Sui termini di impugnazione delle sentenze non definitive

18 Aprile 2017

La decisione della Cassazione offre l'occasione per fare un po' il punto sulle differenti situazioni che si possono verificare nel rapporto tra sentenza non definitiva (c.d. «parziale») che pronuncia su un presupposto della domanda e sentenza definitiva che, sulla base di quel presupposto, decide la controversia.
Massima

In tema di sentenze non definitive, i termini per la proposizione del ricorso per cassazione contro le stesse, ove venga formulata riserva, stante la scelta per l'unitarietà del procedimento impugnatorio, decorrono dalla notifica o dalla pubblicazione della sentenza definitiva, sicché nell'ipotesi in cui il ricorrente deduca, anche implicitamente, che la sentenza definitiva gli è stata notificata, la mancata produzione della stessa corredata dalla relata di notifica determina l'improcedibilità dell'unico ricorso proposto avverso le due sentenze, a nulla rilevando il rituale deposito della sentenza non definitiva.

Il caso

La sentenza della S.C. che si annota riguarda fattispecie nella quale i ricorrenti hanno impugnato (con unico atto) sia la sentenza « parziale » (pubblicata il 21 aprile 2009) e nei confronti della quale avevano manifestato tempestiva riserva di gravame, sia quella definitiva (pubblicata il 9 maggio 2012); per altro verso, pur allegando che la sentenza impugnata era stata loro notificata, non hanno prodotto la copia della sentenza definitiva corredata dalla relata di notifica, limitandosi alla produzione della sola sentenza «parziale».

La questione

La decisione della S.C. offre l'occasione per fare un po' il punto sulle differenti situazioni che si possono verificare nel rapporto tra sentenza non definitiva (c.d. «parziale») che pronuncia su un presupposto della domanda e sentenza definitiva che, sulla base di quel presupposto, decide la controversia.

La prima evenienza, disciplinata negli artt. 340 e 361 c.p.c. (rispettivamente per l'appello e per il ricorso per cassazione), considera il caso del soccombente il quale – in base al principio dell'unitarietà dell'intero procedimento e della valutazione della complessiva decisione – si orienta per un differimento dell'eventuale impugnazione (con unico atto) sia della sola « parziale » sia di entrambe le decisioni. Per evitare che la sentenza parziale acquisti efficacia di giudicato interno deve, tuttavia, esprimere la sua decisione impugnatoria attraverso apposita riserva tempestiva, formulata cioè entro il termine («breve » o «lungo» a seconda che la «parziale » gli sia stata o meno notificata) ma che può anche subire una riduzione qualora la sentenza gli sia stata comunicata e l'udienza « in prosecuzione » del giudizio sia stata fissata a breve cioè in data antecedente a quella della scadenza dei termini per l'impugnazione. Non si verifica, invece, una sorta di riammissione in termini per la riserva qualora la prima udienza successiva si celebri, come avviene in taluni casi, in epoca successiva alla scadenza dei termini per impugnare: il chiaro intento della norma non è quello di dilatare i termini di impugnazione previsti dai citati artt. 325 e 327 c.p.c.., bensì di restringerli, nel caso in cui la prima udienza successiva alla comunicazione intervenga prima dello scadere di essi, senza che tale interpretazione possa ritenersi pregiudizievole per i diritti di difesa della parte (Cass. 6 aprile 2000, n. 4265). Per altro verso, il mancato esercizio della «riserva» comporta solo la decadenza dall'impugnazione differita di quel provvedimento, ma non ne preclude quella immediata, nei termini ordinari, «breve» o «lungo» a seconda che la sentenza sia stata, o meno, notificata: (Cass., 5 febbraio 2016, n. 2188).

Il dato testuale – con netta preferenza verso il trattamento unitario della vicenda e per evitare eventuali conflitti di giudicati - mostra di pretendere l'obbligo della parte (nel «primo tempo» soccombente ) che ha formulato la tempestiva riserva di impugnare anche la sentenza definitiva malgrado, in ipotesi, non abbia specifiche censure da muovere al contenuto e alle statuizioni di essa conseguenti all'impugnato capo presupposto. Così, ad esempio, se la sentenza « parziale » ha escluso la configurabilità di una donazione simulata da parte del genitore defunto e, in conseguenza, ha operato l'assegnazione dei beni relitti escludendo la collazione del bene oggetto della contestata compravendita, il ricorrente può avere interesse a non dolersi della operato scioglimento della comunione qualora venga disattesa dal giudice del gravame la sua impugnazione sul capo presupposto.

In sede di impugnazione, pertanto, ferma la produzione della sentenza parziale (alle statuizioni della quale sono rivolte le censure) occorre anche quella della sentenza definitiva.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte – nel dichiarare l'improcedibilità del ricorso – ha ribadito alcuni principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità (ex multis, fra le più recenti, Cass.12 dicembre 2010, n. 25070; Cass., 11 maggio 2010, n. 11374; Cass., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 9005) e cioè:

  • nella descritta vicenda si realizza l'unicità del processo impugnatorio;
  • una volta avvenuta la notificazione della sentenza (definitiva), l'impugnazione (che coinvolge entrambe le decisioni) è esercitabile soltanto con l'osservanza del cosiddetto «termine breve»;
  • l'osservanza di tale termine è posta a tutela dell'esigenza pubblicistica del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale e la sua inosservanza va rilevata d'ufficio;
  • deve reputarsi acquisito il dato dell'avvenuta notifica qualora il ricorrente alleghi, espressamente od implicitamente, tale accadimento;
  • nessun rilievo può essere ricondotto all'eventuale non contestazione dell'osservanza del «termine breve» da parte del controricorrente o, del tutto, del deposito da parte sua di una copia con la relata o della presenza di tale copia nel fascicolo d'ufficio, da cui emerga in ipotesi la tempestività dell'impugnazione.

La indiscussa affermazione di qualsivoglia rilievo, per così dire «esterno», alla produzione del documento da parte del ricorrente, sembra comportare l'implicito suggerimento a questi di evitare nel ricorso affermazioni circa la avvenuta (o meno) notifica della sentenza impugnata, limitandosi al solo riferimento alla data di pubblicazione. La mancanza di contestazioni a riguardo dalla controparte (la quale può avere interesse che la Suprema Corte esamini, rigettandolo, il ricorso) e l'esclusione di poteri officiosi di indagini sul punto sembra comporti che la tempestività del ricorso debba essere effettuata in relazione al «termine lungo».

Osservazioni

L'occasione suggerisce qualche considerazione con riguardo alla diversa ipotesi della immediata impugnazione della sentenza « parziale », che può snodarsi, in tempi più o meno biblici, (appello, ricorso per cassazione, giudizio di rinvio) e concludersi con la « conferma » di quanto statuito nella sentenza « parziale » oppure con la sua modifica, facendo venir meno quanto presupposto con quella pronuncia e indirizzando, pertanto, la decisione definitiva verso un risultato differente da quello che sarebbe scaturito dalla statuizione «parziale».

L'art. 279, comma 4, c.p.c. prevede che il giudice – quando, non definendo il giudizio, pronuncia sentenza (necessariamente « parziale ») anche su questioni preliminari di merito -- «impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa » che, evidentemente, si articolerà sulla base dell'accertato fatto presupposto, sul quale si ignora l'atteggiamento della parte soccombente. Qualora questa impugni quella decisione, sembra intervenire l'art. 295 c.p.c. il quale, per evitare inutile spreco di energie processuali e di costi, stabilisce che il giudice « sospende il processo quando deve essere risolta una controversia « dalla cui definizione dipende la decisione della causa». L'aggettivazione « necessaria » della rubrica dell'articolo e l'uso del modo imperativo sembrerebbero non lasciare spazio alla possibilità che il giudice del processo per così dire « portante » possa continuarne la trattazione sulla base di quanto presupposto nella sua « parziale » sub iudice.

Non è questo il dictum della Suprema Corte.

In fattispecie in cui un tribunale, preso atto dell'avvenuta impugnazione della propria sentenza parziale e ritenuta la pregiudizialità del giudizio di appello sulla causa in corso, aveva sospeso il giudizio di merito a sensi dell'art. 295 c.p.c. sino alla conclusione della causa pregiudiziale, la S.C. ha reputato illegittimo (e in conseguenza annullato) il provvedimento di sospensione del giudizio di primo grado proseguito dopo la pronuncia di sentenza parziale su questione pregiudiziale, adottato in ragione della pendenza del giudizio d'appello su detta sentenza. L'esito di esso, se difforme – motiva la S.C. -- ha effetto sul giudizio di merito, sicché difetta il presupposto per l'applicazione dell'art. 295 c.p,c., costituito dal possibile contrasto di giudicati, condizione indispensabile perché entrambe sono destinate a riverberare i loro effetti nello stesso giudizio, nel senso che si è esaurito il potere giurisdizionale del tribunale per la parte della controversia decisa con la sentenza non definitiva, mentre quella della Corte d'appello, se difforme dalla prima, una volta divenuta definitiva, ha effetto sostitutivo immediato nel giudizio in corso (Cass., 15 febbraio 2005. n. 2962. Conf. Cass., 30 ottobre 2007, n. 22944; Cass., 23 marzo 2015, n. 5894).

L'indirizzo appare foriero di situazioni difficilmente districabili in quanto può trovare chiara applicazione solamente nel caso in cui sia formato il giudicato sulla « parziale » e il processo di merito si trovi ancora in istruttoria. Qualora, in ipotesi, la causa sia stata rimessa in decisione, il tribunale -- anche a fronte della notizia dell'esito finale di quel gravame – dovrebbe decidere sulla base dell'originario (e venuto meno) fatto presupposto. Probabilmente la saggia individuazione di un qualche motivo per rimettere la causa sul ruolo istruttorio potrebbe sanare la situazione; altrimenti occorrerà impugnare la « definitiva » per evitare il contrasto di giudicati.

Ci si perde, invece, quando i due giudizi -- l'uno di gravame della parziale e l'altro di prosecuzione del processo -- proseguano in tempi e con risultati differenti, in un incrocio di appelli, ricorsi per cassazione e magari di rinvio, con riguardo tanto al primo che al secondo, sino a quando si formi un qualche giudicato. Se poi, per avventura, non sia stata impugnata la decisione di merito -- aderente al fatto presupposto e intervenuta prima della conclusione dell'impugnazione della « parziale » che quel fatto fa venir meno – la controversia continuerà sulle modalità per risolvere il contrasto, aprendo la problematica dell'applicabilità dei nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. con la possibile riconduzione del processo alle origini e rifacimento di tutta l'attività istruttoria.

Certamente non l'inclita, ma il volgo – ignaro della considerazione di un antico Maestro del processo come giuoco – è portato a chiedersi: «ma non era meglio sospendere il processo con l'art. 295 c.p.c.?».

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