Comunicazione del provvedimento di conversione del rito ex artt. 667 e 426 c.p.c. al convenuto non costituito o non comparso
18 Maggio 2016
Massima
Nel rito locatizio, qualora il giudice disponga la trasformazione del rito ai sensi degli artt. 667 e 426 c.p.c., l'ordinanza di fissazione dell'udienza di discussione e di concessione di termine perentorio per la integrazione degli atti deve essere comunicata alla parte non costituita e non comparsa all'udienza di convalida. Il caso
A seguito di intimazione di sfratto per morosità e citazione per la convalida, compariva all'udienza il legale rappresentante della società intimata, al fine di produrre le ricevute dei bonifici di pagamento relativi ai mesi contestato e di opporsi alla richiesta convalida. Il Tribunale adito ordinava la trasformazione del rito ai sensi degli art. 667 e 426 c.p.c., fissando udienza per la discussione del merito della domanda di risoluzione del contratto. All'udienza fissata dall'ordinanza si costitutiva esclusivamente la parte attrice, e la società convenuta veniva dichiarata contumace. Dichiarato, con sentenza all'esito del giudizio di merito, risolto il contratto di locazione per inadempimento della resistente, ed ordinato l'immediato rilascio dell'immobile, avverso tale decisione veniva proposto appello dalla parte resistente. L'appello veniva rigettato. Avverso la sentenza di secondo grado il soccombente proponeva ricorso per Cassazione articolato in due motivi. Nel primo dei motivi censurava la sentenza di merito in relazione alla violazione e falsa applicazione dell'art. 426 c.p.c., in relazione all'art. 360c.p.c. nn. 3 e 5 avendo la Corte di Appello ritenuto infondata l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado in relazione alla mancata comunicazione al ricorrente contumace dell'ordinanza ex art. 426 c.p.c. . La questione
La questione in esame è se, una volta disposto, nel procedimento per convalida di licenza o sfratto, mutamento del rito ai sensi degli artt. 667 e 426 c.p.c. in relazione all'opposizione dell'intimato, comparso personalmente ma non costituitosi nella fase sommaria del procedimento, allo stesso debba essere comunicato il provvedimento di mutamento del rito. Le soluzioni giuridiche
Con il provvedimento con cui il giudice, nell'ambito della fase sommaria, proceda al mutamento del rito a seguito di opposizione alla convalida, ai sensi dell'art. 667 c.p.c., che espressamente richiama l'art. 426 c.p.c., dettato per le controversie in materia di lavoro, si provvede alla fissazione dell'udienza di discussione e di un termine perentorio entro il quale le parti possono provvedere alla integrazione degli atti introduttivi, mediante deposito di memorie e documenti in Cancelleria. Secondo i principi generali ogni provvedimento endoprocedimentale, laddove assunto in udienza, si ha per comunicato alle parti presenti ai sensi dell'art. 176, comma 2, c.p.c.. Nel caso in cui, viceversa, sia assunto fuori udienza, sarà comunicato al procuratore costituito delle parti e, nel caso di costituzione personale della parte, alla stessa presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto, ai sensi dell'art. 170, commi 1 e 3 c.p.c.. Laddove la parte sia stata dichiarata contumace, gli atti e provvedimenti indicati nell'art. 292 c.p.c. andranno notificati al contumace nel termine assegnato dall'istruttore con ordinanza. La particolarità della questione delle comunicazioni di atti o provvedimenti all'intimato, nell'ambito del procedimento per convalida di licenza o sfratto, deriva dall'eccezionale attribuzione di poteri e facoltà processuali ad una parte, l'intimato, indipendentemente dalla formale costituzione processuale dello stesso, con creazione di una figura ibrida tra la parte costituita e quella contumace, rispetto alla quale occorre chiarire i confini degli oneri di comunicazione degli atti. Secondo una parte della dottrina, all'intimato comparso ma non costituito dovrebbe applicarsi il comma 3 dell'art. 170 c.p.c., che prevede che le comunicazioni alla parte che si è costituita personalmente vengano effettuate nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto. Pertanto, nel caso di comparizione dell'intimato a fini oppositivi, il provvedimento di conversione del rito assunto fuori udienza andrebbe comunicato personalmente ai sensi dell'art. 170, comma 3, c.p.c., mentre il provvedimento assunto in udienza si reputerebbe conosciuto, non sussistendo alcun onere di comunicazione. Tale tesi, tuttavia, sia pure nell'ottica garantistica di assicurare all'intimato comparso la conoscenza del provvedimento di fissazione dell'udienza di discussione, è fondata sulle fragili basi teoriche dell'equiparazione del conduttore costituito al conduttore comparso personalmente, ex art. 660, comma 6, c.p.c.. La soluzione al problema è stata fornita da risalente pronuncia della Corte costituzionale (C. cost., 14 gennaio 1977, n. 14) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 426 c.p.c. e dell'art. 20 l. 533/1973 nella parte in cui, con riguardo alle cause pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge, non prevedeva la comunicazione anche alla parte contumace dell'ordinanza che fissava udienza di discussione ed il termine perentorio per l'integrazione degli atti. Evidente appare, dalla lettura della motivazione della pronuncia, l'esigenza primaria di tutela del diritto di difesa in occasione delle scansioni processuali, come quella di cui all'art. 426 c.p.c., caratterizzate dalla previsione di termini previsti a pena di decadenza. Tali esigenze, secondo la Corte, devono essere soddisfatte mediante la comunicazione al soggetto contumace del provvedimento che segna la transizione alla nuova fase processuale, anche nelle circostanze in cui il contumace sia stato messo al corrente della pendenza del procedimento con la notificazione dell'atto introduttivo, non potendosi richiedere dallo stesso l'uso di una diligenza informativa superiore a quella esigibile in casi analoghi. Facendo applicazione di tali principi alla fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 426 e 667 c.p.c., deve ritenersi che l'intimato comparso personalmente in seno all'udienza ex art. 660 c.p.c. al fine di spiegare opposizione alla convalida, non possa essere gravato dell'onere di informarsi in ordine al successivo corso del procedimento prendendo contezza in Cancelleria del provvedimento di mutamento del rito, esorbitando l'incombente dalla diligentia quam suis della parte non costituita in giudizio. Portando a conseguenze ulteriori l'opinione giurisprudenziale secondo cui all'intimato non costituitosi in giudizio, né personalmente comparso all'udienza di convalida, debba essere notificato il provvedimento di mutamento del rito nel – invero non frequente – caso di mutamento del rito e fissazione dell'udienza di discussione sul merito della domanda di risoluzione del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2010, n. 177), la sentenza in commento statuisce nel senso che la notifica del provvedimento ex artt. 667 e 426 c.p.c. vada effettuata anche nel caso di comparizione personale dell'intimato all'udienza di convalida. Osservazioni
La soluzione proposta dalla Corte appare rispondente a principi di piena tutela del diritto di difesa del soggetto evocato in giudizio nel procedimento speciale di cui all'art. 657 e ss. c.p.c., cui l'ordinamento attribuisce eccezionali facoltà processuali, come quella di opporsi alla convalida determinando il mutamento del rito ai sensi dell'art. 667 c.p.c., normalmente riservate al convenuto che si costituisca ritualmente mediante ministero del difensore. Dell'assenza di difesa tecnica non può, tuttavia, che tenersi conto nelle circostanze in cui particolari scansioni processuali, come il mutamento del rito ex artt. 667 e 426 c.p.c., siano accompagnate da sanzioni di decadenza a carico della parte. In questi casi appare, dunque, opportuno prevedere meccanismi, come la notificazione del provvedimento di conversione del rito, atti a garantire la compiuta ed effettiva conoscenza della scansione procedurale. Il meccanismo in questione non può, tuttavia, fondarsi sull'applicazione del disposto di cui all'art. 292 c.p.c., per un duplice ordine di ragioni. Innanzitutto, la norma di cui all'art. 292 c.p.c., che prevede la comunicazione al contumace dell'ordinanza che ammette l'interrogatorio formale e il giuramento, nonché delle comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali, ed esclude espressamente la necessità di comunicazione di altri atti o provvedimenti, contiene un'elencazione di atti o provvedimenti da considerarsi tassativa (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1619) e, pertanto, non suscettiva di interpretazione analogica o estensiva. In secondo luogo, la mancata costituzione dell'intimato all'udienza di convalida, che lo stesso sia o meno comparsa, non è situazione giuridicamente equiparabile alla contumacia, istituto tipico della cognizione ordinaria, che difatti non deve essere dichiarata, quantomeno sino alla constatazione della mancata costituzione nell'udienza fissata ai sensi dell'art. 420 c.p.c., in sede di conversione del rito. La mancata comparizione, difatti, è attività omissiva cui la legge annette il valore legale di ficta confessio, ricorrendo ulteriori condizioni (es. l'attestazione della persistenza della morosità). All'intimato non costituito ma comparso personalmente, viceversa, la legge attribuisce eccezionali facoltà difensive e processuali, in primis quella di opporsi alla convalida, precludendo tout court l'emissione dell'ordinanza di convalida. La presa di posizione della Cassazione trova, viceversa, fondamento in un'interpretazione costituzionalmente orientata, e maggiormente tutelante del diritto di difesa ex art. 24 Cost., del procedimento di convalida, che tenga conto della distonia sistemica dipendente dall'eccezionale attribuzione di facoltà processuali a soggetto non ritualmente costituito. Nel caso in cui la comunicazione del provvedimento di conversione del rito non abbia luogo, si verificherà il meccanismo di nullità a cascata di tutti gli atti successivi, compreso la sentenza che, all'esito del giudizio di merito, pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento (Cass. civ., sez. lav., 25 maggio 1981, n. 3446). |