Eccezione di arbitrato irrituale ovvero rituale

Francesco Agnino
14 Giugno 2016

L'eccezione di ritualità o irritualità dell'arbitrato non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere proposta dalla parte interessata.
Massima

In considerazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato, l'eccezione di ritualità o irritualità dello stesso non è rilevabile d'ufficio, ma deve essere proposta dalla parte interessata, la quale, versandosi in materia di facoltà e diritti disponibili, ben può rinunciare ad avvalersene, anche tacitamente, ponendo in essere comportamenti incompatibili con la volontà di giovarsi del compromesso.

Il caso

La Corte di appello territorialmente competente rigettava il gravame proposto contro la sentenza del giudice di primo grado che aveva dichiarato inammissibile la domanda introdotta per far valere l'annullamento, ex art.1428 c.c., di un lodo arbitrale irrituale. I giudici del gravame, premessa la natura irrituale dell'arbitrato, rigettavano l'appello in considerazione dell'impossibilità di far valere, nei riguardi di detto lodo la violazione del principio del contraddittorio.

La parte soccombente proponeva ricorso in Cassazione lamentando la mancata rilevazione d'ufficio della natura rituale dell'arbitrato.

I Giudici di legittimità rigettano il ricorso sul rilievo che l'eccezione di arbitrato irrituale, come quella di arbitrato rituale, non è rilevabile d'ufficio dal giudice e deve essere proposta dalla parte interessata, la quale, versandosi in materia di facoltà e diritti disponibili, ben può rinunciare ad avvalersene, anche tacitamente, ponendo in essere comportamenti incompatibili con la volontà di avvalersi del compromesso.

In motivazione

«La questione deve essere valutata alla luce della giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte, le quali, com'è noto, con consapevole e meditato overruling, hanno mutato decisamente indirizzo, con il noto arresto del 2013 (Cass. civ., sez. un., ord.,n. 24153/2013), stabilendo che «l'attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavatile dalla l. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicchè lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, da luogo ad una questione di giurisdizione». Da tale affermazione, pertanto, discende la necessità di rivedere i corollari dell'indirizzo ermeneutico, secondo cui l'arbitrato si risolve in una atto di autonomia privata, formatosi sulla base dell'opposto principio del 2000, ormai abbandonato dalla Corte, e riformularne di nuovi, alla luce del mutamento interpretativo inaugurato con la menzionata pronuncia della fine dell'anno 2013».

La questione

La questione in esame è la seguente: l'eccezione di arbitrato irrituale, come quella di arbitrato rituale, è rilevabile d'ufficio dal giudice?

Le soluzioni giuridiche

In passato l'eccezione di arbitrato irrituale era qualificata come eccezione di merito ; (Cass. civ., 13 luglio 1988 n. 4587; Cass. civ., sez. un., 9 dicembre 1986, n. 7315) in quanto si riteneva che l'accordo compromissorio determinasse una temporanea rinuncia alla giurisdizione, in attesa di un atto sostanziale volto a determinare il rapporto e, quindi, provocava una infondatezza nel merito della pretesa a fronte di un diritto ancora da «plasmare».

Ne derivava un sistema in cui la relativa eccezione poteva sempre indicarsi come relativa al merito ; (Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2011, n. 15474; Cass. civ., sez. un., 27 ottobre 2008, n. 25770; Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2007, n. 12684).

Anche nell'arbitrato rituale, la pronunzia arbitrale ha natura di atto di autonomia privata e correlativamente il compromesso si configura quale deroga alla giurisdizione. Pertanto, il contrasto sulla non deferibilità agli arbitri di una controversia per essere questa devoluta, per legge, alla giurisdizione di legittimità o esclusiva del giudice amministrativo costituisce questione, non già di giurisdizione in senso tecnico, ma di merito, in quanto inerente alla validità del compromesso o della clausola compromissoria. Consegue che rispetto a siffatta questione è inammissibile il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione di cui all'art. 41 c.p.c. sia nell'ambito del processo arbitrale che del giudizio d'impugnazione ex art. 828 c.p.c., essendo il relativo mezzo proponibile con esclusivo riferimento alle questioni di giurisdizione in senso tecnico giuridico riconducibili al paradigma dell'art. 37 c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527).

Alla luce del dettato normativo vigente ed in confronto con il regime dell'eccezione di arbitrato rituale, sembra doversi pervenire ad una diversa soluzione.

Il legislatore equipara, infatti, la valutazione della sussistenza della potestas iudicandi dell'arbitro rituale ad una questione di competenza derogabile sottoposta al rimedio del regolamento di competenza davanti alla Corte di cassazione (v. art. 819-ter c.p.c.).

Ne consegue, nell'impostazione seguita, che l'omessa formulazione della eccezione rende inefficace la convenzione di arbitrato limitatamente alla controversia dedotta.

Si ha, quindi, una assimilazione della questione a quella di competenza o, per meglio dire, il legislatore sceglie di trattare la eccezione di compromesso al pari delle eccezioni di incompetenza mutuandone le modalità di decisione.

In considerazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, come desumibile dalla disciplina introdotta dalla l. n. 25 del 1994 e dalle modificazioni di cui al d.lgs. n. 40 del 2006, l'eccezione di compromesso ha carattere processuale ed integra una questione di competenza, che deve essere eccepita dalla parte interessata, a pena di decadenza e conseguente radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta, nella comparsa di risposta e nel termine fissato dall'art. 166 c.p.c. Né la competenza arbitrale, quanto meno in questioni incidenti su diritti indisponibili, può essere assimilata alla competenza funzionale, così da giustificare il rilievo officioso ex art. 38, comma 3, c.p.c., atteso che essa si fonda unicamente sulla volontà delle parti, le quali sono libere di scegliere se affidare la controversia agli arbitri e, quindi, anche di adottare condotte processuali tacitamente convergenti verso l'esclusione della competenza di questi ultimi, con l'introduzione di un giudizio ordinario, da un lato, e la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato, dall'altro (Cass. civ., sez. VI, 6 novembre 2015, n. 22748).

Pertanto l'eccezione relativa alla sussistenza di clausola di arbitrato irrituale deve essere qualificata quale eccezione di merito e come eccezione in senso proprio, da esercitarsi nei termini e nei modi delle eccezioni di merito.

Secondo l'ultimo orientamento della Corte di legittimità, poi, l'arbitrato rituale ha natura giurisdizionale a fronte dell'impugnabilità del lodo anche non esecutivo, della totale equiparazione della domanda arbitrale a quella giudiziale, nonché della applicazione allo stesso istituto di regole prettamente processuali quale l'art.50 c.p.c. ;

Dopo che la Consulta ha ammesso gli arbitri a sollevare la questione di legittimità costituzionale (C. cost., n. 376/2001), qualificando l'arbitrato come «procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria», e dopo che la riforma del 2006 ha attribuito al lodo arbitrale efficacia di sentenza dall'ultima sottoscrizione (art. 824-bis), è nuovamente intervenuta sulla materia la Corte costituzionale (C. cost., n. 223/2013) dichiarando l'incostituzionalità dell'art. 819-ter, comma 2, nella parte in cui escludeva l'applicazione all'arbitrato della translatio iudicii prevista dall'art. 50.

Dopodiché Cass. civ., sez. un., n. 24153 del 2013, ha nuovamente riconosciuto natura giurisdizionale all'arbitrato, osservando in breve che:

  • la proponibilità dell'impugnazione non è più subordinata al decreto di esecutorietà del lodo;
  • la domanda arbitrale è assimilabile a quella giudiziale quanto ad effetti sulla prescrizione e sulla trascrizione;
  • all'arbitrato si applica l'art. 111 concernente la successione a titolo particolare nel diritto controverso;
  • che l'art. 819-bis consente agli arbitri di sollevare questione di legittimità costituzionale;
  • l'art. 824-bis equipara gli effetti del lodo a quelli della sentenza.

Allo stato attuale della giurisprudenza, il giudizio arbitrale ha funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria.