La Cassazione sull’ordinanza ex art. 423 c.p.c.: provvedimento non decisorio che non sopravviene all’eventuale estinzione del giudizio
22 Giugno 2017
Il caso. Il sig. F.C. si opponeva al fallimento per ottenere l'ammissione al credito oggetto di domanda tardiva, derivante dal rapporto di lavoro intercorso con la società S.R.S.. Il tribunale respingeva l'opposizione ritenendo prescritto il credito dell'istante ex art. 2945, comma 3, c.c., non potendo considerarsi validi atti interruttivi né la notifica dell'ordinanza delle somme non contestate, né i successivi atti di precetto e di pignoramento, e nemmeno l'atto di riassunzione, resosi necessario a seguito dell'intervenuto fallimento. La questione giungeva all'esame della Suprema Corte. Il motivo che interessa in questa sede è il secondo, con cui il ricorrente sig. F.C. denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 423 comma 1, c.p.c., sostenendo la natura definitiva dell'ordinanza che conserva i suoi effetti anche nel caso di estinzione del giudizio, in deroga al disposto ex art. 310 comma 2, c.p.c..
«Il motivo è infondato». L'ordinanza di cui all'art. 423 c.p.c. è «un provvedimento a cognizione sommaria, privo di decisorietà (e quindi non assimilabile alla sentenza di condanna generica) non preclusivo del riesame delle questioni in esso affrontate, e revocabile con la sentenza che definisce il giudizio» e, nel caso di specie, è rimasto travolto dall'estinzione del giudizio di lavoro, ex art. 310 c.p.c. (Cass. Sez. Un., n. 9479/1997; Cass., Sez. Un., 3466/1988). In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso. |