Alle Sezioni Unite la questione del frazionamento e dell'abuso del processo
16 Dicembre 2016
Massima
Non è possibile ricondurre ad unitarietà i molteplici crediti retributivi o risarcitori derivanti da un unico rapporto di lavoro in ragione del solo fatto che il rapporto stesso sia ormai concluso; né all'ipotesi può applicarsi la pronuncia delle Sezioni Unite n. 23726/2007 sul divieto di frazionamento atteso che la stessa attiene alla diversa ipotesi di frazionamento del credito scaturente da un unico rapporto obbligatorio. Al di fuori della possibilità di sanzionare con l'onere delle spese l'inutile moltiplicazione delle azioni giudiziali, non esistono altri strumenti per far derivare dalla violazione del dovere di lealtà e probità configurabile nella proposizione di una pluralità di domande a rapporto ormai cessato, per fatti genetici anteriori o che trovano titolo nella cessazione medesima, ancorché nella consapevolezza del creditore della loro sussistenza, la sanzione dell'improponibilità delle domande successive alla prima. Per tali ragioni il Collegio, non ritenendo di poter condividere l'orientamento di altre sentenze della Sezione Lavoro emesse in controversie analoghe, e al fine di prevenire il possibile contrasto giurisprudenziale, ritiene di dover rimettere il ricorso al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della Corte. Il caso
Con ordinanza interlocutoria del 25 gennaio 2016, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha rimesso il ricorso davanti ad essa proposto e relativo ad una fattispecie di “frazionamento del credito” al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. La questione è relativa al se, una volta cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore debba avanzare con un'unica azione tutte le pretese creditorie che nascono dalla cessazione del rapporto di lavoro e se, viceversa, il frazionamento di esse in giudizi diversi costituisca un abuso sanzionabile con l'improponibilità delle successive domande. Nella fattispecie, in particolare, un ex dipendente di una nota società automobilistica aveva chiesto con ricorso al Giudice del lavoro alla ex datrice la condanna al pagamento di una somma a titolo di ricalcolo dell'indennità premio di fedeltà, con inclusione dei compensi percepiti in modo continuativo; il giudice del lavoro aveva dichiarato l'improponibilità della domanda ritenendo essa preclusa dall'avere il ricorrente agito in precedenza chiedendo la rideterminazione del TFR per incidenza nella relativa base di calcolo delle voci retributive percepite in via continuativa. Secondo il Tribunale le due voci, poiché derivanti dall'unica causa, ossia la cessazione dello stesso rapporto di lavoro, dovevano essere azionate congiuntamente e non successivamente. Proposto appello, la Corte d'Appello riteneva, diversamente dal Tribunale, che dalla cessazione del rapporto di lavoro non viene a costituirsi in capo al lavoratore un credito “unico” costituito dalla sommatoria delle voci da esso derivanti, sicché il divieto di frazionamento non può trovare applicazione allorché le azioni sono diverse perché sono diversi i titoli delle stesse oltre che i relativi presupposti. La società automobilistica proponeva ricorso in cassazione richiamando i principi espressi da Cass., Sez. Un., n. 23726/2007 ed evidenziando che poiché entrambe le domande azionate in processi diversi trovavano titolo nella cessazione del rapporto di lavoro, esse erano in contrasto con il divieto di frazionamento del credito per abuso del processo. La pronuncia fa riferimento ad altre, tutte citate in motivazione; in una prima sentenza il secondo giudice, adito per il pagamento del premio di risultato nei confronti dell'ex datore di lavoro, dichiarava l'improponibilità della domanda alla luce delle Sezioni Unite n. 23726/2007 per aver il ricorrente indebitamente frazionato il credito dipendente dallo stesso rapporto obbligatorio poiché con ricorso depositato in precedenza presso lo stesso giudice aveva chiesto il calcolo dell'incidenza sul TFR di alcune voci retributive percepite in via continuativa, sicché, a parere del Giudice, il ricorso relativo al premio di risultato poteva essere azionato con il primo procedimento. La Corte conferma la decisione del giudice del merito affermando che la pronuncia delle Sezioni Unite sul frazionamento del credito (23726/2007) poteva ben applicarsi perché i crediti, azionati in due diversi processi, derivavano dallo stesso rapporto di lavoro, in quanto tale «fonte unitaria di obblighi e doveri per le parti». L'indebito frazionamento si applicherebbe pertanto anche nel caso di rapporto di lavoro subordinato perché produttivo sia di crediti di natura contrattuale che di natura legale unitariamente collegabili rispetto alla loro fonte genetica. Il riferimento è poi a Cass. civ., sez. lav., 10 maggio 2013, n. 11256, secondo cui dopo la cessazione del rapporto di lavoro, i diritti derivanti dal medesimo, devono essere azionati simultaneamente al fine di evitare una dannosa frammentazione dei processi e salvaguardare i principi di correttezza e buona fede contrattuale; a Cass. civ. n. 27064/2013 che, decidendo nello stesso senso, affermava che il fine del divieto di frazionamento sta nell'impedire l'utilizzo, per l'accesso alla tutela giurisdizionale, di “metodi divenuti incompatibili con valori avvertiti come preminenti ai fini di un efficace ed equo funzionamento del servizio della giustizia”. Infine l'ordinanza fa riferimento a Cass. civ., sez. I, 17 aprile 2013 n. 9317 secondo cui in materia di insinuazione al passivo di crediti derivanti da un unico rapporto di lavoro subordinato, il principio di infrazionabilità del credito determina l'inammissibilità della domanda frazionata solamente nel caso in cui il rapporto si sia concluso, con conseguente definizione delle rispettive posizioni di debito e credito, ed il creditore abbia dichiarato, nonostante l'unitaria contezza delle proprie spettanze, di voler agire soltanto per una parte di esse, dovendosi, per contro, ritenere ammissibili una pluralità di domande, ove il creditore non abbia effettuato, senza essere in colpa, una considerazione unitaria di distinte voci di credito, ciascuna con autonomi elementi costitutivi, sia pure nella cornice di un unitario rapporto, restando esclusa, in tal caso, una connotazione di abusività della condotta. La questione
Nell'ordinanza di rimessione si rileva come la lettura offerta dalle Sezioni Unite n. 23726/2007 non può sic et simpliciter essere traslata al rapporto di lavoro essendo stata dettata in funzione del frazionamento di un rapporto obbligatorio unico, mentre dal rapporto di lavoro discendono una pluralità di obbligazioni, ognuna avente una propria fonte specifica, di natura legale o contrattuale e relativa ad istituti economici diversi, con conseguente inapplicabilità della regola del divieto di frazionamento. Il principio è condivisibile perché consente di rimeditare l'intera teoria sul divieto di frazionamento creata a partire dalle Sezioni Unite del 2007 con la sentenza nr. 23726. Infatti l'ordinanza di rimessione ricorda in primo luogo che nel nostro ordinamento il giudice non ha il potere di non liquet e, pertanto, non è ad esso riconosciuto il potere di filtrare eventuali giudizi proposti con finalità scorrette o abusive e, comunque, una eventuale sanzione delle stesse non può pervenire addirittura a ritenere consumata l'azione, pena l'evidente incompatibilità costituzionale con il diritto di agire in giudizio. Né può ritenersi che l'esercizio mero dell'azione possa di per sé integrare fattispecie di abuso del diritto o di esercizio dello stesso in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela del diritto sostanziale. Se pure, in sostanza, va sanzionata la inutile moltiplicazione delle azioni a tutela di diversi diritti, anche alla luce dei principi del giusto processo, non è necessario pervenire alla criticabile conseguenza della consumazione dell'azione ma potrebbe conseguirsi miglior risultato processuale tramite una corretta ripartizione dell'onere delle spese, come se unico fosse stato il procedimento fin dall'inizio. In questo senso l'ordinanza di rimessione richiama Cass. civ., sez. I, 3 maggio 2010 n. 10634 nonché Cass. civ., sez. I, 3 maggio 2010 n. 9962. Pur nella sua generale coerenza, non si comprende perché la Corte, anche se ritiene giustamente che non vi sia alcuna possibilità di ricondurre ad unitarietà i molteplici crediti retributivi e risarcitori pur se derivanti da un unico rapporto di lavoro in ragione della sola sua cessazione, richiami nuovamente l'abuso del processo con riferimento alla del tutto legittima moltiplicazione delle azioni giudiziarie a tutela di diritti connessi. Le soluzioni giuridiche
La Corte pertanto prende posizione sul profilo del frazionamento processuale di una unità sostanziale negandone l'esistenza nella fattispecie; ed in effetti si può parlare a nostro parere di frazionamento solo quando vi sia tra le cause, siano esse proposte in via contestuale o in via consequenziale, una identità di elementi soggettivi e oggettivi, essendo in esse uguali i soggetti, la causa petendi, il petitum mediato, differenziandosi le stesse soltanto rispetto al petitum immediato. In altri casi di parcellizzazione non si può parlare e basti in proposito ricordare le alterne vicende relative al frazionamento delle singole voci di danno derivanti da un unico fatto illecito, tema che lo stesso Allorio aveva risolto evidenziando come la modifica della causa petendi posta a base dell'azione rende senz'altro ammissibile il frazionamento delle voci di danno, alla stregua dei principi generali di ordine processuale. Ed ecco che il problema del frazionamento del credito unitario si trasforma in un problema diverso, quello della ammissibilità di molteplici azioni derivanti da diverse causae petendi, diversi regimi e diversi presupposti anche fattuali. Questa moltiplicazione delle azioni diventa di per sé abuso del processo, non più il frazionamento del credito. Questa conclusione non può convincere; al di là della difficile categorizzazione della figura dell'abuso del processo, non può in alcun caso ritenersi esistente un problema di abuso processuale quando la parte agisca in diversi processi a tutela di diritti connessi, così come l'ordinamento senz'altro le consente. Osservazioni
Infatti il problema della sistemazione teorica del concetto di abuso del processo si è collegato con difficoltà insite nell'individuarne le sanzioni, andandosi da chi lo collega alla responsabilità per fatto illecito, a chi si fonda sull'uso dell'art. 92 c.p.c., a chi fa riferimento all'ultimo comma dell'art. 96 c.p.c. in chiave sanzionatoria, ossia come possibilità per il giudice, da esercitare discrezionalmente, di condannare al pagamento di una pena pecuniaria così sanzionando l'abuso del processo, a chi, infine, adopera la norma dell'art. 96 c.p.c. come strumento per risarcire i danni, anche non esclusivamente patrimoniali, che una parte subisca per effetto della condotta dilatoria non giustificata dell'altra parte. Nell'ambito di una interpretazione così ondivaga le Sezioni Unite della Cassazione con la pronuncia del 2007 hanno finito per consacrare, come funzionale alla nozione accolta di abuso del processo, proprio la fattispecie del frazionamento del credito, trasformandolo in una delle ipotesi di abuso del processo, sanzionata per il tramite di una pronuncia di rigetto in rito. Sicché la parte, laddove la situazione giuridica soggettiva di cui è titolare sia unitaria, e la condanna riguardi obbligazioni di genere, se può attingere il risultato utile della condanna per il tramite di un processo, non può pervenirvi attraverso due o più ulteriori processi. La tesi del 2007 nel caso di frazionamento del credito unico e la sua configurabilità come abuso del processo, non può convincere se estesa oltre tale ipotesi-limite perché ha l'effetto di degradare il diritto di agire in giudizio a semplice estensione del diritto sostanziale. Ci si augura, pertanto, che nell'ottica di un generale ripensamento, le Sezioni Unite, oltre ad accogliere l'interpretazione fornita dall'ordinanza in commento, si muovano nel senso, senz'altro opportuno, di una revisione del precedente del 2007 che confini il divieto di frazionamento nelle ipotesi, effettive, in cui non sussiste un interesse lecito ed apprezzabile alla suddivisione delle azioni; e che sposino una teoria restrittiva dell'abuso del processo sanzionando le sole condotte concretamente abusive perché non sorrette da alcun ragionevole interesse al frazionamento della domanda; non già con la impraticabile soluzione dell'improponibilità della domanda successiva ma utilizzando adeguatamente i meccanismi di ripartizione delle spese del codice di rito.
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