Sospensione dell'espropriazione forzata e ricorso del sovraindebitato ex l. n. 3/2012: un rapporto complesso

20 Marzo 2017

Per rimediare alla situazione di eccessivo indebitamento delle famiglie e, più in generale, dei soggetti non sottoponibili a fallimento, la legge 27 gennaio 2012, n. 3 ha introdotto nel nostro ordinamento il procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento, incrinando in maniera significativa il suddetto sistema dualistico. Il legislatore del 2012 ha così configurato, accanto a quello della legge propria del fallimento, un nuovo e diverso regime, in deroga alla disciplina di diritto comune.
Premessa

Per rimediare alla situazione di eccessivo indebitamento delle famiglie e, più in generale, dei soggetti non sottoponibili a fallimento, la l. 27 gennaio 2012, n. 3 ha introdotto nel nostro ordinamento il procedimento di composizione delle crisi da sovraindebitamento, incrinando in maniera significativa il suddetto sistema dualistico. Il legislatore del 2012 ha così configurato, accanto a quello della legge propria del fallimento, un nuovo e diverso regime, in deroga alla disciplina di diritto comune.

La nuova normativa, collocata al di fuori del corpo della l. fall. e del codice di procedura civile è risultata sin da subito lacunosa e incerta.

Innanzitutto perché rivolta indistintamente ai debitori civili e agli imprenditori non assoggettabili alle procedure di cui alla l. fall.; in secondo luogo perché caratterizzata da natura ambigua o ibrida, a tratti negoziale, assimilabile agli accordi di ristrutturazione dei debiti, a tratti concorsuale, affine al concordato preventivo. Per queste ragioni la disciplina delle crisi da sovraindebitamento è stata, poco tempo dopo, novellata dall'art. 18, d.l.18 ottobre 2012, n. 179, recante «Misure urgenti per la crescita del paese» (c.d. Decreto sviluppo bis), convertito con modifiche dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221 (d'ora in avanti indicata come legge sovraind.).

Uno degli aspetti più complessi che la nuova disciplina pone all'interprete riguarda il difficile rapporto tra procedure di sovraindebitamento ed azioni esecutive. Se è vero che l'automatic stay è, in ogni procedura concorsuale, un elemento indispensabile per il rispetto del fondamentale principio di cui all'art. 2740 c.c., è pure indiscutibile che il legislatore si è preoccupato di regolare il divieto di azioni esecutive in maniera decisamente peculiare, non coincidente con il regime di cui all'art. 51 l. fall., né con quello proprio dell'art. 168 l. fall. Sembra potersi anticipare sin da ora che la ratio legis sottesa alle particolarissime disposizioni che regolano l'automatic stay nellla l. n. 3/2012 sia quella di azzerare il rischio che il debitore depositi un ricorso per la composizione delle crisi da sovraindebitamentosolo per ritardare o arrestare la soddisfazione dei creditori.

Le effettive ragioni della recente diffusione delle procedure di sovraindebitamento

La recente (e tardiva) diffusione delle domande di ammissione alle procedure di sovraindebitamento è solo in parte una diretta conseguenza delle modifiche apportate al dato normativo nell'ottobre 2012 e dell'incessante lavoro della dottrina e della giurisprudenza. Di contro, un ruolo decisivo va senz'altro riconosciuto alla difficile crisi economica ed alla “esigenza” del sovraindebitato di ottenere la sospensione delle azioni esecutive pendenti o comunque una moratoria di quelle ancora da intraprendere.

Più precisamente, si deve ritenere che l'appeal esercitato dalla l. n. 3/2012 nei confronti del debitore civile sia rappresentato dal conseguimento del c.d. automatic stay, specie dopo che la rivisitazione delle soglie per la dichiarazione di fallimento e l'accelerazione del processo esecutivo (determinata dalle prassi virtuose e dalle diverse riforme apportate negli ultimi anni al terzo libro del codice di procedura civile) hanno affidato l'attuazione del principio di cui all'art. 2740 c.c. soprattutto al processo di espropriazione forzata.

Se poi si aggiunge che nulla è stato previsto riguardo a misure di allerta, né sono stati stabiliti specifici presupposti che consentissero solo in tassative ipotesi (fondate su interessi meritevoli di tutela) la violazione del principio di cui all'art. 2740 c.c., sembra probabile che il debitore depositi il ricorso introduttivo (per la composizione delle crisi da sovraindebitamento), solo perché l'espropriazione forzata individuale è ormai giunta nella fase conclusiva.

Del resto, nonostante le procedure che compongono la legge sovraind. siano state concepite come un beneficio (come dimostra la legittimazione esclusiva del debitore), il legislatore del 2012 non si è preoccupato affatto di favorire la celerità e la serietà della domanda, subordinandola alla condizione che l'espropriazione forzata fosse ancora in una fase iniziale (come previsto, per es., dall'art. 495 c.p.c. in forza del quale il debitore può accedere al beneficio della conversione del pignoramento prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione ex artt. 530, 552 e 569 c.p.c.). Ed è, a dir poco, singolare che l'art. 13, comma 1, lett. a), d.l. n. 83/2015 abbia aggiunto al secondo comma dell'art. 480 c.p.c. un nuovo periodo, ove si prevede che l'atto di precetto deve contenere l'avvertimento al debitore «che può, con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento, concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore». Singolare in quanto l'art. 480, secondo comma, c.p.c. si avvale di uno strumento utilizzato di frequente dal legislatore processuale perché la parte renda edotto l'avversario riguardo a determinate facoltà da esercitare con forme particolari o entro termini rigidi, a pena di decadenze o preclusioni. Ma, a ben guardare, nessuna limitazione del genere è apposta alla domanda del debitore depositata a norma della legge sovraind.

Per tutte queste ragioni le (rare) procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento finora omologate riguardano prevalentemente debitori titolari di beni immobili già pignorati, enti pubblici ai quali non è applicabile altra procedura di risanamento (Trib. Treviso, 10 dicembre 2015; Trib. Treviso 12 maggio 2015, entrambe le decisioni sono pubblicate in www.tribunale.treviso.giustizia.it), ovvero piccoli imprenditori che hanno un significativa esposizione nei confronti del fisco. Ed infatti, diversamente dall'art. 182-bis legge fall. che opera con riferimento ai tributi amministrati dalle agenzie fiscali, nel campo di applicazione della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche i tributi locali. (Così la Circolare dell'Agenzia delle Entrate, n. 19 E del 6 maggio 2015, in www.ilfallimentarista.it, con commento di Solidoro, Brevi osservazioni in merito alla Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 19/E del 2015 sulla transazione fiscale).

Sulla falsariga di quanto già avvenuto con la domanda di concordato preventivo ex art. 160 ss. l fall., spesso depositata per rinviare la dichiarazione di fallimento, sussiste il rischio che la proposizione di una domanda di accordo (o di piano) tenda in larga parte ad inibire al giudice dell'esecuzione la pronuncia dell'ordinanza di assegnazione dei crediti nell'espropriazione presso terzi; ovvero ad ottenere dal professionista delegato un rinvio dell'imminente vendita immobiliare.

Le conseguenze della domanda di accordo sulle procedure pendenti

La legge sovraind. regola in maniera specifica il concorso tra azioni esecutive e procedure di composizione negoziale a seconda che si tratti di proposta di accordo o di piano del consumatore. Successivamente si passerà ad esaminare il regime dell'automatic stay nella procedura di liquidazione del patrimonio del debitore.

Sia per la procedura di accordo, sia per quella di piano, il legislatore si discosta, sia pure parzialmente, dalla previsione di cui all'art. 168 legge fall. in materia di domanda di concordato preventivo e divieto di azioni esecutive: il deposito del ricorso, nell'impianto della legge sovraind., è inidoneo a determinare sin da subito l'automatica sospensione delle azioni esecutive che costituisce invece un effetto esclusivo del successivo decreto di apertura.

Eccezion fatta per questo elemento comune, la disciplina stabilita per l'accordo assume caratteri tipici, significativamente diversi da quelli del piano del consumatore. Ed infatti, in caso di accordo, la sospensione, disposta a norma dell' art. 10, comma 2 lett. c) legge sovraind., presenta le seguenti caratteristiche:

  1. è automatica, perchéil giudice non ha discrezionalità sul punto, né occorre un'esplicita istanza del debitore in tal senso, trattandosi, come anticipato, di un effetto connesso alla pronuncia del decreto di apertura;
  2. è completa, perché riguarda tutte le azioni esecutive pendenti, inclusi i sequestri conservativi di cui all'art. 671 c.p.c., e quelle non ancora iniziate, (né possono essere acquistati diritti di prelazione) sulla falsariga di quanto prevede l'art. 168 l. fall. per il concordato preventivo
  3. è di lunga durata, perché mutuando lo stesso regime dell'art. 168 l. fall., protegge il debitore fino al momento in cui il decreto di omologa diventa definitivo.

Occorre ora accennare ai casi, normativamente previsti, di esenzione dal divieto di azioni esecutive.

In primo luogo la sospensione, per espressa disposizione normativa, non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili di cui all'art. 545 c.p.c..

Insensibili alla sospensione sono anche le azioni cautelari che non hanno funzione latamente esecutiva (v. ad es. il sequestro giudiziario) e le azioni esecutive promosse per i crediti sorti in corso di procedura, stante l'espressa limitazione ai «creditori aventi titolo o causa anteriore». In difetto di esplicita previsione normativa sembra doversi ritenere che l'aggettivo anteriore si riferisca alla data di deposito del ricorso, ricorso che rappresenta una domanda giudiziale a tutti gli effetti (e non invece alla data del deposito in cancelleria del decreto di ammissione).

La sospensione dell'esecuzione nel piano del consumatore

Decisamente diverso il regime della sospensione dell'espropriazione forzata previsto per il piano del consumatore.

Ai sensi dell'art. 12-bis, comma 2 legge sovraind., il giudice dispone - secondo la propria discrezionalità - la sospensione delle procedure esecutive che possono pregiudicare la fattibilità del piano, individuandole analiticamente nel decreto di apertura. Per completezza va pure segnalato che il decreto di apertura del piano del consumatore, va comunicato ai creditori quaranta giorni prima dell'udienza ma, a differenza dell'analogo decreto della procedura di accordo, non è soggetto a forme di pubblicità.

Nella procedura che compone la crisi del consumatore, l'effetto sospensivo non è, dunque, generale ed automaticamente conseguente al decreto di apertura come avviene nella procedura d'accordo. A ben guardare, in questa procedura la sospensione dell'esecuzione ha un contenuto oggettivo decisamente minore in quanto:

  1. delimitato volta per volta;
  2. inidoneo ad interferire sia con i procedimenti esecutivi non ancora intrapresi, sia con quelli per sequestro conservativo;
  3. subordinato ad un'esplicita istanza del debitore che deve indicare quali sono le esecuzioni che pregiudicano la fattibilità del piano e che, dunque, è indispensabile inibire.

La discrezionalità riconosciuta al giudice impone, inoltre, che la motivazione si sviluppi vagliando il periculum ed il fumus, attribuendo – implicitamente - a tale decisione natura cautelare.

Quanto al periculum, il giudice deve espressamente motivare che quella determinata esecuzione costituisce un concreto impedimento all'attuazione del piano. La motivazione sulla sussistenza del fumus è, invece, implicita nella parte del provvedimento sulla fattibilità del piano e sulla sussistenza delle altre condizioni di ammissibilità. La motivazione sul fumus è e, quindi, racchiusa nella parte del provvedimento che valuterà la relazione particolareggiata e la completezza della documentazione, anche in relazione all'assenza di atti in frode.

Nel piano del consumatore l'automatic stay riguarda, inoltre, un lasso di tempo molto breve, circoscritto dalla convocazione dei creditori, e non invece, come nel procedimento di accordo, dalla definitività del decreto di omologa. Dopo l'omologazione l'art. 12, comma 3, prevede che i creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano, conducendo così ad affermare che in tale fase l'automatic stay riguardi anche i beni eventualmente conferiti da terzi, ex art. 8 comma 2.

Circa i procedimenti esecutivi instaurati successivamente alla pronuncia del decreto di apertura, il giudice conserva la medesima discrezionalità che l'art. 12-bis, comma 2 gli riconosce per quelli già pendenti; è appena il caso di precisare che, anche in questo particolare caso, il giudice è in condizione di provvedere con apposito decreto, solo se investito da un'esplicita istanza del debitore.

Profili comuni dell'automatic stay nelle procedure di accordo e di piano

Resta da dire che in entrambe le procedure finora illustrate l'automatic stay non interferisce con le altre misure cautelari (eccezion fatta per l'art. 671 ss. c.p.c. nei termini di cui si è detto).

Il dato normativo porta, inoltre, ad escludere interferenze con le misure cautelari atipiche di cui all'art. 700 c.p.c., con i provvedimenti di nuova opera e di danno temuto o con le azioni possessorie, perché non direttamente funzionali all'esecuzione sul patrimonio del debitore, anche se presentano - nella fase sommaria - natura latamente cautelare.

Stesso discorso va fatto riguardo ai giudizi di cognizione ed alle azioni esecutive e cautelari sui beni di terzi (v. ad es., i fideiussori o i terzi datori di ipoteca).

La sospensione riguarda, inoltre, le sole azioni esecutive individuali, cosicché in presenza dei presupposti può legittimamente essere proposta istanza di fallimento, come lascia intendere l'art. 12, comma 5, laddove stabilisce che la sentenza di fallimento dichiarata nei confronti del debitore risolve l'accordo. Sotto questo particolare profilo, emerge, dunque, chiaramente la differenza con il regime di cui all'art. 168 l.fall., interpretato nel senso che il ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo comporta la sospensione dell'istruttoria prefallimentare (sulla delicata questione v., la recente Cass., 24 agosto 2016, n. 17297 , secondo la quale «la deliberazione della sentenza costituisce solo una fase del procedimento di formazione della decisione, mentre è la pubblicazione, a norma dell'art.133 c.p.c., che rende ufficiale la consegna della sentenza»; pertanto è in riferimento alla data della pubblicazione che va considerata la tempestività della proposta di concordato preventivo. Ma contra Cass. 17 agosto 2016, n. 17156).

Da ultimo va segnalato che se il giudice respinge l'istanza di sospensione delle procedure esecutive in corso (per il solo piano del consumatore posto che nella procedura di accordo l'apertura della procedura comporta la sospensione automatica), il debitore può reclamare al collegio il provvedimento negativo, nel rispetto della normativa sui procedimenti in camera di consiglio. Conseguentemente, il provvedimento che definisce il reclamo, stante la sua natura decisoria, sembra ricorribile in cassazione ex art. 111 Cost..

La medesima soluzione si impone se il giudice dichiara inammissibile il ricorso o lo rigetta perché non fattibile (argomentazioni analoghe valgono per la procedura di accordo).

Gli effetti del provvedimento di sospensione sull'esecuzione pendente

Occorre ora accennare agli effetti del provvedimento di sospensione del processo esecutivo.

La scelta del legislatore di sospendere le esecuzioni pendenti solo in seguito alla pronuncia del decreto di apertura, esclude che il debitore possa abusare delle nuove procedure, posto che la domanda priva dei presupposti o dei requisiti di cui agli artt. 7, 8 e 9 non interferisce con le azioni esecutive individuali.

Ed infatti solo se il giudice del sovraindebitamento ha aperto la procedura di accordo o quella di piano (specificando in questo caso qual è la procedura esecutiva interessata dalla sospensione perché ostacola la fattibilità del piano), il giudice dell'esecuzione provvede ai sensi dell'art. 623 c.p.c.

Se, dunque, il regime processuale coincide con quello di cui all'art. 626 c.p.c., occorre necessariamente riconoscere che al giudice dell'esecuzione è precluso, dopo la pubblicazione della domanda di concordato, adottare il provvedimento di autorizzazione a vendita o assegnazione; e che gli atti esecutivi già compiuti, come il pignoramento o l'aggiudicazione, rimangono validi ed efficaci. Solo per completezza si segnala che sopraggiunta l'omologa, si verificherà l'improcedibilità dell'esecuzione (vale a dire una prosecuzione della sospensione), a meno che il liquidatore non decida di subentrare nell'esecuzione stessa.

A quest'ultimo riguardo va detto che laddove il bene sia stato già aggiudicato, il giudice dell'esecuzione è comunque tenuto alla pronuncia del decreto di trasferimento, atteso che l'art. 187-bis disp. att. c.p.c. sancisce l'intangibilità degli effetti sostanziali dell'aggiudicazione. Di quest'avviso anche la giurisprudenza di merito che correttamente ha precisato come l'art. 187-bis disp. att. c.p.c. (che prevede l'intangibilità nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari degli effetti dell'aggiudicazione o dell'assegnazione per il caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo) è applicabile anche alle ipotesi di improcedibilità dell'esecuzione individuale derivante dalla instaurazione della procedura di sovraindebitamento ex art. 10 legge sovraind. oltre che al caso di sopravvenuta misura di prevenzione di cui all'art. 55 codice antimafia (Trib. Firenze, 6 luglio 2016 in www.ilcaso.it).

Per altro verso la sospensione del processo esecutivo esclude che le somme incassate possano essere trasferite ai creditori che hanno intrapreso e/o partecipato all'esecuzione singolare, perché destinate ad essere incamerate dalla procedura di sovraindebitamento.

Nel caso di cessazione della procedura concorsuale (si pensi alla per revoca del decreto di apertura per frode ai creditori ai sensi dell'art. 10, comma 3, legge sovraind. o alla mancata omologazione), il creditore procedente (o altro intervenuto munito di titolo esecutivo) è legittimato alla riassunzione del processo esecutivo a norma dell'art. 627 c.p.c.

Resta da dire che in nessun caso la sospensione/improcedibilità può determinare l'estinzione dell'espropriazione pendente, sia perché manca un'espressa previsione in tal senso, sia perché la dichiarazione di estinzione precluderebbe al creditore procedente di riassumere l'espropriazione in caso d'inammissibilità della domanda di mancata approvazione o omologazione. A ritenere diversamente, laddove il debitore, dopo la cancellazione del pignoramento, avesse disposto del bene, quest'ultimo finirebbe per rimanere irrimediabilmente sottratto alla azione esecutiva del creditore ed al patrimonio responsabile del debitore.

Che la pronuncia del decreto di apertura delle procedure di sovraindebitamento integri una mera ipotesi di sospensione (e non invece di estinzione) del processo esecutivo è, inoltre, esplicitamente confermato dalla lettera della legge e, in particolare, dall'art. 10, comma 2, lett. c) che esclude dal divieto di azioni esecutive la “sospensione”nei confronti dei titolari di crediti impignorabili; nonché dall'art. 12-bis, comma 2, in forza del quale il giudice “può disporre la sospensione” di specifici procedimenti di esecuzione forzata.

Le (poche) analogie tra l'art. 51 legge fall. ed il divieto di azioni esecutive di cui all'art. 14-quinquies, comma 2, lett. b)

Se l'accordo ed il piano del consumatore presentano molte analogie con le soluzioni concordate della crisi d'impresa, la liquidazione del patrimonio mutua lo stesso impianto del processo di fallimento, trattandosi in entrambi i casi di procedure fondate sullo spossessamento del debitore il cui patrimonio è liquidato da un apposito organo, per soddisfare tutti i debitori ammessi al passivo.

Con il decreto di apertura della procedura di liquidazione, il giudice, ai sensi dell'art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), dispone che, «sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo», non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni cautelari o esecutive, né essere acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore.

Posto che la ratio della previsione è chiaramente quella di impedire ai creditori concorrenti di occupare posizioni di vantaggio all'interno della procedura, contribuendo così alla cristallizzazione del patrimonio del debitore ed alla piena attuazione del principio della par condicio creditorum, va preso atto che la norma contiene un refuso. In effetti, l'inciso «sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo» che doppia inutilmente l'art. 10, comma 2, lett. c), deve essere letteralmente stralciato, in quanto nella procedura di liquidazione il provvedimento di omologazione non è affatto contemplato.

Il dato normativo deve allora interpretarsi come se adottasse la semplice espressione «dal momento dell'apertura della procedura», senza individuare un termine finale dell'automatic stay, in quanto l'ultima parte del comma 2 dell'art. 14-novies stabilisce che se alla data di apertura della procedura di liquidazione sono pendenti procedure esecutive il liquidatore può subentrarvi in luogo del creditore procedente. In poche parole: il legislatore ha mutuato lo stesso meccanismo contenuto nell'art. 107, comma 6, legge fallim. A ben guardare un'altra affinità dell'art. 14 quinquies, comma 2, lett. b) con l'art. 51 legge fallim. e, più in generale, con il processo di fallimento si può individuare nel fatto che in entrambi i casi l'automatic stay opera in forza della pronuncia del provvedimento di apertura.

Occorre poi considerare che nella liquidazione del patrimonio, il regime dell'automatic stay presenta forti analogie con l'art. 168 legge fallim., dettato in tema di concordato preventivo; ed infatti, per un verso il comma 2 dell'art. 14-novies fa riferimento all'impossibilità per i creditori di acquisire diritti di prelazione e, per altro verso, a differenza dell'art. 51 legge fallim. non ammette deroghe di sorta.

Sembra, pertanto, potersi concludere che nella procedura di liquidazione il divieto di azioni esecutive è assoluto.

Con particolare riferimento al creditore fondiario va escluso che conservi il potere di iniziare o proseguire azioni esecutive per diverse ragioni.

Innanzitutto perché la legge sul sovraind. non contiene alcuna eccezione in tal senso, né rinvii di sorta alla disciplina di cui all'art. 51 legge fallim.; in secondo luogo perché il secondo comma dell'art. 41 T.U.B, nel prevedere che l'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dopo la dichiarazione di fallimento, sembra riferirsi esclusivamente a questa procedura.

Nessun addentellato di diritto positivo giustifica, dunque, il privilegio processuale del creditore fondiario al di fuori della procedura di fallimento e della liquidazione coatta amministrativa, così come riconosciuto dalla giurisprudenza in forza del rinvio contenuto dall'art. 201 all'art. 51 legge fallim. (Cass. 7 giugno 1988, n. 3847). Per concludere: la facoltà del creditore fondiario di intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali va esclusa in costanza di amministrazione straordinaria delle grandi imprese, amministrazione controllata, concordato preventivo e, infine, anche nelle procedure di cui alla legge sovraind.

Guida all'approfondimento
  • Giorgetti, Sovraindebitamento. Il procedimento, in Guida dir., n. 13, 14 gennaio 2012, 40 ss.;
  • Farina, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. Dalla fase di apertura all'automatic stay, in Dir. fall., 2017, I, 43 ss.;
  • Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna 2014;
  • Trisorio Liuzzi, Il procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento (legge 27 gennaio 2012, n. 3), in Giusto proc. civ., 2012, 649 ss.;
  • Id., La composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Giusto proc., 2013, 406 ss.;
  • Vattermoli, La procedura di liquidazione del patrimonio del debitore alla luce del diritto “oggettivamente” concorsuale, in Dir. fall., 2013,769 ss.

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