Revocazione delle sentenze della Corte per errore di fatto

16 Giugno 2017

L'errore di fatto previsto dall'art. 395, numero 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa.
Massima

L'errore di fatto previsto dall'art. 395, numero 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa; esso si configura quindi come una falsa percezione della realtà, come una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività.

Quando il promissario acquirente abbia proposto e trascritto prima del fallimento la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita, il sopravvenuto fallimento del promittente venditore non priva il curatore della facoltà di scelta riconosciutagli dall'art. 72 l. fall., ma l'eventuale scelta compiuta in tal senso non è opponibile al promissario acquirente che ottenga la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., in quanto gli effetti di tale sentenza retroagiscono al momento della trascrizione della domanda.

Il caso

Con ordinanza la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto contro una sentenza della Corte d'Appello di Roma che aveva ribadito il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di compravendita stipulato dal ricorrente con un soggetto successivamente dichiarato fallito.

La decisione della Corte era stata presa nell'erroneo presupposto che la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto non fosse stata trascritta, ma la nota di trascrizione era in realtà stata depositata nel fascicolo di primo grado, come risultava dalla stessa sentenza del Tribunale che, rigettando le domande attoree, aveva ordinato la cancellazione della trascrizione.

La Corte di cassazione riconosce il proprio errore di fatto revocatorio, decidendo in conformità ai suoi precedenti ma ravvisa altresì l'esistenza di un errore di diritto nella sentenza della Corte d'Appello impugnata.

La questione

Quanto alla questione sottesa alla prima massima bisogna dire che gli artt. 391-bis e 391-ter prevedono oltre all'opposizione di terzo due ipotesi di revocazione di sentenze della Cassazione per errore di fatto ex art. 395, n. 4 e per vizi ex art. 395, nn. 1, 2, 3, 6. Nel caso dell'errore di fatto può trattarsi di qualsiasi provvedimento, sentenza o ordinanza ex art. 375, comma 1 nn. 4 e 5, pronunziata dalla Cassazione.

L'opposizione di terzo sembra consentita in entrambi i casi previsti dall'art. 404, commi 1 e 2.

Ex art. 391-ter sono impugnabili solo i provvedimenti con cui la Corte decide la causa nel merito, cassando la sentenza impugnata in sede di legittimità.

Per quanto riguarda l'errore revocatorio bisogna chiarire quanto segue: a prima vista la Corte di cassazione potrebbe sembrare esente da detto errore. Sappiamo che riguardo ai vizi in procedendo la Corte è anche giudice del fatto. In tema di competenza e giurisdizione la Corte è giudice del fatto esterno al processo perché può accertare e valutare, ad es. l'esistenza di una clausola di deroga della competenza. Solo in presenza di un fatto accertato direttamente e autonomamente la Corte può incorrere in quella svista nella percezione in cui consiste l'errore di fatto revocatorio.

Questo errore è denunziabile anche con riguardo alle sentenze e alle ordinanze ex art. 375 n. 4 e 5 della Corte, purché riguardi, sempre, un fatto accertato autonomamente e direttamente dalla Cassazione. La pendenza dei termini per la revocazione della sentenza di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con il ricorso per cassazione rigettato, nell'ipotesi in cui revocanda sia la sentenza di rigetto della Suprema Corte. Nella pendenza della revocazione ex art. 391-bis non è consentita inibitoria, né è sospeso il termine per riassumere la causa in sede di rinvio, nella diversa ipotesi in cui la Corte abbia cassato con rinvio la decisione impugnata per cassazione.

La norma dell'art. 391-bis c.p.c. è stata recentemente incisa dalla riforma operata con legge 25 ottobre 2016 n. 197 che, nell'ottica della generalizzazione del rito camerale, ha modificato anche la previsione dell'art. 391-bis c.p.c. Attualmente, ai sensi della novellazione, se la sentenza o l'ordinanza pronunciata dalla Corte di Cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ex art. 287 c.p.c., oppure da errore di fatto revocatorio, la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ex art. 365 e ss. Mentre nella precedente formulazione la correzione o la revocazione potevano essere chieste solo entro il termine perentorio di 60 gg. dalla notificazione della sentenza o di un anno dalla pubblicazione, adesso la correzione può essere chiesta e rilevata d'ufficio dalla Suprema Corte in qualsiasi tempo, mentre la revocazione può essere richiesta entro il termine perentorio di 60 gg. dalla notificazione o 6 mesi dalla pubblicazione del provvedimento.

La Corte provvede sulla correzione nell'osservanza delle disposizioni di cui all'art. 380-bis c.p.c. primo e secondo comma, ossia nell'osservanza delle norme dettate sul procedimento per la decisione in camera di consiglio.

Sul ricorso per revocazione, anche nel caso previsto dall'art. 391-ter c.p.c., la Corte pronuncia sempre osservando le norme dettate sul procedimento per la decisione in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis, primo e secondo comma, c.p.c., laddove ritenga l'inammissibilità del ricorso, altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice.

Il procedimento per la decisione sia sulla revocazione che sulla correzione di errori materiali delle pronunce della Corte di Cassazione è identico; mentre prima della recente novellazione operata con legge 25 settembre 2016 n. 197, il ricorso doveva ssere proposto in entrambi i casi a norma dell'art. 365 c.p.c. e notificato nel termine perentorio di 60 gg. dalla notificazione della sentenza o di un anno dalla pubblicazione, adesso si è opportunamente introdotta una disciplina differenziata; in particolare ai sensi del primo comma dell'art. 391-bis novellato, la correzione può essere sempre chiesta e la Corte può rilevarla d'ufficio in qualunque tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di 60 gg. dalla notificazione del provvedimento e di 6 mesi dalla pubblicazione dello stesso.

In entrambi i casi il procedimento segue la disciplina delle disposizioni dell'art. 380-bis, primo e secondo comma, c.p.c. con una ulteriore differenza; infatti nel ricorso per revocazione qualora la Corte ne ritenga l'inammissibilità decide secondo le disposizioni del procedimento in camera di consiglio, altrimenti rinvia alla pubblica udienza della sezione semplice.

Quanto alla seconda massima la questione è relativa al rapporto tra la domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare di compravendita che sia stata trascritta prima del fallimento. Ci si domanda, al riguardo, se il sopravvenuto fallimento del promittente venditore privi il curatore della facoltà di scelta riconosciutagli dall'art. 72 legge fall. e se la relativa scelta sia opponibile al promissario acquirente che ottenga la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c..

Le soluzioni giuridiche

Il principio di diritto esposto dalla Corte nella prima massima può dirsi senz'altro pacifico. In senso analogo si vedano Cass., sez. I, 19 giugno 2007, nr. 14267, secondo cui l'errore di fatto previsto dall'art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste nell'affermazione o supposizione dell'esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa; esso si configura quindi in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l'attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; ne consegue che non è configurabile l'errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (conforme, richiamata in motivazione, Cass., sez. VI, 24 gennaio 2011, n. 1555).

Quanto alla seconda massima, il principio di diritto può dirsi pacifico; le sezioni unite hanno infatti affermato, con riferimento alla questione controversa, che la trascrizione, effettuata anteriormente alla data di deposito della sentenza dichiarativa di fallimento, della domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre assume rilievo decisivo ai fini dell'opponibilità ai terzi del trasferimento attuato con la pronuncia e trascrizione, a questo successiva, della sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso: (effetti che retroagiscono alla data della prima trascrizione. Tale sentenza, pertanto è opponibile alla massa dei creditori ed impedisce l'apprensione del bene da parte del curatore, che non può, quindi, avvalersi del potere di scioglimento accordatogli, in via generale, dall'art. 72 l. fall. (Cass., sez. un., 7 luglio 2004 n. 12505). Esse hanno precisato altresì che il curatore fallimentare del promittente venditore è legittimato a sciogliere il contratto ex art. 72 legge fall. anche qualora il promissario acquirente abbia trascritto la domanda ex art. 2932 c.c. in epoca antecedente rispetto all'iscrizione nel registro delle imprese della sentenza dichiarativa di fallimento. La successiva trascrizione della (eventuale) sentenza ex art. 2932 c.c., tuttavia, retroagendo alla data di trascrizione della domanda, rende inopponibile al promissario acquirente la scelta effettuata dal curatore (Cass., Sez. Un., 16 settembre 2015, n. 18131).

Osservazioni

Entrambi i principi di cui alle due massime sono pacifici e rappresentano un orientamento costante della Suprema Corte. Specialmente quanto alla prima massima è evidente che l'errore di fatto revocatorio corrisponde esattamente alla ricostruzione giurisprudenziale effettuata con riferimento all'applicazione dell'art. 395 n. 4, ancor prima della sua estensione alle sentenze e ordinanze della Corte.