Questioni in tema di equa riparazione: dai limiti del concetto di stasi processuale alla pronuncia sulle spese

Franco Petrolati
20 Gennaio 2017

In tema di equa riparazione, la durata del giudizio presupposto deve essere determinata detraendo integralmente la c.d. stasi processuale. Inoltre, La liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella richiesta in virtù dell'applicazione di un diverso moltiplicatore annuo non implica soccombenza parziale.
Massima

In tema di equa riparazione, la durata del giudizio presupposto deve essere determinata detraendo integralmente la c.d. stasi processuale, vale a dire il lasso di tempo tra il deposito della sentenza definitiva di un grado e la proposizione della impugnazione (principio affermato in un giudizio anteriore all'11 settembre 2012).

La liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella richiesta in virtù dell'applicazione di un diverso moltiplicatore annuo non implica soccombenza parziale ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c. e non giustifica, pertanto, la compensazione delle spese processuali.

Il caso

Viene proposta una domanda di equa riparazione per la durata irragionevole di un giudizio civile pendente da 11 anni e 7 mesi all'esito dei due gradi di merito e dell'instaurazione, da soli 42 giorni, del giudizio di cassazione. La Corte adita ritiene irragionevole la durata del giudizio presupposto nei limiti di 4 anni e 1 mese, detraendo anni 6 per i gradi di merito e di legittimità ed anni 1 mesi 6 per «stasi processuale» in relazione, cioè, al tempo trascorso tra i gradi di giudizio. Viene, pertanto, liquidato un indennizzo pari ad € 3.333,33 in ragione di € 750,00 per ciascuno dei primi tre anni, € 1.000,00 per l'anno successivo, € 83,33 (1.000/12) per il mese ulteriore. Le spese processuali seguono la soccombenza solo per metà essendo disposta la compensazione della parte residua in considerazione dell'accoglimento parziale della domanda. Avverso tale decisione è proposto ricorso per cassazione per due motivi, uno attinente alla determinazione della durata irragionevole del processo e l'altro alla compensazione delle spese processuali. Il decreto impugnato è, quindi, cassato e, nel merito, è liquidata una somma ulteriore di € 1.000,00 – per complessivi € 4.333,33 – ed è pronunciata, altresì, condanna al rimborso integrale delle spese processuali.

La questione

Una prima questione riguarda il computo della durata irragionevole di un giudizio civile; in particolare, il tempo che occorre alla predisposizione del mezzo di impugnazione è ricompreso o esula dal concetto di stasi processuale?

Una seconda questione riguarda invece le spese processuali; nel dettaglio, liquidare un indennizzo in misura inferiore rispetto a quella prospettata dal ricorrente in virtù dell'applicazione di un diverso moltiplicatore annuo, implica la soccombenza reciproca e quindi la compensazione parziale delle spese?

Le soluzioni giuridiche

Con il primo (complesso) motivo del ricorso per cassazione si sostiene innanzitutto che non possa essere detratta l'intera durata della stasi processuale tra i gradi, dovendosi comunque tener conto del tempo occorrente per la predisposizione del mezzo di impugnazione. La tesi è ritenuta, tuttavia, infondata dalla Cassazione argomentando che nel lasso di tempo intercorso tra il deposito della sentenza e la proposizione dell'impugnazione “nessun giudice” può “ritenersi investito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta dalla parte”; in tal senso il parametro di computo della durata irragionevole previsto dall'art.2, comma 2-quater, l. n. 89/2001 – introdotto dal d.l. n. 83/12 conv. in l. n. 134/12 ed espressamente applicabile ai giudizi successivi all'11 settembre 2012 - secondo cui non si deve tener conto del tempo “intercorso tra il giorno in cui inizia a decorrere il termine per proporre l'impugnazione e la proposizione stessa”, viene considerato esplicativo della ratio della legge sull'equa riparazione e, come tale, operante anche per i giudizi anteriori (nel caso di specie, di un solo giorno: ricorso depositato il 10 settembre 2012!); non è, pertanto, condiviso l'orientamento, pur riscontrato nella giurisprudenza, secondo cui sarebbe da comprendere nel computo della durata del giudizio presupposto il termine breve per la proposizione dell'impugnazione a decorrere, però, non già dalla notificazione, bensì dalla comunicazione della sentenza da impugnare. In ordine alla decorrenza della “stasi processuale” si osserva, poi, che la generalizzazione delle comunicazioni telematiche degli avvisi di cancelleria è destinata ad azzerare o, comunque, a rendere ininfluente il lasso temporale tra il deposito della sentenza e la relativa comunicazione alla parte (la quale aveva, nella fattispecie, ricevuto sin dal 6 giugno 2007 comunicazione della sentenza di primo grado depositata in data 29 maggio 2007 ed aveva, tuttavia, proposto appello solo in data 11 giugno 2008).

Viene considerata, invece, fondata l'ulteriore censura formulata nel primo motivo laddove si denuncia l'erronea detrazione di un anno di durata del giudizio di cassazione nonostante questo fosse pendente da soli 42 giorni all'epoca dell'introduzione della domanda di equa riparazione; di qui la detrazione di 5 anni – e non 6 – per i gradi di giudizio e la conseguente maggiorazione dell'indennizzo di € 1.000,00 in relazione alla ulteriore durata irragionevole di un anno – per complessivi anni 5 mesi 1 – sulla base dei criteri di liquidazione già applicati e non contestati.

Parimenti accolto è il secondo motivo con il quale si deduce che non sussiste la presunta soccombenza reciproca posta a base della compensazione parziale delle spese processuali. Al riguardo la Cassazione recepisce l'orientamento, formatosi specificamente in tema di equa riparazione, secondo il quale la liquidazione dell'indennizzo in misura pur inferiore a quella richiesta, ma per la sola applicazione di un “moltiplicatore annuo” ridotto rispetto a quello postulato dalla parte, non integra un accoglimento soltanto parziale della domanda ai sensi dell'art.92, comma 2, c.p.c., in quanto la stima dell'indennizzo dovuto a titolo di danno non patrimoniale è affidata alla autonoma determinazione del giudice e la parte, attraverso l'indicazione di una data somma, non integra il rispettivo petitum bensì si limita a sollecitare il potere ufficioso di liquidazione.

Osservazioni

Sulla valutazione della c.d. stasi processuale l'orientamento invalso più recentemente nella giurisprudenza di legittimità è, in effetti, nel senso che la durata del giudizio presupposto va determinata solo con riguardo alla pendenza davanti a un organo giurisdizionale che abbia il dovere di provvedere, non rilevando, invece, il periodo nel quale la controversia sia sottratta alla decisione del giudice, come avviene nel caso in cui la legge attribuisce alle parti uno spatium deliberandi per l'impugnazione; il principio di diritto affermato esclude, tuttavia, che possa imputarsi all'amministrazione della giustizia il tempo trascorso tra la “comunicazione” – non già dal deposito - della sentenza e la notifica dell'atto di impugnazione a richiesta della parte soccombente, osservandosi, al riguardo, che anche la parte vittoriosa è posta in condizione di favorire la tempestiva formazione del giudicato attraverso la notifica della sentenza e la conseguente decorrenza del termine breve per l'impugnazione.

La sentenza in commento si conforma a tale indirizzo spingendosi, tuttavia, un poco oltre laddove ammette che il lasso di tempo da detrarre possa decorrere sin dal deposito della sentenza definitiva del grado, senza che si debba attendere la successiva comunicazione alla parte del deposito stesso: ciò in forza del rilievo, assimilabile ad un fatto notorio, che le comunicazioni telematiche hanno ormai reso sostanzialmente irrilevante lo iato temporale tra i due adempimenti dell'ufficio.

La precisazione sulla decorrenza della stasi processuale nell'epoca del processo civile telematico non è, invero, del tutto trascurabile, in quanto in un passato alquanto recente si era formato un indirizzo nomofilattico in senso espressamente contrario, volto ad escludere che fosse addebitabile alle parti il tempo maturato tra il deposito della sentenza e la successiva comunicazione; si rimetteva, altresì, al prudente apprezzamento del giudice dell'equa riparazione la valutazione della effettiva imputabilità alle parti del tempo trascorso tra la comunicazione e l'impugnazione.

In ordine alla pronuncia sulla regolazione delle spese processuali è da precisare, in via generale, che la soccombenza reciproca ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c. può configurarsi anche laddove sia formulata un'unica domanda, pur articolata in un unico capo, che sia stata parzialmente accolta sotto il profilo meramente quantitativo.

Non è, quindi, di per sé decisivo il gap esistente tra quanto richiesto e quanto riconosciuto in sentenza, essendo piuttosto dirimente il principio di causalità, vale a dire se il giudizio intrapreso si giustifichi integralmente o solo in parte in relazione al diritto accertato. Tale valutazione si fonda naturalmente, da una lato, sulle ragioni poste a fondamento della pretesa azionata, dall'altro sulla condotta della controparte ed implica l'esercizio di quella discrezionalità espressamente richiamata dall'art. 92, comma 2, laddove si prevede che il giudice non già deve ma “può” compensare le spese tra le parti.

In via teorica, pertanto, non può escludersi che persino la mera applicazione di un “moltiplicatore annuo” ridotto rispetto a quanto postulato dalla parte possa dar luogo ad una soccombenza parziale ove proprio la controversia sulla stima della quota annua di indennizzo abbia impedito la corresponsione dell'equa riparazione.

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