La determinazione del valore della causa per la liquidazione dell'onorario professionale in caso di debitori solidali

Redazione scientifica
15 Luglio 2016

Qualora opponente e litisconsorte necessario siano portatori di un interesse comune, l'uno non può essere condannato a rifondere le spese processuali dell'altro. Inoltre, il fatto che il primo sia convenuto in giudizio con altri debitori per il pagamento di uno specifico importo, non può comportare la sua esposizione al pagamento di compensi professionali determinati con riguardo al complessivo importo dovuto da tutti i soggetti convenuti.

Il caso. A seguito di una richiesta di assegno di mantenimento, il Tribunale di Bolzano nominava un consulente tecnico d'ufficio autorizzandolo ad avvalersi del contributo di un commercialista. Il compenso veniva liquidato con decreto a titolo di spese vive soggette a rimborso.

Avverso tale provvedimento proponeva opposizione uno dei due convenuti, sostenendo che al CTU non spettasse alcun rimborso delle spese sostenute per l'ausilio del commercialista poiché quest'ultimo non aveva adempiuto al proprio incarico. Il Tribunale confermava, con ordinanza, il credito del CTU, rigettando l'opposizione e condannando l'opponente alla rifusione delle spese in favore dello stesso e della sorella.

Il soccombente impugnava ricorrendo in Cassazione.

L'opponente non deve rifondere le spese giudiziarie del litisconsorte necessario se agisce anche nel suo interesse. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente affermava di non essere tenuto a rifondere le spese giudiziali in favore della sorella, litisconsorte necessaria del giudizio di opposizione, in quanto, essendo tenuta in solido al pagamento dei compensi liquidati al CTU, risulta del tutto priva di un interesse antagonista rispetto a quello dell'opponente, presupposto necessario per l'applicazione dell'art. 91 c.p.c..

Di conseguenza, in caso di giudizi incidentali avverso il decreto di liquidazione del compenso del CTU, «l'opponente non è mai tenuto a rifondere le spese sostenute dalla controparte del giudizio originario, intervenuta in qualità di litisconsorte necessario» anche nel caso in cui le difese da quest'ultima predisposte contrastino con le censure a fondamento dell'opposizione.

Secondo il Consigliere relatore, la ratio risiede nella peculiarità del giudizio in questione il quale ha ad oggetto le «spese sostenute nell'interesse superiore della funzione giudiziaria» e, quindi, nell'interesse di entrambe le parti, tenute in solido a corrispondere le somme liquidate al CTU a prescindere dall'effettiva ripartizione interna delle spese giudiziali. Essendo la riduzione di tale obbligo il fine ultimo del giudizio di opposizione, il litisconsorte che decide di prendere parte al giudizio può intervenire unicamente per sostenere le ragioni dell'opponente, poiché manca dell'interesse e della legittimazione passiva a proporre eccezioni relative all'oggetto del giudizio principale o all'utilità della relazione del CTU.

Nel caso di specie, il giudice di merito ha errato nel configurare la resistente quale convenuta avente diritto alla rifusione delle spese sostenute per la difesa. Le argomentazioni da quest'ultima sviluppate avverso l'opposizione appaiono irrilevanti e inammissibili perché dedotte da una parte del tutto priva di legittimazione passiva in quanto ugualmente interessata ad ottenere la riduzione dei compensi spettanti al consulente. Oggetto della controversia è il supposto inadempimento del commercialista ausiliario e non l'utilità o la veridicità degli accertamenti resi dal tecnico, già valutati nel corso del giudizio principale.

L'originaria contrapposizione tra le due parti non si riflette nel giudizio di opposizione, dove la sussistenza di un interesse comune «impone di escludere che l'una possa essere tenuta alla rifusione delle spese sostenute dall'altra, suggerendo all'opposto una loro contestuale condanna in favore del CTU convenuto».

Il valore della causa si determina in riferimento alla parte che si assume creditrice e a quanto dovuto dal debitore. La Cassazione ritiene che siano stati effettivamente violati i massimi tariffari.

Infatti, il solo fatto di essere convenuti in giudizio per il pagamento di uno specifico importo unitamente ad altri debitori, non può esporre lo stesso debitore al pagamento di compensi professionali determinati con riguardo all'importo complessivamente dovuto da tutti i soggetti convenuti nel medesimo giudizio, «con conseguente esposizione per un fatto ed una scelta esclusivamente riferibile al creditore ovvero all'interveniente».

Pertanto, si deve affermare il principio secondo cui «ai soli fini della liquidazione dei compensi del professionista, il valore della causa, per l'individuazione del relativo scaglione, va determinato con esclusivo riferimento alla sola parte che si assume creditrice e in relazione a quanto dovuto dal debitore».

Per questi motivi, la Suprema Corte cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, elimina la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di opposizione in favore della sorella e ridetermina le spese del medesimo giudizio in favore del CTU.

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