I limiti alla correzione del capo di sentenza sulle spese processuali
21 Marzo 2017
Massima
La procedura di correzione di errore materiale è esperibile anche qualora per mero errore sia stata omessa nel dispositivo della sentenza la liquidazione delle spese di due delle fasi in cui si è articolato il complessivo giudizio. Il caso
A seguito di annullamento con rinvio, da parte della Corte di Cassazione, di un decreto con il quale la Corte di Appello aveva respinto una domanda di riparazione per irragionevole durata di un giudizio davanti al Tar, la Corte di Appello rigettava nuovamente la domanda. L'interessato proponeva ricorso per cassazione anche avverso quest'ultimo decreto e la Corte, in accoglimento di esso, decideva la causa nel merito riconoscendo al ricorrente l'indennizzo e il rimborso delle spese del giudizio di merito e dell'ultima fase di legittimità. Il ricorrente proponeva ricorso per la correzione dell'errore materiale di quest'ultima sentenza, lamentando la mancata liquidazione delle ulteriori spese di lite di una fase di merito e di una fase di legittimità. La Cassazione accoglie anche questo ricorso affermando il principio di cui alla massima sopra riportata. La questione
La questione posta dalla ordinanza in commento è se la procedura di correzione di errore materiale sia esperibile per rimediare all'omessa liquidazione delle spese processuali di alcune delle fasi in cui si è articolato il giudizio. Le soluzioni giuridiche
Secondo un primo orientamento della Suprema Corte l'omessa pronuncia sulle spese e la doglianza avverso la pronuncia che si sia limitata a statuire sull'incidenza dell'onere delle spese senza determinarne l'importo vanno fatti valere con gli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo tali vizi essere emendati da altro giudice, in virtù del principio di inscindibilità tra pronuncia che chiude il processo e pronuncia sulle spese (Cass. civ. sez. III, 20 febbraio 1998, n.1784, relativa all'ipotesi della sentenza secondo equità del giudice di pace che, dopo aver disposto una compensazione parziale delle spese per effetto della soccombenza reciproca, aveva omesso non solo la liquidazione del quantum residuo, ma anche la stessa condanna al pagamento del residuo in danno di una parte ed in favore dell'altra; negli stessi termini si sono espresse: Cass. sez. trib., 23 giugno 2005, n. 13513 e, più recentemente, Cass. civ. sez. II, 17 giugno 2016 n.12625). Tale ricostruzione comporta che non è possibile ovviare alla predetta omissione attraverso la procedura di correzione di errore materiale, perché a fronte di essa, la sentenza non può dirsi affetta da mera mancanza di documentazione della volontà del giudice, comunque implicitamente desumibile, ma difetta di un giudizio sull'attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa (Cass. civ., sez. I, 10 luglio 1999, n. 7274). Sulla base di tali premesse l'istituto è stato quindi ritenuto utilizzabile nelle sole ipotesi di mancato riconoscimento del rimborso forfetario, in quanto in questo caso l'omissione riguarda una statuizione di natura accessoria e a contenuto normativamente obbligato, che richiede al giudice una mera operazione tecnico- esecutiva, da svolgersi sulla base di presupposti e parametri oggettivi (Cass. civ., sez. III, 02 agosto 2013, n. 18518), o dell'errore nella determinazione della misura delle spese vive (Cass. civ., sez. III, 26 marzo 1999, n. 2891; il principio è stato esteso da Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2010, n.21012 all'ipotesi in cui era stata contestata la legittimità della liquidazione delle spese di c.t.u.). Le stesse pronunce hanno affermato che, per emendare l'errore, è possibile ricorrere, in alternativa alla correzione di errore materiale, al procedimento di revocazione del provvedimento ma non al ricorso per cassazione. Altrettanto consolidato è il principio per cui è suscettibile di correzione la sentenza che, nel condannare al pagamento delle spese processuali, inverta il nome del soccombente con quello del vincitore, trattandosi di una mera svista (Cass. civ. sez. un., 27 giugno 2002, n.9438). L'istituto della correzione di errore materiale non è stato quindi ritenuto utilizzabile nemmeno per ovviare alla difformità della statuizione sulle spese tra parte motiva e dispositivo della decisione. Infatti una pronuncia della Cassazione (Cass. civ., sez. un., 13 maggio 2013, n.11348) ha dichiarato inammissibile l'istanza di correzione di errore materiale proposta avverso una ordinanza della Cassazione la quale, dopo aver dichiarato in motivazione che il ricorrente, in ragione della sua totale soccombenza, era tenuto al rimborso in favore delle parti vittoriose, nel dispositivo aveva compensato per intero le spese. La Corte ha giustificato l'annullamento sulla base della considerazione che in quel caso la composizione del contrasto logico esistente tra motivazione e dispositivo presupponeva un'attività di interpretazione dell'effettivo decisum, non consentita in sede di correzione. Ad identica conclusione si è giunti rispetto al caso in cui la correzione della condanna alle spese contenuta in una pronuncia della Cassazione a sezioni unite presupponga una attività di interpretazione della medesima (Cass. civ., Sez. Un., 23 dicembre 2009, n. 27218, che ha anche precisato come in tale ipotesi la decisione spetti al giudice dell'esecuzione). Peraltro il principio, come chiarito dalle Sezioni Unite in una interessantissima sentenza, è opponibile solo nel caso in cui sia richiesta ad un giudice italiano la pronuncia sulle spese relative ad una sentenza di altro giudice italiano. Esso non vale invece quando sia proposta davanti al giudice italiano una domanda diretta ad ottenere la quantificazione delle spese relative ad un giudizio straniero che si fondi su una sentenza pronunciata nell'ambito di un diverso ordinamento, quale quello inglese, in cui la mancata liquidazione delle spese per il rimborso delle quali è stata emessa condanna senza determinazione di importo non integra una censurabile omissione del giudice, bensì una regola processuale (Cass. civ. Sez. un. 1 luglio 2009, n.15386, che, in applicazione del principio affermato, ha anche precisato che l'order del giudice inglese sulle spese processuali che si limiti a statuire sull'an della soccombenza è assimilabile alla pronuncia di condanna generica ex art. 278 c.p.c. e, pertanto, automaticamente riconosciuto in altro Stato membro dell'Unione. Secondo un altro indirizzo, al quale, come detto, si richiama espressamente la pronuncia in esame, la procedura di correzione di errore materiale è esperibile per rimediare all'omessa liquidazione delle spese processuali nel dispositivo della sentenza, qualora l'omissione non evidenzi un contrasto tra motivazione e dispositivo, ma solo una dimenticanza dell'estensore (così Cass. civ, sez. VI-2, 22 maggio 2015, n.10564; Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2014, n. 16959). Può inserirsi nel medesimo orientamento anche una decisione più risalente che ha ammesso il ricorso alla correzione di errore materiale per rimediare alla sentenza che avesse liquidato spese e diritti di procuratore e non gli onorari, dopo aver affermato in motivazione che le spese dovevano seguire la soccombenza (Cass. civ., sez. I, 4 settembre 2009, n.19229). Merita di essere menzionato poi anche l''orientamento che reputa emendabile con la procedura di correzione di errore materiale anche il dispositivo della sentenza che abbia omesso di disporre in ordine alle spese della consulenza tecnica d'ufficio, qualora l'omissione consista in una mera disattenzione che non assurge al rango di condizione di ammissibilità del gravame (Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 2006, n. 2605; Cass. civ., sez. sez. II, 30 ottobre 2012, n.18654, Trib. Verona 25 gennaio 2015. In quest'ultima decisione si evidenzia che nella motivazione della sentenza le spese di lite erano state poste interamente a carico del soccombente per cui poteva essere esclusa, per coerenza con la ratio decidendi, la volontà, implicita, del giudicante di restringere la portata della regola di soccombenza già espressa). Osservazioni
Al fine di comprendere l'esatta portata della ordinanza in commento è opportuno evidenziare come le pronunce che hanno ammesso il ricorso alla correzione di errore materiale al fine di emendare la disciplina delle spese contenuta nel dispositivo della pronuncia conclusiva del giudizio siano state emesse in casi in cui il giudice a quo aveva espresso la propria valutazione sull'attività difensiva svoltasi davanti a lui (Cass. n. 19229/2009) o quantomeno un giudizio di soccombenza (come nel caso esaminato da Cass. n. 16959/2014) ma aveva omesso in tutto o in parte la relativa liquidazione. Diverso è invece il caso esaminato da Cass. n. 15650/2016 poiché in esso, secondo i giudici di legittimità, la pronuncia oggetto dell'istanza di correzione aveva trascurato di valutare l'attività difensiva della parte vittoriosa in una delle due fasi di merito e nel primo giudizio di cassazione. A quella valutazione ha quindi provveduto il provvedimento in esame, che però, così facendo, ha ampliato il sindacato proprio del procedimento di correzione di errore materiale oltre i limiti fissati anche dall'indirizzo giurisprudenziale meno restrittivo, forse anche sostituendo il proprio a quello del giudice a quo. Infatti, poiché nella sentenza corretta non era stato nemmeno precisato se la liquidazione delle spese fosse riferita alle prime due fasi o a quelle successive al secondo annullamento, non può escludersi che essa fosse stata unitaria per le due fasi di merito e per le due di legittimità. Se così fosse stato il profilo della eseguità dell'importo liquidato avrebbe dovuto essere fatto valere con un autonomo mezzo di impugnazione. L'esito più coerente con le indicazioni giurisprudenziali ricordate avrebbe dovuto invece essere quello di una pronuncia di inammissibilità. E' indubbio peraltro che quella conclusione avrebbe costretto l'interessato a riproporre la domanda al giudice dell'esecuzione ed è probabilmente nella intenzione di scongiurare un simile, dispendioso, sviluppo che va ravvisata la ragione sostanziale della pronuncia. |