La produzione di nuova documentazione all'udienza di discussione ex art. 420 c.p.c.

Antonio Lombardi
18 Maggio 2016

La lettera di dimissioni inviata dal lavoratore prima del recesso datoriale costituisce documento essenziale ai fini dell'accertamento della effettiva causa di risoluzione del rapporto.
Massima

In materia di licenziamento, la lettera di dimissioni inviata dal lavoratore prima del recesso datoriale costituisce documento essenziale ai fini dell'accertamento della effettiva causa di risoluzione del rapporto, sicché il giudice può porla a base della decisione pur se la parte che la produce si sia tardivamente costituita in giudizio, sempreché la sua esistenza sia stata puntualmente allegata e non ne siano contestati la provenienza ed il contenuto materiale, trattandosi di prova indispensabile per l'accertamento della verità sostanziale.

Il caso

In un giudizio avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento il giudice aveva ritenuto ammissibile la produzione, disponendone l'acquisizione, della lettera con cui la lavoratrice ricorrente aveva rassegnato le proprie dimissioni, in data antecedente al provvedimento di licenziamento. Tale produzione, effettuata all'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. e, pertanto, al di là del termine di decadenza per la produzione di documenti in capo al convenuto di cui all'art. 416, comma 3, c.p.c., aveva tolto valore al provvedimento di licenziamento, comportando la reiezione della domanda della ricorrente.

In sede di legittimità la ricorrente aveva denunciato la violazione e falsa applicazione dell'art. 416, comma 2, c.p.c. nonché l'omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione, dolendosi della circostanza che il documento decisivo ai fini della decisione finale era stato dal datore di lavoro prodotto tardivamente e dal giudice acquisito e valorizzato in violazione dei termini processuali previsti a pena di decadenza, con conseguente lesione del principio del contraddittorio.

La questione

La questione esaminata è se, ed entro quali limiti, nel rito del lavoro, possa provvedersi d'ufficio all'acquisizione di documentazione prodotta all'udienza di discussione ai sensi dell'art. 420 c.p.c., superando le preclusioni processuali coincidenti con gli atti introduttivi del giudizio.

Le soluzioni giuridiche

La soluzione resa dalla Corte territoriale, ossia quella di ritenere acquisibile e rilevante ai fini della decisione la documentazione prodotta dalla parte resistente, comprovante l'intervento di dimissioni della lavoratrice anteriormente al provvedimento di licenziamento, poggia su un triplice pilastro. Innanzitutto tale documento, la cui provenienza ed il cui contenuto materiale non costituivano oggetto di contestazione tra le parti, risultava determinante ai fini della decisione posto che, anticipando gli effetti della cessazione del lavoro rispetto al provvedimento recessivo assunto dalla parte datoriale, il licenziamento doveva ritenersi tamquam non esset e, pertanto, non affetto da illegittimità. Il contenuto del documento si appalesava, dunque, fondamentale all'accertamento della verità sostanziale. In terzo luogo, l'esistenza e la rilevanza del documento era stata puntualmente allegata dalla resistente in sede di memoria di costituzione, sia pure tardivamente depositata.

La decisione si pone, dunque, sulla scia dell'orientamento giurisprudenziale più accreditato in tema di poteri ufficiosi di acquisizione della prova da parte del giudice del lavoro che, in considerazione dell'esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, laddove le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, può ammettere eccezionalmente le prove indispensabili per la dimostrazione o negazione dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttoria, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di adeguato approfondimento (Cass. civ., sez. lav., 4 maggio 2012, n. 6753; Cass. civ., sez. lav., 26 maggio 2010, n. 12856, richiamate in motivazione).

Osservazioni

Il sistema di preclusioni processuali nel rito del lavoro appare, in prima analisi, di particolare rigore, risultando le decadenze a carico delle parti anticipate agli atti introduttivi del giudizio, in ragione dei principi di oralità, concentrazione ed immediatezza, immanenti alla particolare tipologia dei diritti in contestazione, che attualizzano la necessità di una rapida definizione delle controversie.

L'esistenza di profili decadenziali, connessi all'omessa produzione di documentazione o articolazione di prove nella comparsa di costituzione da depositarsi tempestivamente, è contemplata per il solo resistente all'art. 416, comma 3, c.p.c.. Non può, tuttavia, dubitarsi in ordine all'esistenza di un simmetrico onere di specificazione, a pena di decadenza, dei mezzi di prova in capo al ricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio (Cass. civ., sez. lav., 2 febbraio 2009, n. 2577), per evidenti esigenze di rispetto del principio del contraddittorio e parità delle armi.

L'apparente rigidità del sistema di preclusioni e decadenze è, tuttavia, temperata dai significativi poteri ufficiosi del giudice in materia di ammissione dei nuovi mezzi di prova, ai sensi dell'art. 421 c.p.c. (art. 437, comma 2, c.p.c. in appello), ispirato all'esigenza di coniugare il principio dispositivo con la ricerca della verità materiale (Cass. civ., sez. lav., 2 ottobre 2009, n. 21124).

Il nodo fondamentale è, dunque, quello del punto di equilibrio tra il sistema di preclusioni istruttorie ed i poteri ufficiosi che si appuntano in capo al giudice che, come nel caso esaminato nel provvedimento in commento, potrebbero essere valorizzati aggirando, di fatto, l'intervenuta preclusione maturata in capo alla parte costituitasi tardivamente.

Non è, da un lato, dubbio che l'esercizio dei poteri istruttori ufficiosi da parte del giudice non possa avere effetti di eterointegrazione della domanda, potendosi operare con tale funzione vicaria e suppletiva esclusivamente nei limiti della piattaforma assertiva delineata dalle parti negli atti introduttivi o, nelle ipotesi in cui ciò sia possibile, nel corso della trattazione della causa. Tali poteri, pertanto, potranno essere esercitati soltanto nei limiti dei fatti introdotti o emersi in corso di causa (Cass. civ., sez. lav., 2 febbraio 2009, n. 2577).

Ciò premesso, dubbi sono i margini, nell'alveo della piattaforma assertiva già delineata, entro i quali possono essere esercitati i poteri istruttori d'ufficio. Oggetto di discussione appare, in particolare, la possibilità di disporre un'integrazione istruttoria superando, di fatto, profili di decadenza nelle quali le parti siano negligentemente incorse.

Secondo una prima tesi, che tende a valorizzare, nella sua massima ampiezza, l'obiettivo di ricerca della verità materiale o sostanziale, in ragione della natura dei diritti controversi, i poteri di cui all'art. 421 c.p.c. potrebbero essere dal giudice attivati anche laddove la parte abbia colpevolmente omesso di indicare nell'atto introduttivo i mezzi di prova di cui intende valersi, incorrendo in decadenza (Trib. Taranto, sez. II, 3 febbraio 2014).

Secondo una tesi intermedia, la prova nuova non potrebbe essere disposta ad libitum da parte del giudice ma dovrebbe trovare fondamento nella necessità di approfondimento di elementi già presenti nel corso del giudizio, al fine di vincere i dubbi residuali. Entro tali ambiti sarebbe consentito superare eventuali preclusioni e decadenze in danno delle parti (Cass. civ., sez. lav., 5 novembre 2011, n. 18924).

Secondo una tesi maggiormente rigorosa, l'esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice del lavoro, in primo grado o in sede di gravame, non può in alcun modo intervenire a sanare eventuali profili di decadenza nei quali le parti siano colpevolmente incorse e presuppone, oltre all'insussistenza di colpevole inerzia delle parte interessata, l'opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti. L'indispensabilità dell'iniziativa ufficiosa riposerebbe, in altri termini, non nella necessità di superare gli effetti di una tardiva richiesta istruttoria o supplire ad una radicale carenza probatoria sui fatti costitutivi della domanda, bensì di colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (Cass. civ., sez. VI, 15 gennaio 2015, n. 547).

Appare, in conclusione, evidente come la pronuncia in commento abbia prestato adesione alla tesi intermedia. Se, da un lato, non vi è dubbio in ordine alla circostanza che, nel caso di specie, l'ammissione e valorizzazione di una produzione documentale all'udienza ex art. 420 c.p.c. abbia comportato, di fatto, il superamento di preclusioni istruttorie a carico della resistente, ciò ha avuto luogo per corroborare allegazioni di parte ed approfondire elementi già presenti nel giudizio, al fine ultimo di ricercare la verità materiale.

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