Questioni processuali sul provvedimento che dispone la divisione
22 Settembre 2016
Massima
In tema di scioglimento di comunione avente ad oggetto un immobile, il requisito della comoda divisibilità del bene, ai sensi degli artt. 720 e 1114 c.c., postula che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento, che possano cioè formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l'aspetto economico-funzionale, che la divisione non incida sull'originaria destinazione del bene ovvero non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole porzioni rispetto al valore dell'intero.
Il caso
Un creditore procedente, a seguito di pignoramento della quota di una proprietà indivisa del suo debitore, promuove ai sensi dell'art. 600 c.p.c. e 1114 c.c. il giudizio di scioglimento della comunione di un immobile, chiedendo l'assegnazione a ciascuno dei condividenti di quote in natura o del prezzo ricavato dalla vendita forzosa del bene comune, pari alla quota di proprietà. Il creditore procedente deposita documentazione comprovante la non comoda divisibilità dell'immobile. Pur essendo stato regolarmente citato in giudizio, non si costituiva l'altro condomino. Nonostante ciò, il giudice disponeva la divisione con sentenza e la vendita del bene con ordinanza. In quest'ultimo provvedimento si prevede che all'esito della vendita si proceda all'attribuzione delle quote del ricavato in proporzione alle rispettive percentuali di comproprietà. La questione
La pronuncia in esame è interessante sotto due profili. In primo luogo, la sentenza consente di chiarire secondo quali modalità si deve procedere alla divisione di un bene comune. In secondo luogo, essa compie alcune riflessioni sulla forma del provvedimento usato dal giudice per disporre la divisione. Le soluzioni giuridiche
Il giudice dirige di norma le operazioni necessarie alla specificazione del contenuto della quote, operazioni con le quali si mira alla formazione e valutazione della massa da dividersi, alla individuazione delle quote e alla assegnazione. L'individuazione dell'oggetto materiale costituisce il supporto reale della modificazione giuridica richiesta: il transito dallo stato di proprietà comune alla proprietà individuale che insiste, però, su di un oggetto minore del precedente. Queste attività possono essere delegate in tutto o in parte a notaio. È il codice civile agli artt. 718 ss. e 1114 a stabilire le condizioni della divisione materiale dei beni comuni. Costituisce principio prioritario della divisione che ciascun condividente abbia diritto di avere la propria parte in natura. Deve tuttavia considerarsi che la concreta realizzazione di tale diritto, nella varietà delle singole situazioni concrete, quasi mai impone una soluzione unica, ma consente di regola una molteplicità di soluzioni diverse, inevitabilmente rimesse ad una valutazione relativamente discrezionale da parte del giudice. Ciò significa che ciascun condividente, nel momento in cui chiede la divisione, può aspirare solo ad un risultato generico, consistente nel conseguimento di una quantità di ricchezza, in natura o per equivalente, pari al valore della sua quota; e seppur potrà pretendere che il giudice applichi nel modo più rigoroso possibile le regole divisorie stabilite dal codice civile (artt. 718-731), egli non può mai considerarsi titolare di un diritto predeterminato avente ad oggetto l'assegnazione dell'uno o dell'altro dei beni compresi nella comunione o l'attribuzione di una somma di denaro (Trib. Roma, 25 febbraio 2003). Secondo la Cassazione (Cass. civ., sez. II, 4 giugno 2013, n. 14111), l'art. 720 c.c. costituisce una deroga all'art. 718 c.c., non solo nel caso di mera non divisibilità dei beni, ma anche in ogni ipotesi in cui gli stessi non siano comodamente divisibili, situazione, questa, che ricorre nei casi in cui, pur risultando il frazionamento materialmente possibile sotto l'aspetto strutturale, non siano tuttavia realizzabili porzioni suscettibili di formare oggetto di autonomo e libero godimento, non compromesso da servitù, pesi o limitazioni eccessive, e non richiedenti opere complesse o di notevole costo, ovvero porzioni che, sotto l'aspetto economico-funzionale, risulterebbero sensibilmente deprezzate in proporzione al valore dell'intero. Nella valutazione della comoda divisibilità dei beni va considerato, infine, anche il costo delle operazioni di divisione, che non deve essere tale da annullare il vantaggio economico conseguibile di condividenti (v. sul punto Trib. Reggio Emilia, 25 agosto 2015, n. 1160). In caso di non comoda divisibilità beni, le parti possono chiedere l'attribuzione del bene ai sensi dell'art. 720 c.c. Secondo giurisprudenza di merito (Trib. Mantova, 2 febbraio 2012, in Giur. it., 2012, 2109, con nota di Di Cola) le preclusioni attualmente previste nel codice di rito si applicherebbero anche al giudizio di divisione. Di conseguenza, l'istanza di attribuzione di un immobile non comodamente divisibile, formulata da uno o più condividenti ai sensi dell'art. 720 c.c., da qualificarsi come eccezione o come istanza di precisazione delle conclusioni, dovrebbe essere considerata tardiva, se presentata dopo la scadenza dei termini di cui all'art. 183 c.p.c. L'emanazione dell'ordinanza ex art. 788 c.p.c. precluderebbe, insomma, la possibilità di formulare l'istanza di assegnazione, posto che alla vendita si potrebbe fare luogo solo quando nessuno dei condividenti abbia formulato l'istanza di cui all'art. 720 c.c. In verità, nel momento in cui il giudice dispone la vendita ai sensi degli artt. 787 e 788 c.p.c. si dovrebbero seguire le disposizioni proprie della vendita forzata. Si passa infatti alla fase esecutiva e di questa bisogna seguire le regole. Secondo una Cassazione più risalente (Cass. civ., 14 aprile 2008, n. 12119), tuttavia, l'art. 720 c.c. si configurerebbe come un'eccezione alle regole proprie dell'esecuzione forzata applicabili alla divisione in virtù del richiamo operato dalla normativa sulla divisione: «Nel giudizio di divisione, la richiesta di attribuzione, proponibile solo in caso d'indivisibilità del bene, ex art. 720 c.c., costituisce una modalità attuativa della divisione che ne paralizza la vendita anche se precedentemente disposta dal giudice, trattandosi di una mera specificazione della domanda di scioglimento della comunione, formulabile anche in appello». Questa giurisprudenza è confermata da una pronuncia più recente della Cassazione (Cass. civ., 17 aprile 2013, n. 9367) secondo la quale: «Il giudizio di scioglimento di comunioni non è del tutto compatibile con le scansioni e le preclusioni che disciplinano il processo in generale, intraprendendo i singoli condividenti le loro strategie difensive anche all'esito delle richieste e dei comportamenti assunti dalle altre parti con riferimento al progetto di divisione ed acquisendo rilievo gli eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi, che modifichino il numero e l'entità delle quote; ne deriva il diritto delle parti del giudizio divisorio di mutare, anche in sede di appello, le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l'attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, integrando tale istanza una mera modalità di attuazione della divisione». Ancora sul punto si richiama una pronuncia della Cassazione (Cass. civ., 17 luglio 2014, n. 16376), secondo la quale: «Nell'esercizio del potere di attribuzione dell'immobile ritenuto non comodamente divisibile, ed a maggior ragione quando le quote siano uguali e non soccorra quindi l'unico criterio indicato dalla legge (di preferire, cioè il condividente avente diritto alla maggior quota), il giudice non trova alcun limite nelle disposizioni dettate dall'art. 720 c.c., da cui gli deriva al contrario, un potere perfettamente discrezionale nella scelta del condividente al quale assegnarlo, potere che trova il suo temperamento esclusivamente nell'obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dover dare la preferenza all'uno piuttosto che all'altro degli aspiranti all'assegnazione e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità, potendo essere oggetto di controllo soltanto la logicità intrinseca e la sufficienza del ragionamento operata dal giudice di merito». Passiamo all'esame della seconda questione. Ai sensi dell'art. 789, comma 3 c.p.c., se non sorgono contestazioni, il giudice istruttore, con ordinanza non impugnabile [art. 177, comma 3, n. 2], dichiara esecutivo il progetto, altrimenti provvede a norma dell'art. 187 c.p.c. Nell'ipotesi di specie, perciò, il giudice avrebbe dovuto disporre con ordinanza, non con sentenza. Siamo davanti ad un caso di provvedimento anomalo o abnorme, caratterizzato da una forma non corrispondente alla sostanza di cui si veste. Di fronte ad un fenomeno di questo tipo, si pone il problema di quale sia il regime di impugnazione da seguire, quello proprio della forma, in questo caso della sentenza, ovvero della sostanza, nell'ipotesi di ordinanza non impugnabile. La giurisprudenza è oscillante. La maggior parte delle pronunce riguardano, in realtà, il caso opposto a quello considerato, la pronuncia di ordinanza in luogo di sentenza (Cass. civ., sez. un., 2 novembre 2012, n. 16727, in in Foro it., 2013, I, 220 ss., con nota di Lombardi, e in Giur. it., 2013, 1623 ss., con nota di Di Cola): «L'ordinanza che, in presenza di contestazioni, dichiari esecutivo il progetto divisionale sostituisce la sentenza che dovrebbe essere pronunciata per la risoluzione delle proposte contestazioni. In questa funzione oggettivamente sostitutiva della sentenza, si deve individuare la ragione della necessità di consentire avverso l'ordinanza il medesimo rimedio impugnatorio che sarebbe stato proponibile nel caso in cui la decisione sulle contestazioni fosse stata adottata con sentenza. Non si deve infatti sottovalutare il rilievo che, una volta che le contestazioni siano state formalizzate, l'ordinanza che dichiara esecutivo il progetto divisionale contiene comunque una decisione sulle stesse. E ciò, sia nel caso in cui vi sia una esplicita pronuncia di rigetto della contestazione, sia nel caso in cui si voglia ritenere che il giudice abbia implicitamente rigettato la contestazione; sia infine nel caso in cui si voglia ipotizzare che il giudice abbia solamente omesso di provvedere». Se nell'ipotesi di ordinanza pronunciata in presenza di contestazione espressa non vi è più dubbio che si debba applicare «il principio della prevalenza della sostanza sulla forma», impugnando il provvedimento in base alla sua natura, non al suo aspetto esteriore; dubbi permangono in caso di altri errori formali del giudice. Un'altra sentenza della stessa Cassazione (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2011, n. 390, in Giust. civ., 2011, I, 623) ha stabilito, infatti: «in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari ed altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento - sentenza oppure ordinanza ex art. 30 l. 13 giugno 1942, n. 794 - che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento …» Osservazioni
Nel caso di specie sembra preferibile dare precedenza alla forma, viste le garanzie legate al provvedimento “sentenza” e all'affidamento che su di esso pongono le parti; perciò, in applicazione del “principio dell'apparenza ed affidabilità”, si deve concedere alla parte contumace appello contro la sentenza che approva il progetto di divisione, anche senza che ci sia stata sua contestazione sul progetto di divisione in primo grado. Questa ci sembra sia la soluzione più garantista. CAPPONI, Espropriazione dei beni indivisi, in Bove-Capponi-Marinetto-Sassani, L'espropriazione forzata, diretta da Proto Pisani, Torino, 1988, 152 ss.; DI COLA, L., L'oggetto del giudizio di divisione, Milano, 2011; DI COLA, L., L'istanza di assegnazione del bene non comodamente divisibile come precisazione della domanda di divisione, in in Giur. it., 2012, 2109; DI COLA, L., L'impugnazione dell'ordinanza ex art. 789, comma 3 c.p.c. emessa nonostante la presenza di contestazioni, in Giur. it., 2013, 1623 ss. ; LOMBARDI, R., Contributo allo studio del giudizio di divisione, Napoli, 2009. |