La procura alle liti rilasciata all'estero (e quella rilasciata in Italia dallo straniero)
17 Ottobre 2016
Il rilascio all'estero della procura alle liti richiede specifiche formalità, dal momento che la sottoscrizione della procura alle liti non può in tal caso essere autenticata dal difensore italiano, giacché il potere di autenticazione, che discende dalla legge dello Stato e possiede un rilievo pubblicistico, non si estende oltre i limiti del territorio nazionale. È così consolidato orientamento della S.C. quello per cui la sottoscrizione della procura alle liti rilasciata all'estero dev'essere autenticata da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge dello Stato estero ad attribuirle pubblica fede: non può invece essere autenticata (all'estero) dal difensore italiano della parte, giacché tale speciale potere di autenticazione non si estende, come si diceva, oltre i limiti del territorio nazionale (Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 1996, n. 264; Cass. civ., 14 novembre 2008, n. 27282; Cass. civ., 13 marzo 2007, n. 5840; Cass. civ., 3 giugno 2003, n. 8867; Cass. civ., 2 giugno 1988, n. 3744; Cass. civ., 16 ottobre 1985, n. 5075). Dunque il conferimento all'estero della procura può avvenire esclusivamente per atto separato, sotto forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata da un pubblico ufficiale a ciò abilitato: secondo le regole che tra breve si esamineranno. Prima di approfondire il tema della procura rilasciata all'estero, è però opportuno soffermarsi su quello della procura rilasciata in Italia dallo straniero (o dall'italiano residente all'estero). Questi, naturalmente, ben possono conferire la procura speciale in calce o a margine trovandosi sul territorio nazionale: la loro presenza in Italia, in tal caso, è la sola condizione di validità della procura alle liti, proprio perché il rilascio all'estero è impedito dai limiti del potere di autenticazione del difensore. Ora, la regola secondo cui lo straniero o l'italiano residente all'estero possono conferire la procura alle liti, anche sotto forma di procura speciale in calce o a margine, qualora si trovino su territorio nazionale, dispiega effetti pratici anche sul tema della procura alle liti rilasciata all'estero. È ferma, infatti, l'opinione secondo cui, quando la certificazione della sottoscrizione in calce o a margine sia stata effettuata da un difensore esercente in Italia, il rilascio del mandato e l'autentica della sottoscrizione del mandante devono presumersi avvenuti nel territorio dello Stato, anche qualora il conferente risieda all'estero, in difetto di prova contraria da parte di chi ne contesti la validità (Cass. civ., 30 giugno 2016, n. 13482; Cass. civ., 18 febbraio 2014, n. 3823; Cass. civ., 13 marzo 2007, n. 5840; Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2007, n. 4634; Cass. civ., 25 luglio 2000, n. 9746; Cass. civ., sez. un., 16 novembre 1998, n. 11549): e, poiché le procure speciali in calce o a margine non recano normalmente, né devono contenere, l'indicazione del luogo di conferimento, nulla impedisce all'avvocato il quale non rifugga dall'andare per le spicce di certificare l'autenticità di sottoscrizioni apposte in calce a procure rilasciate all'estero e spedite per posta o per altra via al difensore. E però il rischio che si corre è forte (a parte eventuali profili deontologici ed assai più ipotetici profili penali), giacché la presunzione di rilascio nel territorio dello Stato può essere vinta da prova contraria. Chi ha interesse a fornire la prova contraria può difatti deferire alla controparte l'interrogatorio formale sulla circostanza dell'avvenuto rilascio della procura non in Italia e, in caso di mancata risposta, il giudice, tenuto conto di altri elementi di giudizio integrativi di segno negativo, può ritenere che sia stata fornita la prova contraria al rilascio in Italia della detta procura (Cass. civ., 13 gennaio 2011, n. 665). Di recente di è detto che la prova contraria può essere desunta da vari elementi (quali l'assenza di ogni indicazione del luogo e della data di rilascio della procura, la pacifica stabile residenza della parte in un altro paese o la mancata dimostrazione di un suo ingresso in Italia), nonché dal comportamento processuale della parte e, in particolare, dalla mancata risposta all'interrogatorio formale (Cass. civ., 30 giugno 2016, n. 13482). Insomma, la presunzione rischia di cadere, anche se la cosa non sembra facile. Quando, invece, consti il rilascio della procura all'estero, la regola da applicarsi, secondo la S.C., si riassume in ciò, che il rilascio della procura alla lite, che conferisce la rappresentanza tecnica in giudizio o ius postulandi, è soggetto, con i limiti che vedremo, alla legge italiana (Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 1996, n. 264): il che comporta molteplici importanti conseguenze. Tale principio trae origine dalla formulazione dell'art. 27 disp. prel. c.c., il quale stabiliva che: «La competenza e la forma del processo sono regolate dalla legge del luogo in cui il processo si svolge». La materia è stata in seguito regolata dall'art. 12 della legge 31 maggio 1995, n. 218, il quali parimenti dispone che: «Il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana». Dal principio di territorialità del diritto processuale discende che lo svolgimento del processo in Italia è regolato per tutto il suo corso dalla lex fori (Cass. civ., 22 maggio 2008, n. 13228; Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12309; Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10312). Anche la procura alle liti, su cui in definitiva si fonda lo svolgimento dell'attività processuale, è così sottoposta, per quanto attiene ai suoi requisiti di forma e sostanza, alla menzionata disciplina. Posta tale premessa, l'opinione del tutto prevalente in dottrina, è che il principio di territorialità del diritto processuale non sia intaccato qualora la procura alle liti sia stata conferita per atto rogato da un notaio di un Paese straniero il quale abbia operato in conformità alla legge di quel Paese (Ballarino, 713; Mazza, 753; Carfagnini, 487; Areniello, 17; Corongiu, 92). Quest'ultima è la soluzione accolta, entro certi limiti, dalla giurisprudenza. Afferma la S.C. che la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all'estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, laddove consente l'utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia però al diritto sostanziale (Cass. civ., 4 novembre 2015, n. 22559; Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12309; Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10312; Cass. civ., 29 aprile 2005, n. 8933; Cass. civ., 12 luglio 2004, n. 12821; Cass. civ., 17 settembre 2002, n. 13578; Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 1996 n. 264): in tali ipotesi la validità del mandato deve essere quindi riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci, ossia della legge del luogo in cui la procura è rilasciata. Il principio della necessaria equivalenza della lex loci alla lex fori
Ciò, peraltro, richiede secondo la S.C. che l'atto redatto all'estero sia, comunque, equivalente nella forma e nell'efficacia a quello previsto dalla legge processuale italiana. È dunque in particolare indispensabile che dal tenore della procura siano desumibili gli elementi tipici dell'autenticazione, e cioè l'accertamento della identità del sottoscrittore e l'apposizione della firma in presenza del pubblico ufficiale (Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12309, ha confermato la sentenza del giudice del merito che aveva ritenuto priva di valida autenticazione la procura alle liti rilasciata in Svizzera, recante il solo visto (“vu”) del notaio per la legalizzazione; Cass. civ., 29 aprile 2005, n. 8933; Cass. civ., 12 luglio 2004, n. 12821). Può dirsi, cioè, in breve, che la procura rilasciata all'estero da un pubblico ufficiale a ciò abilitato deve essere non soltanto conforme alla legge del luogo, ma altresì soddisfare i requisiti necessari secondo la legge nazionale (v. già Cass. civ., sez. un., 15 gennaio 1996, n. 264, che a quanto risulta ha inaugurato l'indirizzo). Riassumendo, la S.C. afferma, per un verso, che la procura alle liti è atto processuale come tale sottoposto alla lex fori e, per altro verso, che la lex fori rinvia al diritto sostanziale laddove impiega le nozioni di atto pubblico e di scrittura privata autenticata, riguardo alle quali occorrerebbe avere riguardo alla lex loci nei soli limiti della compatibilità.
Le critiche della dottrina a tale principio
Questa soluzione ha destato le critiche di parte della dottrina, la quale ha evidenziato come essa, se portata alle sue logiche conseguenze, condurrebbe a negare validità a procure rilasciate (validamente secondo la lex loci) in Francia, come in Belgio e nel Canton Ticino, ovvero nei Paesi di common law. Ed infatti «la certification de signatures francese è un istituto sicuramente atipico, come lo è anche il suo corrispettivo belga. Ma altrettanto atipica è, ad esempio, l'autentica della sottoscrizione prevista dall'art. 87 della legge notarile del Canton Ticino, laddove prevede (secondo comma) che il notaio possa accertarsi per telefono, dal sottoscrivente, persona a lui conosciuta, che quest'ultimo ha apposto la firma o il segno. Che ne sarebbe, secondo l'orientamento espresso ... di una procura alle liti redatta in tale forma? E di tutte le procure alle liti provenienti da giurisdizioni di common law, nelle quali atti pubblici e autentiche non possono corrispondere alle nostre forme, anche per la mancanza del concetto stesso di pubblica fede? Dovremmo forse interrompere ogni rapporto con altre giurisdizioni perché le nostre forme (atto pubblico ed autentica) non trovano esatto corrispettivo in altri ordinamenti?» (Calò, 235). Qualcosa del genere, in effetti, avviene talora nella pratica, come dimostrano alcuni riscontri giurisprudenziali (Cass. civ., 25 maggio 2007, n. 12309, riguardo alla Svizzera, Cass. civ., 29 aprile 2005, n. 8933, riguardo alla Francia).
Qualche autore ha dunque suggerito di costruire diversamente il ragionamento, osservando che, se la procura alle liti, nella sua peculiarità, non è propriamente un atto processuale, almeno fintanto che non venga prodotta in giudizio (v. Cass. civ., 7 novembre 1989, n. 4653), ovvero è un atto processuale del tutto sui generis, occorrerebbe individuare la disciplina applicabile, secondo le regole internazional-processualistiche, attraverso l'art. 60 della l. 31 maggio 1995, n. 218, il cui ultimo inciso del comma 2 richiama la legge dello Stato in cui l'atto è posto in essere (Corongiu, 95). La soluzione adottata dalla giurisprudenza
La soluzione della S.C. non si cimenta con la questione considerata in astratto e, in altri termini, conferma che, quando si applica la lex loci ai fini dello scrutinio di validità della procura alle liti, l'applicazione va fatta nei limiti della compatibilità, ma sposta la questione sul piano della prova di detta compatibilità, affermando, in linea con precedenti decisioni ivi richiamate (v. già Cass. civ., sez. un., 26 giugno 2001 n. 8744), che l'accertamento della sussistenza dei requisiti medesimi può essere effettuato dal Giudice italiano mediante il ricorso a un ragionamento di carattere presuntivo, specialmente allorché il mandato alle liti sia rilasciato mediante scrittura privata autenticata dal Notaio straniero o da un altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato (Cass. civ., 7 maggio 2014, n. 9862). Alla procura rilasciata all'estero non è sufficiente un'autenticazione operata dal pubblico ufficiale dello Stato estero avente analogo contenuto di quella operata nel territorio nazionale. Sulla materia va richiamato il disposto dell'art. 17 l. 4 gennaio 1968, n. 15, recante norme sulla documentazione amministrativa e sulla legalizzazione e autenticazione di firme, disposizione confluita nell'art. 33 d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa. Tale disposizione, sotto la rubrica «Legalizzazione di firme di atti da e per l'estero», stabilisce al secondo comma che: «Le firme sugli atti e documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero … Agli atti e documenti indicati nel comma precedente, redatti in lingua straniera, deve essere allegata una traduzione in lingua italiana certificata conforme al testo straniero dalla competente rappresentanza diplomatica o consolare, ovvero da un traduttore ufficiale … Sono fatte salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione e della traduzione stabilite da leggi o da accordi internazionali». Legalizzazione ed autenticazione
Bisogna a questo punto introdurre la distinzione tra i due diversi profili, entrambi necessari in caso di procura rilasciata all'estero, dell'autenticazione e della legalizzazione. L'autenticazione di una firma trova il suo referente normativo nell'art. 2703 c.c., e consiste «nella attestazione, da parte di un pubblico ufficiale, che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive». Scopo della norma è attribuire certezza legale alla provenienza della sottoscrizione dalla persona che appare essere autrice della medesima (Tommaseo, 172). La nozione di legalizzazione, invece, ha contenuto diverso e più ampio, come si desume dalla definizione di essa fornita dall'art. 15 della citata l. 4 gennaio 1968, n. 15, confluito nel già menzionato testo unico, ove è chiarito che: «La legalizzazione di firme è l'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonché della autenticità della firma stessa» (Valentini, 703). Nel caso della procura, dunque, l'autenticazione ad opera del pubblico ufficiale a ciò abilitato nello Stato estero svolge la medesima funzione dell'istituto nel quadro di applicazione dell'art. 83 c.p.c., mentre la legalizzazione è indispensabile al fine di far constare che colui il quale ha proceduto alla autenticazione è effettivamente — sia sotto il profilo dell'identità che dei poteri — il pubblico ufficiale che appare avervi provveduto. In mancanza della legalizzazione l'atto è di per sé pienamente valido, ma nell'ambito territoriale dello Stato di provenienza. Viceversa, esso è inefficace in Italia fintanto che la legalizzazione non abbia luogo. Né, d'altro canto, la legalizzazione può supplire, date le diverse sfere di operatività degli istituti, alla mancata autenticazione. Per questo è inefficace in Italia una procura alla lite rilasciata con scrittura privata priva di autenticazione, mentre il requisito non può ritenersi adempiuto in conseguenza della successiva legalizzazione dell'atto, in quanto questa consiste soltanto nell'attestazione dell'autenticità e della provenienza di una firma, apposta da un pubblico ufficiale o funzionario o da un esercente un servizio pubblico, su un atto dallo stesso formato, mentre l'autenticazione riguarda l'attestazione in ordine alla firma di un soggetto che, previa dimostrazione della propria identità, ha sottoscritto in presenza del pubblico ufficiale (Cass. civ., 15 gennaio 1996 n. 264). In applicazione dei principi così riassunti è stato affermato che il rispetto della lex fori italiana, in tema di scrittura privata autenticata all'estero, richiede che dall'autenticazione sia chiaramente desumibile che la sottoscrizione sia stata apposta alla presenza del notaio e che questi abbia accertato l'identità del sottoscrittore, mentre è irrilevante che l'autenticazione non sia intervenuta contestualmente alla sottoscrizione ma successivamente (Cass. civ., 22 maggio 2008, n. 13228; Cass. civ., sez. un., 5 maggio 2006, n. 10312), con l'ulteriore conseguenza che la procura è invalida qualora il notaio non abbia attestato che la sottoscrizione è stata apposta alla sua presenza (Cass. civ., 17 settembre 2002 n. 13578). La traduzione
Circa la necessità di una traduzione in lingua italiana, è stato affermato che l'applicabilità della legge processuale italiana alla procura alle liti rilasciata in uno Stato straniero che debba essere utilizzata nello Stato italiano, per effetto del disposto dell'art. 12 della l. n. 218 del 1995, comporta la necessità che la procura sia tradotta nella lingua italiana, mentre non è necessario che tale traduzione esista al momento della costituzione in giudizio della parte, posto che la procura alle liti deve considerarsi come un atto preparatorio del processo e non già un atto processuale in senso proprio, per cui riguardo ad essa non trova applicazione l'art. 122, comma 1, c.p.c., che prescrive l'uso della lingua italiana e che si riferisce ai soli atti processuali in senso proprio, ma l'art. 123 c.p.c., che prevede il potere-dovere del giudice di disporre la traduzione attraverso un'interprete dei documenti relativi al processo redatti in lingua straniera. Ciò con la precisazione che la nomina dell'interprete è superflua ove sia depositata in giudizio una traduzione asseverata non contestata dalla controparte (Trib. Verona, 3 marzo 2004, Giur. merito, 2004, 2202). Altre volte la mancata traduzione del documento, redatto in lingua straniera, dal quale si assuma derivante la legittimazione del difensore, è stata esclusa dal novero delle nullità assolute ed insanabili previste dalla legge, ed inquadrata piuttosto tra le nullità relative suscettibili di sanatoria ai sensi dell'art. 157 c.p.c., con la conseguenza che, essa non può essere opposta dalla parte che per tutto il corso del giudizio non abbia contrastato la legittimazione del difensore, giacché, ai sensi dell'art. 157, comma 3, tale condotta esprime rinuncia tacita all'eccezione (Cass. civ., 01 agosto 2002, n. 11434). La traduzione, insomma, sembrerebbe atteggiarsi, abbastanza comprensibilmente, quale requisito di serie B. Di recente, però, la S.C., in un sussulto di formalismo non commendevole, tanto più che a quanto risulta l'invalidità della procura non era stata neanche eccepita, ha affermato che la procura speciale alle liti rilasciata all'estero, sia pur esente dall'onere di legalizzazione da parte dell'autorità consolare italiana, nonché dalla cd. apostille, in conformità alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, ovvero ad apposita convenzione bilaterale, è nulla, agli effetti dell'art 12 della legge 31 maggio 1995, n. 218, relativo alla legge regolatrice del processo, ove non sia allegata la traduzione — addirittura — dell'attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l'attestazione che la firma sia stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l'identità, vigendo pure per gli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (Cass. civ., 29 maggio 2015, n. 11165). E quindi anche a quest'aspetto gli avvocati devono prestare attenzione. Si è posta, altresì, la questione della necessità di deposito presso l'archivio notarile della procura rilasciata all'estero mediante atto pubblico notarile: questione che è stata sollevata anche con riguardo al caso che la procura, in ossequio alla Convenzione dell'Aja di cui si dirà tra breve, sia corredata dall'apostille. Secondo alcuni, infatti, una volta considerata la procura alle liti come atto negoziale, si dovrebbe necessariamente ammettere che, ove questa sia conferita con atto pubblico di un notaio straniero, tale atto dovrebbe essere depositato, prima del suo uso in Italia, presso il relativo Archivio notarile in ossequio all'art. 106, n. 4 l. 16 febbraio 1913, n. 89, ossia della legge notarile), al fine di consentire un controllo di legittimità sostanziale dell'atto estero (Trib. Rimini 27 giugno 1983, Giur. it., 1984, I, 2, 241; Trib. Rimini 31 ottobre 1983, Giur. it., I, 2, 1121). Ma — ha affermato la S.C. — il deposito previsto dalla legge notarile è richiesto “soltanto quando la produzione dell'atto si renda necessaria ai fini della registrazione e della trascrizione di atti notarili diretti a farne valere gli effetti nei confronti dei terzi, non anche quando si tratta di conferimento di poteri da far valere davanti all'autorità giudiziaria, essendo il giudice, in tal caso, preposto a vagliarne la non contrarietà all'ordine pubblico italiano” (Cass. civ., 8 maggio 1995, n. 5021; Cass. civ., 21 febbraio 1996, n. 1340; Cass. civ., 14 febbraio 2000, n. 1615). Convenzioni internazionali
Tutto quanto si è detto in tema di autenticazione e legalizzazione della procura rilasciata all'estero non trova applicazione, però, ogni qual volta — secondo un'ottica espressamente contemplata dal citato art. 17 l. 4 gennaio 1968, n. 15, il quale, nel disciplinare la legalizzazione, fa salvo quanto diversamente stabilito “da accordi internazionali” — la materia sia disciplinata dagli Stati mediante convenzioni internazionali: vale richiamare, tra le altre, la Convenzione dell'Aja del 15 aprile 1958, resa esecutiva con l. 4 agosto 1960, n. 918, concernente il riconoscimento degli obblighi alimentari verso i figli minori; la Convenzione di Atene del 15 settembre 1977, resa esecutiva con l. 25 maggio 1981, n. 386 relativa agli atti dello stato civile; la Convenzione Bruxelles 25 maggio 1987, resa esecutiva con l. 24 aprile 1990, n. 106, con la quale si elimina sia l'onere della legalizzazione che quello dell'apostille per tutti gli atti formati e diretti in uno Stato membro della Comunità Europea; la Convenzione Europea per la soppressione della legalizzazione degli atti formati dai rappresentanti diplomatici o consolari, firmata a Londra il 7 giugno 1968 e resa esecutiva con l. 28 gennaio 1971, n. 222. Particolare rilievo, assume, nella materia, la Convenzione dell'Aja 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con la l. 20 dicembre 1966, n. 1253, secondo la quale non necessitano di legalizzazione alcuna gli “atti pubblici che sono stati redatti sul territorio di uno Stato contraente e che devono essere prodotti in un altro Stato contraente” (art. 1, comma 1), atti tra i quali sono compresi gli atti notarili (art. 1, comma 2, lett. c) nonché “le dichiarazioni ufficiali indicanti una registrazione, un visto di data certa, una autenticazione di firma apposti su un atto privato” (art. 1, comma 2, lett. d). Ai sensi della appena citata Convenzione, in luogo della legalizzazione, è introdotto un congegno di verifica della qualità di pubblico ufficiale del soggetto che provvede alla autenticazione, mediante l'impiego della c.d. apostille. L'art. 3 stabilisce difatti che: “La seule formalité qui puisse étre exigée pour attester la véridicité de la signature, la qualité en laquelle le signataire de l'acte a agi et, le cas échéant, l'identité du sceau ou timbre dont cet acte est revétu, est l'apposition de l'apostille définie à l'article 4, delivrée par l'autorité compétente de l'Etat d'où émane le document”. Pertanto, è l'autorità competente dello Stato aderente alla convenzione dal cui pubblico ufficiale l'atto è stato ricevuto o autenticato a provvedere ad una sorta di legalizzazione semplificata attraverso l'apostille. Con quest'ultima, una volta provveduto tale forma di legalizzazione, non occorre l'ulteriore passaggio dinanzi all'autorità italiana. L'apostille, ai sensi dell'art. 4, comma 2, della Convenzione, deve essere intitolata “Apostille (Convention de La Haje du octobre 1961)” ed essere scritta in lingua francese. Occorre però tener presente, ancora, che la Convenzione di Bruxelles 25 maggio 1987, relativa alla soppressione della legalizzazione di atti negli Stati membri delle Comunità europee, ratificata e resa esecutiva con l. 24 aprile 1990, n. 106, ha completamente soppresso la legalizzazione, sia pure nella forma della apostille: all'art. 2 della stessa si prevede, infatti, che: «Ciascuno Stato contraente esonera gli atti a cui si applica la presente convenzione da qualsiasi forma di legalizzazione o da qualsiasi altra formalità equivalente o analoga». In un primo tempo la S.C. ha ritenuto che la Convenzione dell'Aja 5 ottobre 1961 fosse applicabile esclusivamente agli atti di natura sostanziale e che, quindi, non potesse trovare applicazione con riguardo agli atti processuali ed in particolare alla procura alle liti (Cass. civ., 6 maggio 1980, n. 2987). Successivamente, pur rimanendo ferma la premessa del ragionamento, è stato affermato che la procura alle liti rientra tra gli atti per i quali può adottarsi il meccanismo della apostille, ritenendone la natura di atto sostanziale. È stato dunque più volte ribadito che non è richiesta la legalizzazione in caso che la procura alle liti rilasciata all'estero sia stata conferita a mezzo di notaio in Paese aderente alla Convenzione dell' Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva in Italia con la l. 20 dicembre 1966, n. 1253, poiché il relativo atto, di natura sostanziale, rientra tra quelli per i quali detta Convenzione ha abolito l'obbligo della ricordata legalizzazione, nel senso che oggi è sufficiente la formalità della apostille (Cass. civ., 10 ottobre 2008, n. 24955; Cass. civ., 6 aprile 2004, n. 6776; Cass. civ., sez. un., 23 gennaio 2004, n. 1244; Cass. civ., 25 luglio 2002, n. 10901; Cass. civ., 10 giugno 1999, n. 5703; Cass. civ., 2 dicembre 1992, n. 12863). Altre volte è stato detto che la disciplina dettata dalla Convenzione in discorso si applica alla procura alle liti «indipendentemente dalla sua funzione processuale» (Cass. civ., 8 maggio 1995, n. 5021). La regola della sottoposizione al congegno della apostille trova applicazione indipendentemente dalla natura del procedimento in relazione al quale la procura alle liti è rilasciata e, dunque, anche in materia di ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione dello straniero, ai sensi dell'art. 13 d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, con riguardo agli stranieri appartenenti a paesi che abbiano aderito e ratificato la convenzione stessa, tra i quali rientra, dal 16 marzo 2001, anche la Repubblica di Romania (Cass. civ., 6 aprile 2004, n. 6776; Cass. civ., sez. un., 10 aprile 2000, n. 108). In mancanza della apostille, la quale, ove concernente una procura, non incide sulla data di essa (Cass. civ., 17 giugno 1994, n. 5877), viceversa, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero, sicché è invalidità la procura alle liti, rilasciata su foglio separato e congiunto all'atto di impugnazione, con certificazione della firma a mezzo di un Notary Public dello Stato della California priva della validazione mediante apostille (Cass. civ., 14 novembre 2008, n. 27282). Più in generale la mancanza dell'apostille non incide sugli effetti dell'atto in sé, ma impedisce la produzione di essi al di fuori del territorio dello Stato in cui l'atto è stato formato, con conseguente inefficacia della procura rilasciata all'estero nello Stato “ricevente”. ARENIELLO, Aspetti notarili dello procura estera, in Riv. not., 1995, 17; BALLARINO, Diritto internazionale privato, Padova, 1996, 713; CALO', Sulla procura alle liti rilasciata all'estero: un singolare arrocco della II sezione, in Corr. giur., 2005, 233; CARFAGNINI, I profili formali della procura estera e la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Riv. not., 1996, 487; CHINALE, La forma degli atti autentici stranieri, in Riv. not., 2008, 39; CORONGIU, Sulla procura speciale alle liti ex art. 83, 3° co., c.p.c. rilasciata all'estero, in Int'l Lis, 2005, 92; MAZZA, Rappresentanza tecnica e procura ad litem rilasciata all'estero, in Nuova giur. civ. comm., I, 1995, 753; SPATAFORA, Legalizzazione di atti formati all'estero, in Enc. giur. Treccani, XVIII, Roma, 1990; STARACE-DE BELLIS, Rappresentanza (dir. int. priv.), in Enc. dir., XXXVIII, Giuffrè, Milano, 1990, 499; TOMMASEO, Artt. 2702 e 2703, in Comm. c.c. diretto da Cendon, VI, Torino, 1991, 172; VALENTINI, Legalizzazione, in Enc. dir., XXIII, Giuffrè, Milano, 1970, 703. |