La proposta conciliativa del Giudice ex art. 185-bis c.p.c. può precedere la disposizione della mediazione?
19 Giugno 2017
Massima
La proposta conciliativa o transattiva, formulata dal Giudice ai sensi dell'art. 185-bisc.p.c., anche se rifiutata dalle parti, può costituire la base su cui il mediatore, successivamente adito su disposizione del medesimo Giudice, può esperire un autonomo tentativo di conciliazione. Il caso
In una controversia in tema di contratti finanziari, promossa da un cliente contro V.B. S.c.p.a. per l'acquisto di azioni e di obbligazioni da quest'ultima emesse in pretesa violazione degli obblighi di trasparenza e di informazione, la convenuta eccepiva, in linea pregiudiziale, l'improcedibilità dell'azione giudiziale, in ragione dell'omesso esperimento del tentativo di mediazione civile e commerciale, obbligatorio in subiecta materia ex art. 5-comma 1-bis, del D.Lgs. n. 28/2010. L'attore replicava che il procedimento conciliativo era stato già avviato, ma si era concluso infruttuosamente, non avendo la Banca partecipato al primo incontro, che, dopo esser stato originariamente fissato al giorno 6 aprile 2017, era stato anticipato al 5 aprile 2017; non veniva, però, offerta la prova che l'anticipazione dell'adunanza fosse stata comunicata alla parte invitata. La questione
L'ordinanza in disamina si contraddistingue per la decisione giudiziale di sottoporre alle parti una proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c. anteriormente alla disposizione della mediazione ex D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Le soluzioni giuridiche
Il Giudice, nell'accogliere tale eccezione pregiudiziale e dichiarando, per l'effetto, l'improcedibilità della domanda giudiziale:
Osservazioni
Ancorché ispirato dall'encomiabile aspirazione a valorizzare al massimo gli strumenti conciliativi (e, quindi, di deflazione del contenzioso) messi a disposizione dall'ordinamento processualcivilistico italiano, il provvedimento in esame merita una riflessione critica, sia per l'affermazione di opinabili principi di diritto, sia per la loro discutibile applicazione pratica.
a) Solleva perplessità, innanzitutto, la pretesa di addossare sic et simpliciter all'attore l'onere di dimostrare la trasmissione al convenuto dell'avviso di anticipazione della prima adunanza, nonché, in ipotesi di impossibilità, per esso attore, di produrre immediatamente la necessaria documentazione, di farne automaticamente discendere la declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale. Nella massima parte dei casi, infatti, l'istante non ha diretto accesso alle comunicazioni inviate dal mediatore e dagli organismi di mediazione alle parti invitate né, ancor meno, ai certificati di trasmissione e di consegna di tali missive. Nulla vieta, ovviamente, che l'attore domandi tale carteggio al mediatore e/o all'organismo di mediazione, ma è altrettanto vero che nessuna norma di diritto positivo impone a questi ultimi, quantomeno esplicitamente, di riscontrare positivamente tale richiesta; è significativo, a questo proposito, che tra i doveri del mediatore catalogati dall'art. 14, D.Lgs. n. 28/2010 non figura un obbligo generale di rispondere ad ogni interpellanza delle parti, né di permettere alle stesse di accedere ad ogni documento contenuto nel fascicolo del procedimento. È sì vero che l'istante può farsi parte diligente nel comunicare l'invitato la domanda di mediazione e la data del primo incontro, in forza di quanto disposto dall'art. 8, 1° comma, 2° periodo, D.Lgs. n. 28/2010; tuttavia, tale potere è espressione di una mera facoltà, peraltro da armonizzarsi con l'operato dell'organismo di mediazione, ma non certo di un onere e, tantomeno, di un onere condizionante la procedibilità della domanda giudiziale. Ciò non significa, ovviamente, che, nel caso di specie, il Tribunale di Verona avrebbe dovuto astenersi dal verificarsi la trasmissione alla convenuta dell'avviso di anticipazione del primo incontro; verosimilmente, però, sarebbe stato più prudente assegnare all'istante un termine per domandare all'organismo di mediazione la lettera in questione, con le annesse ricevute di spedizione e di consegna, ovvero, al limite, di convocare innanzi a sé il mediatore a chiarimenti sull'accaduto. In ogni caso, alla luce di tale precedente giurisprudenziale, peraltro proveniente da uno dei Giudici maggiormente sensibili alla materia della mediazione civile e, quindi, esplicante una certa forza persuasiva nei confronti degli altri uffici, parrebbe opportuno che l'istante provveda personalmente a comunicare all'invitato la data degli incontri, eventualmente rinnovando la lettera già trasmessa dall'organismo di mediazione, sì da scongiurare fraintendimenti tali da provocare la dilatazione dei tempi processuali. Si segnala, a riguardo, che molti Organismi di Mediazione, proprio per ovviare a tali problemi hanno indicato nel proprio Regolamento l'obbligo e/o la facoltà delle parti di farsi carico delle comunicazioni attinenti l'intero procedimento, fatta eccezione di quelle espressamente riservata dalla legge al Mediatore (ad es. la proposta) e/o al Responsabile dell'Organismo (ad es. le modifiche delle dichiarazioni di valore rese dalle parti).
b) In secondo luogo, non convince l'assunto per cui il giustificato motivo di assenza al procedimento di mediazione implicherebbe «un impedimento di fatto e non già di diritto all'intervento nel procedimento di mediazione». In verità, ipotetici impedimenti materiali parrebbero superabili mediante molteplici accorgimenti pratici come, ad esempio, il differimento concordato della data degli incontri, l'impiego della videoconferenza, la designazione di procuratori speciali ad opera della parte impossibilitata a partecipare alle adunanza, etc. Al contrario, le uniche motivazioni astrattamente idonee ad integrare i giustificati motivi di assenza paiono rinvenirsi proprio in ostacoli o anomalie di carattere giuridico, discendenti, in modo particolare, dall'incompetenza territoriale dell'adito organismo di mediazione, la pretermissione di un litisconsorte necessario, se indispensabile, non soltanto per l'emissione della sentenza, ma anche per il raggiungimento dell'accordo amichevole), il sospetto di difetto di legittimazione processuale del soggetto che sta in giudizio per conto della controparte. È plausibile reputare, però, che l'ordinanza in esame contenga un mero errore ostativo, intendendo il Giudice scaligero evidenziare che il procedimento di mediazione, se obbligatorio, possa eludersi soltanto in presenza di elementi di fatto (come, appunto, l'intervento di un falsus procurator o l'assenza di un necessario contraddittore) tali da escludere, in radice, la validità o l'utilità dell'accordo amichevole, ma non in ragione delle discordanti valutazioni dei litiganti in ordine alla fondatezza, in termini giuridici, delle domande ed eccezioni costituenti il thema decidendum.
c) Il Tribunale di Verona, poi, sembra aver ignorato che un procedimento di mediazione era già stato pacificamente instaurato e che, quindi, il primario dovere del Giudice era quello di consentire alle parti che esso potesse continuare e concludersi entro il termine di tre mesi, sancito dall'art. 6, 1° comma, D.Lgs. n. 28/2010. La situazione presentatasi al Giudicante, in altri termini, rientrava nell'ambito dell'art. 5, comma 1°-bis, 6° periodo, D.Lgs. n. 28/2010, che, per l'evenienza in cui, in occasione dell'udienza di prima comparizione e di trattazione, la procedura di mediazione sia già incominciata, ma non sia ancora esaurita, stabilisce che il Giudice debba fissare «la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6”. La ratio legis sottesa a tale previsione normativa risiede nella massima salvaguardia degli atti di mediazione già compiuti dalle parti e nel rispetto del diritto di questi ultimi al celere svolgimento del procedimento di mediazione, così come consacrato dall'art. 6, D.Lgs. n. 28/2010, anche laddove il suo esperimento costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La decisione resa dal Giudice veronese, di contro, non sembra riflettere pienamente tali norme e principi di diritto, nella misura in cui:
d) Oltre che in apparente distonia con la già pendente mediazione e, soprattutto, con il diritto dei litiganti alla ragionevole durata del procedimento, l'iniziativa conciliativa assunta dal Tribunale di Verona non sembra sorreggersi sui presupposti di cui all'art. 185-bis c.p.c., che permette al Giudice di formulare simili offerte, «avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto». Posto che a tale norma giuridica non può attribuirsi una funzione meramente esortativa, possedendo, invece, valore precettivo (al pari, del resto, di ogni previsione di diritto positivo), non è azzardato paventare che, nella vicenda in questione, difettassero le condizioni testé indicate, se è vero che:
e) Solleva dei dubbi anche il contenuto dell'ipotesi conciliativa predisposta dal Giudice con riferimento alle domande attinenti all'acquisto di azioni, corrispondente esattamente alla proposta transattiva indirizzata da V.B.S.c.p.a. all'intera platea degli azionisti, con la sola eccezione degli investitori istituzionali. Infatti se, per un verso, l'art. 185-bis c.p.c. sembra imporre al Giudice di commisurare l'offerta conciliativa agli elementi istruttori sino a quel momento acquisiti, tanto da configurarla come una sorta di anticipazione della decisione, piuttosto che alle iniziative transattive liberamente adottate da una o di entrambe le parti in fase stragiudiziale, per l'altro, l'esercizio, ad opera dell'attore, dell'azione risarcitoria presuppone logicamente il rifiuto di quanto la Banca ha proposto a tutti i clienti, tanto da escludere ragionevolmente che esso possa accogliere l'analogo suggerimento avanzato dal Giudice.
f) Infine, non è così scontato neppure che il mediatore, adito dalle parti successivamente all'eventuale rifiuto della proposta delineata dal Giudice ex art. 185-bis c.p.c., possa «assumere tale proposta come base per un autonomo tentativo di conciliazione». Non si dimentichi, infatti, che, mentre l'ipotesi transattiva formulata dal Giudice ex art. 185-bis c.p.c. si fonda, come già evidenziato, su una – pur incipiente – valutazione giuridica degli elementi ritualmente acquisiti, le proposte conciliative avanzate dal mediatore ex art. 14, 2° comma, lett. b), trovano, quale unico limite, il rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico e, dunque, si possono sorreggere unicamente su considerazioni di pura convenienza. In definitiva, nonostante risulti estremamente auspicabile l'introduzione, anche per mano di un'interpretazione creativa delle norme giuridiche già esistenti, di meccanismi di coordinamento fra la mediazione ex D.Lgs. n. 28/2010 e la fattispecie conciliativa ex art. 185-bis c.p.c., le determinazioni adottate dal Giudice veronese nell'ordinanza analizzata appaiono ragionevolmente criticabili con riferimento sia alla fase processuale in cui sono state assunte, sia alla loro idoneità a favorire la composizione della lite. |