Le Sezioni Unite fanno chiarezza sulla riproposizione in appello delle eccezioni non accolte

Mauro Di Marzio
19 Maggio 2017

Le Sezioni Unite hanno risposto ai seguenti quesiti: il convenuto che abbia formulato l'eccezione di prescrizione, la quale non sia stata accolta, ma che abbia comunque vinto, cosa deve fare per far valere la prescrizione in appello? Deve proporre l'appello incidentale o può limitarsi alla mera riproposizione? E la sua condotta deve essere la medesima sia nel caso in cui il giudice di primo grado si sia espressamente pronunciato sulla prescrizione ed abbia motivatamente negato il suo verificarsi, sia nel caso in cui non abbia deciso per ragioni di «assorbimento» o per altro?
Massima

Qualora un'eccezione di merito sia stata ritenuta infondata nella motivazione della sentenza del giudice di primo grado o attraverso un'enunciazione in modo espresso, o attraverso un'enunciazione indiretta, ma che sottenda in modo chiaro ed inequivoco la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d'appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all'esito finale della lite, esige la proposizione da parte sua dell'appello incidentale, che è regolato dall'art. 342 c.p.c., non essendo sufficiente la mera riproposizione di cui all'art. 346 c.p.c. Qualora l'eccezione sia a regime di rilevazione affidato anche al giudice, la mancanza dell'appello incidentale preclude, per il giudicato interno formatasi ex art. 329, comma 2, c.p.c., anche il potere del giudice d'appello di rilevazione d'ufficio, di cui al secondo comma dell'art. 345 c.p.c.. Viceversa, l'art. 346 c.p.c., con l'espressione «eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado», nelI'ammettere la mera riproposizione dell'eccezione di merito da parte del convenuto rimasto vittorioso con riguardo all'esito finale della lite, intende riferirsi all'ipotesi in cui l'eccezione non sia stata dal primo giudice ritenuta infondata nella motivazione né attraverso un'enunciazione in modo espresso, né attraverso un'enunciazione indiretta, ma chiara ed inequivoca. Quando la mera riproposizione (che dev'essere espressa) è possibile, la sua mancanza rende irrilevante in appello l'eccezione, se il potere di rilevazione riguardo ad essa è riservato alla parte, mentre, se il potere di rilevazione compete anche al giudice, non impedisce — ferma la preclusione del potere del convenuto — che il giudice d'appello eserciti detto potere a norma del comma 2.

Il caso

L'annosa vicenda processuale, protrattasi per 22 anni, che ha condotto alla pronuncia della sentenza in commento non merita di essere riassunta in dettaglio per la ragione che tra breve si dirà. Si tratta di una controversia concernente un contratto di compravendita di un terreno che il venditore impugna per nullità ovvero in subordine per dolo o errore, chiedendo comunque, in ulteriore subordine, la condanna dell'acquirente convenuto al pagamento del prezzo pattuito. L'acquirente resiste tra l'altro alla domanda di annullamento — è questo il punto che ci interessa — formulando eccezione di prescrizione. La domanda attrice, in primo grado, è accolta solo in relazione alla domanda di pagamento del prezzo, mentre sono respinte sia la domanda di nullità che di annullamento: a questo riguardo, il Tribunale giudica infondata l'eccezione di prescrizione formulata dal convenuto, ma rigetta poi nel merito la domanda di annullamento. Il giudice di appello, invece, dà torto all'attore su tutta la linea: e cioè, accogliendo l'appello incidentale dell'acquirente, rigetta anche la domanda di pagamento del prezzo. Nel confermare il rigetto della domanda di annullamento la Corte territoriale afferma, contrariamente al Tribunale, che l'azione di annullamento è prescritta e che, comunque, essa è infondata nel merito.

Ricorso per cassazione. Nella pletora di motivi formulati dal venditore ve n'è uno che concerne la prescrizione dell'azione di annullamento ritenuta dalla Corte d'appello: dice cioè il ricorrente per cassazione che il Tribunale aveva espressamente rigettato l'eccezione, sicché la Corte d'appello non la poteva accogliere in mancanza della proposizione dell'appello incidentale, che l'acquirente non aveva spiegato. Questo motivo induce la seconda sezione della Corte di cassazione, che ritiene esistente un contrasto sul punto, a rimettere alle Sezioni Unite la questione del rapporto tra l'appello incidentale, previsto dall'art. 343 c.p.c., e la riproposizione delle eccezioni non accolte contemplata dall'art. 346 c.p.c..

Ma le Sezioni Unite hanno facile gioco nel rilevare che, avendo la Corte d'appello impiegato, nel confermare il rigetto della domanda di annullamento, una duplice ratio decidendi (accoglimento dell'eccezione di prescrizione e rigetto nel merito della domanda di annullamento), il motivo concernente l'accoglimento dell'eccezione di prescrizione è inammissibile per carenza di interesse, non essendo stata censurata la motivazione della sentenza sul rigetto nel merito di tale domanda.

Nondimeno — ed ecco la ragione per cui non si è approfondito più di tanto lo svolgimento della vicenda processuale — le Sezioni Unite scelgono di avvalersi del terzo comma dell'art. 363 c.p.c.: e cioè affermano nell'interesse della legge il principio di diritto riassunto nella massima sopra trascritta.

La questione

A fronte dell'appello principale, l'appellato a propria volta soccombente può fare appello incidentale, ex art. 343 c.p.c.. L'appellato vincitore in primo grado, che abbia proposto domande ed eccezioni «non accolte», può invece limitarsi alla loro mera riproposizione, ex art. 346 c.p.c..

Ora, la linea di demarcazione tra l'ambito di applicazione dell'una e dell'altra disposizione non è agevole, giacché discende dalla definizione di una pluralità di concetti, non univoci, che le due norme chiamano in gioco: la nozione di soccombenza (solo la soccombenza pratica o anche la soccombenza teorica di chi abbia formulato un'eccezione poi respinta, ma abbia comunque vinto?), quale necessario presupposto dell'impugnazione anche incidentale; la nozione di «domande ed eccezioni non accolte», cui si riferisce la seconda delle ricordate disposizioni; la nozione di «parte della sentenza» (decisione su «domanda» o decisione su «questione»?) che si incontra nell'art. 329, comma 2, c.p.c..

Secondo un orientamento fino a tempi ormai non recentissimi abbastanza consolidato, era sufficiente alla parte vittoriosa nel merito, ma soccombente su alcune questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, o anche di merito non preliminari, pure espressamente disattese dal primo giudice, la mera riproposizione della questione ai sensi dell'art. 346 c.p.c., perché essa fosse devoluta alla cognizione del giudice di appello: così, ponendo mente all'esempio più agevole, il convenuto che avesse resistito alla domanda attrice formulando eccezione di prescrizione estintiva e negando l'esistenza del diritto fatto valere dall'attore, una volta disattesa l'eccezione di prescrizione e respinta nel merito la domanda, per essere insussistente il diritto fatto valere, poteva limitarsi, quale appellato, a riproporre l'eccezione di prescrizione (sulla sufficienza della mera riproposizione, con riguardo all'eccezione di prescrizione, v. p. es. Cass. 24 ottobre 1998, n. 10580). Si affermava cioè che la parte rimasta totalmente vittoriosa in primo grado non ha l'onere di proporre appello incidentale per chiedere il riesame delle domande e delle eccezioni respinte o ritenute assorbite o comunque non esaminate con la sentenza impugnata dalla parte soccombente, essendo invece sufficiente la riproposizione di tali domande od eccezioni nel giudizio di secondo grado (tra le tante Cass. 19 aprile 2002, n. 5721).

La dottrina ha tuttavia posto in rilievo come tale orientamento fosse ormai incompatibile con l'assetto del giudizio di secondo grado alla semplice revisio prioris istantiae, auspicando un intervento della S.C. volto a perfezionare il processo evolutivo del giudizio di appello (si può citare Poli, L'oggetto del giudizio di appello, in Riv. dir. proc., 2006, 1410).

Sicché, rimanendo all'esempio della prescrizione, il quesito è il seguente: il convenuto che abbia formulato l'eccezione di prescrizione, la quale non sia stata accolta, ma che abbia comunque vinto, cosa deve fare per far valere la prescrizione in appello? Deve proporre l'appello incidentale o può limitarsi alla mera riproposizione? E la sua condotta deve essere la medesima sia nel caso in cui il giudice di primo grado si sia espressamente pronunciato sulla prescrizione ed abbia motivatamente negato il suo verificarsi, sia nel caso in cui si sia invece puramente e semplicemente dimenticato di decidere sul punto, ovvero deliberatamente non abbia deciso per ragioni di «assorbimento» o per altro?

Le soluzioni giuridiche

In effetti, già Cass., Sez. Un., 16 ottobre 2008, n. 25246 ha affermato, in breve, che la parte vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, ma che abbia visto espressamente disattesa una questione pregiudiziale di rito (si trattava nella specie dell'eccezione di difetto di giurisdizione), ha l'onere di proporre appello incidentale, se non vuole che sul punto si formi il giudicato: nel caso menzionato, dunque, non è sufficiente la mera riproposizione della questione, ai sensi dell'art. 346 c.p.c.. Secondo la pronuncia:

  1. l'art. 329, comma 2, c.p.c., il quale stabilisce che: «L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate», induce a ritenere che la decisione sulla pregiudiziale dia luogo ad una pronunzia di carattere autonomo;
  2. l'espressione «non accolte», impiegato dall'art. 346 c.p.c. tanto per le domande che per le eccezioni, in luogo dell'espressione «respinte», «rigettate», induce a credere che le une e le altre siano quelle riguardo alle quali vi sia stata una legittima omissione di pronuncia; in breve, domande ed eccezioni non accolte sono quelle assorbite;
  3. il rigetto espresso di domande ed eccezioni con sentenza non definitiva onera senz'altro la parte della proposizione dell'appello incidentale, sicché v'è un'esigenza di uniformità di trattamento la quale induce ad escludere, con riguardo all'art. 346 c.p.c., che, nel caso di espressa pronuncia contenuta nell'unica sentenza definitiva, sia sufficiente la mera riproposizione, occorrendo parimenti, invece, l'appello incidentale.

Più di recente Cass., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7700 ha chiarito che, in caso di rigetto della domanda principale e conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia condizionata all'accoglimento, la devoluzione di quest'ultima al giudice investito dell'appello sulla domanda principale non richiede la proposizione di appello incidentale, essendo sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell'art. 346 c.p.c.. Nella pronuncia sono esaminati i rapporti tra l'appello incidentale e la mera riproposizione, ed è detto in buona sostanza che lo spazio di quest'ultima si apre laddove il giudice abbia per una ragione o per l'altra taciuto sulla domanda o eccezione che, in tal senso, deve essere considerata «non accolta».

Con l'importante pronuncia in commento le Sezioni Unite diradano ogni dubbio sull'applicabilità del medesimo congegno con riguardo alle eccezioni di merito, qual è per l'appunto l'eccezione di prescrizione: questione che aveva indotto la seconda sezione a disporre la rimessione. Ma con un'ulteriore precisazione riguardante le eccezioni di rito.

Volendo riassumere in breve e nel modo più semplice il pensiero delle Sezioni Unite si può dire che se il giudice «ha parlato», disattendendo motivatamente l'eccezione, la parte che l'aveva formulata e l'abbia vista respingere, ma abbia comunque vinto, ossia la parte non praticamente soccombente, ma solo teoricamente soccombente sulla «parte di sentenza» concernente il rigetto dell'eccezione, deve proporre l'appello incidentale; se, invece, il giudice «ha taciuto» (perché ha considerato l'eccezione assorbita, ovvero anche perché ha omesso di pronunciare), basta la mera riproposizione.

Importanti le ricadute sul regime della rilevazione delle eccezioni in appello, in particolare le eccezioni di merito. Come sappiamo, secondo un indirizzo giurisprudenziale esordito ormai quasi un ventennio fa, le eccezioni sono tutte rilevabili d'ufficio, tranne quelle che il legislatore abbia voluto affidare all'eccezione di parte. Ma questo congegno funziona in primo grado, non in appello. E cioè, se il giudice di primo grado sull'eccezione «ha parlato», e la parte che l'aveva proposta non ha fatto appello (principale o incidentale a seconda dei casi), tale eccezione non è più rilevabile d'ufficio in sede di impugnazione, giacché opera in proposito il fondamentale secondo comma dell'art. 329 c.p.c.: l'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate, sicché sul punto si forma il giudicato; se, al contrario, il giudice di primo grado «ha taciuto», il potere di rilevazione d'ufficio rimane inalterato in grado d'appello.

Qui bisogna fare molta attenzione. Il ragionamento fatto con riguardo alle eccezioni di merito non vale se non in parte per le eccezioni di rito. Se il giudice di primo grado rigetta motivatamente un'eccezione di rito formulata dal convenuto (immaginiamo l'eccezione formulata dal convenuto di invalidità della procura alle liti rilasciata dall'attore), ma poi gli dà ragione nel merito, il convenuto, se vuole avvalersi dell'eccezione in appello, deve ovviamente fare l'appello incidentale: in questo caso non c'è differenza tra eccezioni di rito e eccezioni di merito. Ma poniamo il caso che il giudice di primo grado abbia «taciuto» sull'eccezione di rito, e poi abbia rigettato la domanda nel merito. Basta in questo caso la mera riproposizione? Secondo le Sezioni Unite no: in questo caso è necessario l'appello incidentale.

Il fatto è, osservano le Sezioni Unite, che l'art. 276 c.p.c. stabilisce un ordine delle questioni in base al quale il giudice deve esaminare prima le eccezioni di rito e poi il merito: il giudice che passa all'esame del merito senza scrutinare un'eccezione di rito sta commettendo un error in procedendo, che incide oggettivamente sulla decisione, sicché è necessario che essa venga contrastata «con un'attività di critica del modus procedendi del giudice di primo grado, che necessariamente avrebbe dovuto esaminare l'eccezione di rito»: per il che, come si diceva, occorre sempre l'appello incidentale.

Osservazioni

La sentenza apporta un contributo di chiarezza e precisione e risponde ad un'idea di fondo, del tutto condivisibile a parere di chi scrive, secondo cui le parti, nel giudizio di appello, devono cimentarsi con la sentenza di primo grado e con le parti di essa: la devono buttare giù, altrimenti rimane in piedi, parte per parte.

Il peculiare novum della pronuncia sta nell'escludere il congegno della mera riproposizione delle eccezioni di rito.

Resta da dire, con riguardo alla linea di confine tra gli ambiti di applicabilità degli artt. 343 e 346 c.p.c., che l'impiego dell'appello incidentale da parte di chi potrebbe limitarsi alla mera riproposizione non comporta alcun pregiudizio (Cass. 9 settembre 2004, n. 18169).