Ambito di cognizione del giudice nell'ATP e inoppugnabilità del decreto di omologa

15 Dicembre 2016

In tema di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 445-bis c.p.c., il giudice, in mancanza di contestazioni, deve omologare l'accertamento sulla sussistenza o meno delle condizioni sanitarie per l'accesso alla prestazione con decreto inoppugnabile e non modificabile, contro il quale non è proponibile neppure ricorso straordinario ex art. 111 Cost.
Massima

In tema di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 445-bis c.p.c., il giudice, in mancanza di contestazioni, deve omologare l'accertamento sulla sussistenza o meno delle condizioni sanitarie per l'accesso alla prestazione con decreto inoppugnabile e non modificabile, contro il quale non è proponibile neppure ricorso straordinario ex art. 111 Cost., giacché le parti, ove intendano contestare le conclusioni del Ctu, sono tenute a farlo, nel termine fissato dal giudice anteriormente al decreto di omologa. La dichiarazione di dissenso che la parte deve formulare a fine di evitare l'emissione del decreto di omologa può avere ad oggetto sia le conclusioni cui è pervenuto il Ctu, sia gli aspetti preliminari, relativi ai presupposti processuali e alle condizioni dell'azione, che sono stati oggetto della verifica giudiziale e ritenuti non preclusivi dell'ulteriore corso del giudizio.

Il caso

Tizia proponeva domanda di accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis c.p.c. al fine di sentire dichiarata la sussistenza del presupposto sanitario necessario ai fini del conseguimento dell'assegno di invalidità civile. Il Giudice del lavoro conferiva incarico al Ctu e successivamente, depositato l'elaborato peritale da parte del consulente e spirato il termine per la presentazione delle contestazioni delle parti senza che nessuna depositasse atto di dissenso, omologava l'accertamento del requisito sanitario indicato nella relazione del Ctu.

L'Inps proponeva ricorso straordinario ex art. 111 Cost. avverso il decreto di omologa, eccependo la carenza di interesse ad agire della ricorrente in quanto costei, alla data di presentazione della domanda amministrativa, aveva già superato il sessantacinquesimo anno di età, con la conseguenza che la prestazione in controversia non avrebbe potuto comunque esserle attribuita. Deduceva, altresì, che il Giudice, prima del conferimento dell'incarico peritale, avrebbe dovuto procedere alla verifica della sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per il conseguimento della prestazione assistenziale, ivi compresa l'età del richiedente ove questa, come nel caso di specie, possa avere valenza preclusiva del diritto al riconoscimento del beneficio cui è finalizzato l'accertamento.

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile.

La questione

La questione affrontata dalla pronuncia in esame attiene alla necessità da parte del giudice dell'ATP di procedere alla verifica preliminare della sussistenza dei presupposti la cui carenza renderebbe inutile l'accertamento sanitario, nonché agli strumenti riconosciuti alla parte interessata per potersi validamente dolere del difetto di uno o più di tali presupposti.

Le soluzioni giuridiche

All'indomani dell'introduzione nel nostro ordinamento del procedimento ex art. 445-bis c.p.c. (operata con d. l. 38/2011 conv. in l. 111/2011) la giurisprudenza di legittimità si è più volta dovuta confrontare con il problema dell'ambito della cognizione demanda al giudice in sede di ATP obbligatorio.

Secondo una prima ricostruzione il legislatore, con l'introduzione dell'art. 445-bis c.p.c., avrebbe inteso scindere il giudizio in due diverse fasi: una intesa esclusivamente alla verifica delle condizioni sanitarie e regolata da un rito speciale (a contraddittorio posticipato ed eventuale), e l'altra (non necessariamente giudiziale) di concessione della prestazione, in cui va verificata anche l'esistenza dei requisiti non sanitari. Con la conseguenza che in sede di verifica dell'invalidità, per un verso, l'accertamento delle condizioni sanitarie è integralmente sottratto all'apprezzamento del giudice, vincolato invero al parere del Ctu, per altro verso, al giudice è inibito il potere di operare preliminarmente verifiche di sorta sugli altri requisiti; e ciò, anche scontando l'inconveniente per cui, talvolta, può risultare antieconomico, in termini di dispendio di tempi e di spese, decidere sulle condizioni sanitarie pur in presenza di elementi che dimostrino, già prima facie, che la prestazione non sarebbe comunque conseguibile (Cass. 17 marzo 2014 n. 6085).

Tali statuizioni – fortemente osteggiate da larga parte della giurisprudenza di merito – sono state superate da altro più recente orientamento, secondo cui nell'esame della portata applicativa della novella del 2011 si impone una soluzione che, pur tenendo conto della volontà deflattiva ed acceleratoria del legislatore, impedisca tuttavia che l'accertamento del requisito sanitario si ponga come fattore a sé stante, del tutto avulso dal diritto sostanziale che si intende realizzare. L'accertamento medico legale, infatti, è pur sempre richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale, e deve rispondere pertanto ad un effettivo interesse del ricorrente, dovendo escludersi che esso possa totalmente prescindere dalla sussistenza degli ulteriori presupposti richiesti dalla legge per il riconoscimento dei diritti corrispondenti (Cass. 4 maggio 2015 n. 8878).

Con l'ordinanza in commento la Cassazione conferma integralmente i principi testé enunciati.

Si parte dalla premessa che oggetto dell'ATP è l'accertamento sanitario e che, ciò nonostante, il giudice è pur tuttavia tenuto ad un sommario accertamento della sussistenza dei presupposti processuali e sostanziali, al fine di evitare «un'eccessiva proliferazione del contenzioso sanitario».
Quanto ai rimedi esperibili dalla parte interessata a far valere il difetto dei presupposti, diversi da quello sanitario, richiesti dalla legge per la concessione del beneficio previdenziale o assistenziale, si ribadisce - al pari di quanto già chiarito nelle statuizioni analizzate in precedenza e in conformità al tenore letterale dell'art. 445-bis c.p.c. comma 5 - che in assenza di contestazioni le conclusioni del Ctu divengono intangibili e il successivo decreto di omologa non è impugnabile, nemmeno con ricorso straordinario ex art. 111 Cost..

Qualora all'eccezione dell'Inps di carenza di un requisito non sanitario faccia comunque seguito l'accertamento medico legale, incombe pertanto sulla parte interessata (l'Inps) l'onere di sollevare la relativa eccezione in sede di dichiarazione di dissenso alle conclusioni del Ctu - che possono investire quindi non solo l'elaborato peritale ma anche gli aspetti preliminari che sono stati oggetto di verifica giudiziale - senza che sia possibile sollevare la questione in sede di legittimità.

Osservazioni

L'ordinanza in esame, ponendosi sul solco già tracciato dalla sentenza n. 8878/2015 e superando le potenziali storture cui avrebbe condotto la tesi dell'ammissibilità del mero accertamento sanitario, pur se non sostenuto da alcun interesse ad agire né da alcuna prospettiva di utilizzabilità processuale – sia in termini di ingiusto aggravio di spese in capo all'ente previdenziale in caso di soccombenza, sia in termini di proliferazione incontrollabile del contenzioso - consente di individuare dei punti fermi nello svolgimento del giudizio di ATPO.

È possibile affermare che per un corretto accertamento del requisito sanitario necessario per il conseguimento di uno dei benefici indicati dall'art. 445-bis c.p.c. occorre in primo luogo lo svolgimento di una preventiva, ancorché meramente sommaria, attività istruttoria da parte del giudice, tesa ad acclarare oltre la propria competenza, anche la ricorrenza di una delle ipotesi per le quali è previsto il ricorso alla procedura prevista dall'art. 445-bis c.p.c., nonché la presentazione della domanda amministrativa, l'eventuale presentazione del ricorso amministrativo, la tempestività del ricorso giudiziario.

Ed allora incombe sull'istante l'onere di allegare e documentare fin dal deposito del ricorso, nonché provare (in presenza di contestazioni) la sussistenza dei presupposti (amministrativi, economici, anagrafici etc.) diversi dall'accertando requisito sanitario; del pari, grava sull'ente previdenziale l'onere di contestare tempestivamente tali allegazioni. In un ottica di leale collaborazione, è buona prassi adottata da numerosi tribunali quella di disporre un rinvio della causa, onde consentire alle parti, in specie all'ente previdenziale, di compiere i dovuti accertamenti in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti di legge richiesti per la prestazione oggetto del giudizio.

Solo compiute suddette verifiche preliminari, il giudice dovrà conferire l'incarico al Ctu, e nel caso in cui permangano contestazioni in ordine alla effettiva sussistenza di tutti i requisiti richiesti per la prestazione per cui è causa esse potranno (e dovranno) dunque trovare spazio in sede di dichiarazione di dissenso, onde evitare l'emissione del decreto di omologa e la intangibilità dell'accertamento così compiuto.

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