Verso la creazione giurisprudenziale di un rito sommario speciale incostituzionale?

20 Giugno 2017

La pronuncia in commento consente di ritornare sulla questione, invero quanto mai controversa, sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, della definizione dell'ambito di applicazione del giudizio sommario speciale di cui all'art. 14 d. lgs.150/2011.
Massima

In coerenza con il principio che le controversie per la liquidazione degli onorari e dei diritti dell'avvocato in materia giudiziale civile soggiacciono al rito di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 anche nell'ipotesi in cui la materia del contendere non sia limitata al quantum, ma riguardi l'an della pretesa, l'ordinanza che definisce il procedimento di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 non è appellabile e può quindi essere impugnata con ricorso straordinario per cassazione.

Il caso

Un avvocato propone ricorso straordinario per cassazione avverso l'ordinanza ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011 e 702-ter c.p.c. con cui il tribunale aveva accolto l'opposizione del suo ex cliente contro il decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento di prestazioni professionali giudiziali in materia civile, avendo ritenuto fondata l'eccezione di prescrizione breve di cui all'art. 2956, n. 2, c.c. avanzata dall'opponente. Il procuratore generale eccepisce l'inammissibilità del ricorso straordinario sul presupposto che - concernendo la controversia non la mera liquidazione del compenso del professionista ma la stessa sussistenza del credito professionale - l'ordinanza emessa dal tribunale avrebbe dovuto essere impugnata con l'appello.

La Corte rigetta l'eccezione affermando il principio di cui alla massima seguente.

La questione

La pronuncia in commento consente di ritornare sulla questione, invero quanto mai controversa, sia a livello dottrinale che giurisprudenziale, della definizione dell'ambito di applicazione del giudizio sommario speciale di cui all'art. 14 d. lgs.150/2011.

Le soluzioni giuridiche

In particolare la Cassazione torna a pronunciarsi sul mezzo di impugnazione esperibile avverso la decisione che concluda il procedimento per la liquidazione dei compensi di avvocato, già disciplinato nelle forme del rito camerale dagli artt. 28-30, l. n. 794/1942, che l'art. 14, d. lgs. n. 150/2011, in attuazione dell'art. 54, comma 2, lett. b), n. 2, della legge delega, ha ricondotto al rito sommario di cognizione.

In due precedenti occasioni la Suprema Corte aveva affermato che la scelta di ricondurre al procedimento sommario il procedimento di cui agli artt. 28 e ss. l. n. 794/1942 non ha comportato nessun mutamento dei presupposti di applicazione di quest'ultimo, quali erano stati individuati dalla giurisprudenza formatasi nel regime previgente.

Pertanto il giudizio di cui all'art. 14 d.Lgs. n. 150/2011, in tanto può condurre all'emanazione di un'ordinanza inappellabile (caratteristica invero che è stata mutuata dal procedimento camerale previgente), in quanto ci si mantenga nell'ambito di una verifica del quantum debeatur.

Allorquando invece la controversia si estenda all'an del credito del professionista (ad esempio quando occorra decidere su un'eccezione riconvenzionale di inadempimento o su una domanda riconvenzionale di risoluzione o quando si contesti l'insorgenza o la persistenza del diritto stesso a percepire gli onorari) viene meno la ragione per la sottrazione ad un controllo di merito in sede di appello della pronunzia terminativa del procedimento (così Cass. civ. sez. II 5 ottobre 2015 n. 19873 e in senso conforme Cass. civ., sez. VI, 14 giugno 2016 n. 12248 che ha esteso il principio al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo).

Con la pronuncia in commento invece la Corte afferma che l'ordinanza che conclude il procedimento sommario speciale è ricorribile per cassazione atteso che tale tipo di giudizio, da un lato, ha carattere obbligatorio o inderogabile e dall'altro che esso può e deve proseguire nelle forme del rito sommario speciale anche quando il thema decidendum venga ampliato all'an della pretesa.

Osservazioni

Già la prima delle premesse ricostruttive da cui muovono i giudici di legittimità non è condivisibile.

Infatti già nella vigenza degli artt. 28-30 l. n. 794/1942, tra i commentatori (Bulgarelli; Scotti) era prevalente l'opinione secondo cui l'avvocato che intendesse recuperare giudizialmente il proprio credito per prestazioni giudiziali avesse a disposizione tre diversi tipi di tutela: il procedimento previsto dalle norme suddette, il procedimento monitorio, e il giudizio ordinario di cognizione.

Dopo l'entrata in vigore della l. n. 69/2009 non si è dubitato che ai predetti istituti si fosse aggiunto il procedimento sommario di cui agli art. 702-bis e ss. c.p.c..

Ora, non pare che quel quadro sia stato minimamente mutato dal decreto semplificazione riti.

Infatti il dato letterale dell'art. 28 l. n. 794/1942 (si noti come il testo originario sia stato modificato sostituendo al all'espressione riferita all'avvocato “deve proporre” l'indicativo presente “procede”) e quello dell'art. 14 d. lgs. non consentono di ritenere che il legislatore abbia voluto incidere sul complesso degli strumenti di tutela preesistenti, nel senso di sopprimere la possibilità di ricorrere al procedimento ex art. 702-bis c.p.c. e di configurare il rito speciale di cui all'art. 14, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 come unica alternativa al giudizio ordinario, a parte la tutela monitoria.

Viceversa, l'intenzione del legislatore sembra essere stata esclusivamente quella di disciplinare ex novo il procedimento speciale di cui agli artt. 28 ss l. 13 giugno 1942, n. 794, sostituendo alle forme procedimentali descritte negli artt. 29 e 30 l. 13 giugno 1942, contestualmente abrogati, quelle dettate dall'art. 14 d.lg. 1 settembre 2011, n.150.

Ad ulteriore conforto di quanto si va dicendo deve anche osservarsi che la lettura proposta dalla decisione in esame non pare nemmeno compatibile con gli artt. 3 e 24 Cost. poiché limita, senza giustificazione, il diritto di azione dell'avvocato rispetto a quello degli altri creditori, costringendolo ad optare per solo due istituti.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte deve ritenersi che tuttora l'avvocato che agisca nei confronti del cliente per ottenere il pagamento dei propri compensi professionali avrà a disposizione, quali strumenti alternativi, oltre che al ricorso monitorio, il giudizio di cognizione ordinario e il procedimento il ricorso di cui all'art. 702-bis c.p.c. e, ove si tratti di compensi per prestazioni giudiziali in materia civile e si intenda agire presso l'ufficio giudiziario ove esse sono state rese, quello ex artt. 14 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 e art. 28, l. 13 giugno 1942, n. 749 (per una simile conclusione si vedano: Trib. Treviso,13 dicembre 2012 e Trib. Verona, 3 maggio 2013).

Ma la decisione della Suprema Corte non persuade nemmeno nella parte in cui afferma che, nel caso in cui il thema decidendum del giudizio venga ampliato all'an della pretesa, lo stesso deve proseguire nelle forme del rito sommario speciale. La tesi infatti, oltre ad essere del tutto minoritaria (è stata sostenuta dal Trib. di Torino e successivamente abbandonata, come si desume da una recente ordinanza di quell'ufficio del 21 gennaio 2015),si espone ad obiezioni difficilmente superabili.

Innanzitutto tale conclusione risulta in palese contrasto con la premessa da cui muove il giudice di legittimità circa l'ambito di applicazione del procedimento sommario speciale perché implica che tale tipo di giudizio possa continuare ad essere utilizzato anche quando esso verta sul diritto al compenso del professionista.

In secondo luogo la Cassazione non trae le dovute conseguenze dalle indicazioni che la Corte Costituzionale ha dato sul punto nella sentenza 26 marzo 2014, n. 65 e che pure vengono puntualmente riportate nella pronuncia in esame.

In quella occasione infatti il giudice delle leggi, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 d. lgs. 150/2011 nella parte in cui stabilisce la competenza del tribunale collegiale a decidere, ha chiarito con riguardo ad una delle particolarità del giudizio sommario speciale che sua non convertibilità ex art. 3, comma 1, d. lgs. 150/2011) «discende … dalla espressa prescrizione impartita dalla legge delega (art. 54, comma 4, lettera b, numero 2, della legge n. 69/2009) e corrisponde altresì alla inammissibilità – ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 – del procedimento speciale previsto dalla legge n. 794/1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso».

Da tale passo si evince come la Corte abbia aderito a quell'indirizzo interpretativo, richiamato anche nella sentenza in commento (Trib. Verona, 3 maggio 2013; Trib. Mantova 16 dicembre 2014; Trib. Lucca, 3 luglio 2015), secondo il quale nel giudizio sommario speciale non è possibile controvertere della sussistenza del diritto dell'avvocato al compenso e, qualora ciò accada, il procedimento deve chiudersi con una declaratoria di inammissibilità, ferma restando la possibilità per il professionista di far valere il suo diritto con un altro mezzo processuale.

Questo orientamento peraltro si pone in continuità con l'orientamento della Cassazione che, con riguardo all'erronea scelta del procedimento ex artt. 28 ss. L. n. 794/1942, in presenza di contestazione sull'an debeatur, non consentiva un provvedimento di mutamento del rito imponendo la declaratoria di inammissibilità della domanda (Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2011, n. 17053; Cass. civ., sez. II, 09 settembre 2008, n. 23344).

Del resto nella relazione ministeriale al d. lgs. n. 150/2011 c'è un passaggio nel quale il legislatore delegato rivela chiaramente la sua intenzione di mantenere inalterate nel nuovo modello le caratteristiche che aveva assunto il procedimento camerale. Si legge infatti in tale documento che: «Al riguardo, non è stato ritenuto necessario specificare che l'oggetto delle controversie in esame è limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative (passaggio questo che rileva ai fini della valutazione delle questioni qui esposte). Tale conclusione, ormai costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, non viene in alcun modo incisa dalla presente disciplina, in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i presupposti dell'azione, contenuta nella legge 13 giugno 1942 n. 794».

Sul punto deve anche osservarsi che all'adozione di una pronuncia di inammissibilità nel caso di cui si discute, non osta, come ha invece ritenuto la Corte di Cassazione, la circostanza che al procedimento sommario speciale sia inapplicabile il disposto dell'art. 702-ter, secondo comma, c.p.c., giacchè tale previsione si ricollega a quella (art. 702-bis, primo comma, c.p.c.) che limita al giudizio davanti al tribunale monocratico l'applicazione del rito sommario e la deroga ad essa nel procedimento sommario speciale è diretta conseguenza della scelta legislativa di estendere tale rito al collegio.

A ben vedere poi la decisione qui massimata non pare aver considerato le conseguenze dell'opzione prescelta.

La soluzione di far proseguire il procedimento nelle forme del rito sommario speciale, nonostante l'ampliamento del thema decidendum, risulta infatti poco compatibile con i principii costituzionali, ed in particolare con il parametro dell'art. 24 Cost., poiché consente che la parte priva di competenza giuridica continui a difendersi personalmente e sottrae alla parte soccombente un grado di giudizio, dovendo trovare applicazione il disposto dell'art. 14, quarto comma, d.lgs. 150/2011.

Si noti che la riserva di collegialità è stata individuata dalla Corte Costituzionale nella sopra citata sentenza quale misura per bilanciare la riduzione dei rimedi e delle garanzie conseguenti alle evidenziate peculiarità del procedimento ma sempre sul presupposto che esso abbia ad oggetto solo l'entità della somma richiesta dall'avvocato (in termini analoghi anche Corte cost., 1° marzo 1973, n. 22; Corte cost., 6 dicembre 1976, n. 238 e Corte cost., 11 aprile 2008, n. 96 con riguardo al procedimento camerale previgente).

Può quindi affermarsi che il principio del doppio grado di giudizio non ha tutela costituzionale solo se la materia del contendere rimane così circoscritta.

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