudice deve verificare sia la regolarità dell'instaurazione del contraddittorio, sia la regolarità formale dell'impugnazione proposta, ivi compresa la costituzione.

Tuttavia, la soluzione secondo cui la sanzione di improcedibilità sarebbe comminata dall'art. 648 c.p.c. per il solo caso di violazione del termine per la costituzione, e non per quello concernente il rispetto delle forme della costituzione, non sembra ineccepibile sul piano della logica: la costituzione non effettuata nei termini, a pena di improcedibilità, di cui discorre l'art. 348, comma 1, c.p.c., è difatti, evidentemente, la stessa costituzione di cui parla il precedente art. 347, comma 1, c.p.c., e cioè la costituzione effettuata nell'osservanza di determinate forme che l'art. 165 c.p.c. elenca.

Ciononostante, il responso delle Sezioni Unite ha il pregio di giustificarsi sul piano pratico, giacché consente di limitare la tagliola dell'improcedibilità, in favore della più elastica sanzione di nullità, così da restituire un meccanismo processuale non eccessivamente giugulatorio, ma sufficientemente «mite», a fronte di una condotta, quella consistente nel deposito della «velina», che possiamo per così dire ascrivere al campo dei peccati veniali.

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