Composizione del Collegio della Corte di Cassazione rispetto ai motivi di astensione obbligatoria

15 Settembre 2016

Qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il Collegio della Corte può essere composto anche con magistrati che hanno partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento.
Massima

Qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il Collegio della Corte può essere composto anche con magistrati che hanno partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, in quanto ciò non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice; questo principio trova applicazione non solo quando una prima decisione di legittimità abbia condotto all'annullamento con rinvio della statuizione impugnata per la riconosciuta sussistenza di un error in procedendo, ma anche laddove la cassazione con rinvio sia stata determinata da un error in judicando.

Il caso

Trattasi di un'istanza di ricusazione di un Consigliere di Cassazione; la parte istante rilevava che tale componente del Collegio in qualità di relatore, avrebbe dovuto astenersi poiché era stato relatore ed estensore della sentenza originariamente cassata con rinvio a giudice di pari grado. In particolare l'istanza di ricusazione profila la ricorrenza di un vero e proprio obbligo di astensione da parate del Consigliere e, in particolare, di quello previsto dal n. 4 dell'art. 51 c.p.c. che è posto a carico del giudice che abbia conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo; ciò sul presupposto che la sentenza di cassazione con rinvio di cui il giudice ricusando era stato relatore ed estensore, avesse direttamente determinato il contenuto della sentenza di rinvio, poi impugnata anch'essa in cassazione. La Corte rigetta il ricorso.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Come già osservato nella Bussola Astensione e Ricusazione del Giudice, ai sensi dell'art. 51, n. 4, «Il giudice ha l'obbligo di astenersi se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato consulenza come assistente tecnico».

Dare consiglio significa fornire un parere in merito all'esito della controversia. Secondo la giurisprudenza è irrilevante che il parere sia espresso in forma scritta oppure oralmente; importante è che il giudice abbia espresso una sua opinione riguardo al possibile esito del giudizio. La giurisprudenza della cassazione ha inoltre dato dei criteri per stabilire quando aver prestato patrocinio in un altro grado del giudizio sia un motivo di astensione obbligatoria:

- vi deve essere effettiva identità del thema decidendum: non si deve trattare di un thema decidendum diverso;

- deve essersi trattato di una effettiva cognizione della causa in sede decisoria:il giudice deve avere deciso la precedente controversia;

- la cognizione precedente deve essere avvenuta in un altro grado del processo in corso.

Di recente, sotto il profilo dell'interpretazione dell'art. 51 n. 4, le Sezioni Unite della Corte – nella sentenza 25 ottobre 2013, n. 24148, richiamata in motivazione nella sentenza in commento - hanno avuto modo di precisare che qualora una sentenza pronunciata dal giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il collegio può anche essere composto con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, perché ciò non determina alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice. La soluzione, senz'altro condivisibile, si fonda sul presupposto – inconfutabile – che il giudizio di legittimità non si riferisce direttamente alla domanda avanzata dall'attore ma, piuttosto, alla decisione già presa rispetto a tale domanda per verificarne la correttezza.

Principio quest'ultimo che, come specifica la Cassazione nella pronuncia in commento, trova applicazione non soltanto quando la prima sentenza di legittimità si è conclusa con la cassazione con rinvio della pronuncia impugnata per la verifica dell'esistenza del denunciato error in procedendo del giudice, ma anche quando la cassazione con rinvio sia stata originata dal riscontro di un error in judicando. In questo caso, infatti, come anche le Sezioni Unite prima richiamate hanno specificato, il sindacato operato dalla Corte è di mera legittimità e prescinde, pertanto, come da regola generale, da qualsiasi valutazione nel merito. La sentenza oggetto della pronuncia ora in commento era stata cassata proprio perché la Corte aveva riscontrato il vizio di falsa applicazione di cui all'art. 360, n. 3, c.p.c. e aveva correlativamente individuato le ragioni dell'errore compiuto dal primo giudice, errore che il secondo giudice, quello di rinvio, non avrebbe dovuto a sua volta ripetere.

Poiché, pertanto, il vizio di falsa applicazione di norma di diritto si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalla norma di diritto applicabile alla fattispecie, non si ha alcuna decisione sul merito e, pertanto, non ricorre in alcun modo la fattispecie di cui all'art. 51, n. 4 c.p.c. Al Consigliere relatore non è quindi fatto alcun obbligo di astensione.

Osservazioni

È noto che la ratio posta alla base dell'incompatibilità dettata dall'art. 51 n. 4 c.p.c. è fondata sull'esigenza di assicurare l'imparzialità del giudicante, imparzialità che sarebbe minata qualora il giudice avesse già effettuato una valutazione della fattispecie e ne giudicasse nuovamente in un'altra fase del processo; in sostanza il giudice sarebbe in questo caso suspectus perché prevenuto; avendo conosciuto del processo in un'altra fase si sarebbe formato un preconcetto che potrebbe danneggiare il corretto esito del giudizio (in dottrina per tutti Consolo, Terzietà ed imparzialità nella dinamica dei processi non penali, in Foro it., 2012, V, 22 e ss.; in senso parzialmente diverso, B. Cavallone, Ancora sulla “precognizione” del giudice civile come preteso motivo di astensione, in Riv. dir. proc., 2012, 1002 e ss.). Se questa è la ragione di una norma come l'art. 51, n. 4, c.p.c., allora anche solo su questa base è condivisibile il rigetto dell'istanza di ricusazione atteso che, come evidenziato in massima, non vi è alcun rischio, nel caso di specie – ossia di Consigliere relatore nel primo giudizio conclusosi con una pronuncia di cassazione con rinvio, che sia poi membro del Collegio nonché relatore nel giudizio di cassazione contro la sentenza pronunciata dal giudice di rinvio – di compromissione dei valori della terzietà ed imparzialità del giudice. Il principio può dirsi pacifico in giurisprudenza: in senso conforme, si veda anche Cass. civ., sez. lav., 29 febbraio 2016, n. 3980.

Di recente le Sezioni Unite hanno avuto anche modo di occuparsi dell'incompatibilità ex art. 51 n. 4 c.p.c. rispetto alla composizione del collegio delle Sezioni Unite. Con la pronuncia Cass. civ., sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1783, infatti, hanno affermato che l'incompatibilità prevista da tale norma non è ravvisabile quando gli stessi componenti del collegio delle Sezioni Unite investito della decisione relativa al ricorso contro un provvedimento disciplinare a carico di un magistrato abbiano già deciso sull'impugnazione del provvedimento di sospensione cautelare emesso nei confronti dello stesso. Ciò perché la decisione sul provvedimento cautelare appartiene ad una serie processuale che la Corte definisce «autonoma», sia quanto ai presupposti, sia rispetto alla cognizione, sia rispetto agli effetti impugnatori.

Quanto al contenuto del giudizio di cassazione e, segnatamente, rispetto all'accoglimento del ricorso per il motivo dell'art. 360, n. 3, c.p.c., le Sezioni Unite avevano già specificato (Cass. civ., sez. un. 22 luglio 2013, n. 17779) che la pronuncia di Cassazione per errore in iudicando, con enunciazione del principio di diritto cui il giudice di rinvio deve uniformarsi, non vincola il giudice medesimo rispetto alle circostanze che siano meramente ipotizzate da questo principio; “una preclusione al riesame si verifica solo con riguardo ai fatti che quel principio presupponga come pacifici o già accertati in Sede di merito; in sostanza, il giudice di rinvio è vincolato al principio di diritto affermato, ma, in relazione ai punti decisivi e non congruamente valutati della sentenza cassata, se non può rimetterne in discussione il carattere di decisività, ha il potere di procedere ad una nuova valutazione dei fatti già acquisiti e di quegli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive espresse dalla sentenza della Corte di Cassazione, la cui portata vincolante è limitata all'enunciazione della corretta interpretazione della norma di legge, e non si estende alla sussunzione della norma stessa della fattispecie concreta, essendo tale fase del procedimento logico compresa nell'ambito del libero riesame affidato alla nuova autorità giurisdizionale” (così Cass. civ., sez. un., n. 17779/2013, cit.).

Guida all'approfondimento

CONSOLO, Terzietà ed imparzialità nella dinamica dei processi non penali, in Foro it., 2012, V, 22 e ss.;

DITTRICH, Incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice, Padova, 1991;

FERRANTI, sub artt. 51 e ss., in Codice di procedura civile commentato, a cura di N. Picardi, B. Sassani, A. Panzarola, Milano, 2015, 490 e ss.;

LA CHINA, Giudice (astensione e ricusazione), in Dig. Civ., vol. IX, 1993, 26 e ss.;

PANZAROLA, La ricusazione del giudice civile, Bari 2008;

PICARDI, Manuale del processo civile, Milano, 2013;

ROMBOLI, Astensione e ricusazione del giudice (dir. proc. civ.), in Enc. Giur., vol. III, 1988 e ss.;

SATTA, Astensione del giudice, in Enc. del dir., vol. III, Milano, 1959, 952 e ss.

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