Giudizio di danni promosso contro l'impresa designata dal fondo di garanzia e la (successiva) identificazione del responsabile

Francesco Bartolini
24 Gennaio 2017

La legittimazione passiva dell'impresa designata dal Fondo di solidarietà per le vittime della strada, nel caso di domanda di risarcimento per danni cagionati da veicolo non identificato, permane per tutto il corso del procedimento anche se nelle more del giudizio il veicolo viene identificato.
Massima

Nel caso di sinistro cagionato da veicolo non identificato, il danneggiato, esaurito lo spatium deliberandi previsto dalla legge, potrà agire nei confronti dell'impresa designata per conto del Fondo di solidarietà vittime della strada allegando e provando, oltre al fatto che il sinistro si è verificato per condotta dolosa o colposa del conducente di un altro veicolo, che quest'ultimo non era identificabile in forza di circostanze oggettive, non dipendenti da sua negligenza; la legittimazione passiva, processuale e sostanziale, dell'impresa designata rispetto a tale sinistro rimarrà stabilizzata per tutto il corso del giudizio, anche nel caso in cui si accerti successivamente l'identità del responsabile, nei cui confronti la stessa impresa designata, adempiuta la sentenza di condanna al risarcimento del danno, potrà agire in via di regresso.

Il caso

La domanda nei confronti dell'impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada fu proposta per ottenere il risarcimento del danno cagionato, all'attore, dal decesso di un congiunto che, caduto sull'asfalto dal motorino, risultava esser stato travolto da alcuni veicoli. Di questi veicoli ne fu identificato soltanto uno, condotto da un automobilista che, sottoposto a processo penale, venne prosciolto dall'imputazione per non aver commesso il fatto. Nel giudizio civile di primo grado, gli accertamenti tecnici disposti per la ricostruzione dell'accaduto esclusero che altri automezzi, diversi da quello già individuato, avessero concorso a dar causa al decesso della vittima. Ne seguiva, in fatto, il venir meno del presupposto sul quale si fondava l'azione risarcitoria intrapresa nei confronti dell'impresa designata dal Fondo. La vicenda oggetto di processo era venuta a risolversi nell'investimento del deceduto ad opera di un veicolo identificato e il conducente che aveva cagionato l'evento lesivo non era più sconosciuto. Sull'assunto dell'esser dunque venuta meno la legittimazione passiva dell'impresa assicuratrice convenuta, la pretesa risarcitoria è stata respinta. Analoga decisione è stata pronunciata dal giudice di appello.

Con il ricorso per cassazione, l'originaria parte attrice deduce, in principalità (e questo motivo è stato ritenuto assorbente, dalla Corte di cassazione, di altre ragioni, svolte nell'atto di gravame) l'erronea interpretazione dell'art. 19, primo comma, lett. a) della legge n. 990/1969, applicabile ratione temporis (checonsente l'azione risarcitoria nel caso di incidente con veicolo rimasto sconosciuto): articolo il cui dettato va inteso, si afferma, nel senso che la sopravvenuta identificazione del veicolo antagonista nell'incidente stradale non priva di legittimazione passiva la società assicuratrice nei cui confronti sia stata nel frattempo proposta la domanda di risarcimento, nella sua qualità di impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada.

La questione

La questione posta all'esame della Suprema Corte concerne il venir meno, durante lo svolgersi della controversia per il risarcimento del danno, ed anzi, per effetto delle indagini espletate nel corso di questa controversia, del presupposto sul quale si fonda la legittimazione passiva all'azione risarcitoria di una compagnia assicuratrice individuata non già per il rapporto contrattuale esistente con il responsabile del fatto ma in forza di una designazione avente una funzione solidaristica: presupposto costituito dall'essere rimasto non identificato il veicolo (o il natante) che ha cagionato il sinistro. La soluzione del quesito parrebbe ovvia, ove si considerasse soltanto che, una volta accertati gli estremi individuativi del veicolo, da questo accertamento consegue direttamente l'identificazione del suo proprietario (se non anche quella del conducente) e, pertanto, anche la verifica di esistenza di una polizza assicurativa per la responsabilità da circolazione: estremi che escludono l'applicazione delle norme di cui al ricordato art. 19 legge assicurazioni. E tuttavia, occorre tener conto che i tempi richiesti dal processo civile possono condurre ad ottenere quell'accertamento a distanza di molti anni dal fatto (come è avvenuto nella vicenda di specie), con i problemi che ne conseguono in tema di nuovo inizio dell'esercizio dell'azione civile e in tema di decorso della prescrizione dell'azione.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha dichiarato corretta l'interpretazione dell'art. 19 legge 990/1969 (il testo è oggi traslato nell'art. 283 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209) suggerita dal ricorrente nei suoi motivi di ricorso. Il presupposto per l'intervento del Fondo di garanzia è costituito dalla dimostrazione, che l'interessato deve fornire, che il sinistro fonte del danno è stato cagionato da un veicolo rimasto non identificato nonostante le indagini di polizia e i diligenti interessamenti di essa stessa parte attrice. Una volta così radicate le condizioni per il sorgere della legittimazione passiva nell'azione risarcitoria, questa legittimazione permane, insensibile al fatto che ulteriori accertamenti od ulteriori vicende conducano all'identificazione dell'autore del fatto.

La sentenza d'appello è stata cassata, con rinvio alla Corte d'appello per un nuovo esame del merito conforme al principio di diritto enunciato.

La motivatissima pronuncia della Corte si articola attraverso plurime argomentazioni.

Essa considera inizialmente gli oneri che la legge attribuisce al danneggiato per poter ricorrere alla tutela offerta dal Fondo di garanzia. L'interessato, si afferma, non può limitarsi ad allegare un mero stato di incertezza soggettiva in ordine all'identificazione del veicolo che assume esser stato causa dell'incidente ma deve dimostrare di aver usato l'ordinaria diligenza, alla stregua della condotta esigibile dal bonus paterfamilias, ai sensi dell'art. 1176 (come già indicato con la sentenza n. 274/2015). Al predetto non possono essere accollati oneri di indagini articolate o complesse, ulteriori rispetto a quelle di competenza degli organi di polizia, conseguenti alla denuncia dell'accaduto; ma devono essere richieste attivazioni nell'ambito dell'ordinaria diligenza, secondo le circostanze della fattispecie (in proposito la motivazione rimanda alle pronunce di Cass. 13 luglio 2011, n. 15367; di Cass. 8 marzo 1990, n. 1860; di Cass. 25 luglio 1995, n. 8086; di Cass. 3 settembre 2007, n. 18532; di Cass. 4 novembre 2014, n. 23434; di Cass. 18 settembre 2015, n. 18308). Da questa premessa si trae il principio per il quale, nel caso di sinistro causato da veicolo (o natante) non identificato, il titolo per chiedere il risarcimento al Fondo di garanzia sorge allorquando l'identificazione è risultata impossibile per circostanze oggettive, da valutare caso per caso, e non imputabili a negligenza della vittima.

L'attore pertanto è ammesso ad agire, nei confronti dell'impresa designata dal Fondo, quando assume la non identificabilità del veicolo, se supporta questa allegazione con la prova dell'impossibilità oggettiva di giungere all'identificazione del responsabile. Questa prospettazione soddisfa la condizione dell'azione costituita dalla legitimatio ad causam ed è sufficiente a soddisfare anche il profilo della titolarità passiva sostanziale del rapporto giuridico sul quale si fonda la domanda. L'obbligazione risarcitoria, per tal modo, si stabilizza al momento della proposizione della domanda e la legittimazione non viene meno nel caso in cui, nel corso del giudizio, si giunge all'identificazione del responsabile. A sostegno di questa affermazione la Corte ha evidenziato elementi di convincimento che si desumono dallo stesso testo della legge n. 990/1969, ora in gran parte trasferita nel D.Lgs. n. 209/2005.

L'art. 29 della detta legge del 1969 (oggi, art. 292 del D.Lgs. n. 209/2005) dispone che l'impresa designata, la quale abbia, anche in via di transazione, risarcito il danno nei casi previsti dal primo comma dell'art. 19, ha azione di regresso nei confronti del responsabile del sinistro per il recupero dell'indennizzo pagato nonché dei relativi interessi e spese. La norma, dunque, presuppone indefettibilmente che l'intervenuta identificazione del responsabile non privi della legittimazione passiva all'azione di risarcimento l'impresa designata; bensì le riconosce il diritto al rimborso dopo che essa abbia provveduto al risarcimento. La cennata identificazione può avvenire durante lo spatium deliberandi che la normativa impone di osservare al danneggiato intenzionato a convenire in giudizio l'impresa designata. Ma, nella stesa previsione di legge, può avvenire anche in seguito, pur dopo la prestazione dell'indennizzo, con la conseguenza, in questo secondo caso, di non influire più sul corso della controversia. Il fatto che la normativa richiamata contempli espressamente anche la transazione, quale titolo per l'azione di regresso, estende il novero dei titoli che legittimano l'impresa ad agire per il rimborso; e lascia contestualmente intendere che si possa giungere anche ad una condanna dell'impresa, pure se ormai esiste un soggetto al quale chiedere il rimborso. Ne segue che il diritto di regresso va riconosciuto all'impresa evocata in giudizio anche se essa è stata condannata a risarcire il danno, quando il responsabile del danno è stato identificato nel corso del giudizio.

Inoltre, l'art. 22, L. n. 990/1969 (ora art. 283 D.Lgs. 209/2005) esonera il danneggiato dal rinnovare la richiesta di risarcimento del danno già avanzata nei confronti dell'impresa designata qualora successivamente venga identificato l'assicuratore del responsabile. La norma è destinata ad agire in un ambito preprocessuale, volto al componimento stragiudiziale della lite, ma è citata dalla Corte a dimostrazione dell'intento legislativo che caratterizza tutta la disciplina. La prima richiesta è considerata sufficiente a produrre un effetto, al tempo stesso, esaustivo ed acceleratorio anche sul piano processuale, quale elemento idoneo a soddisfare la condizione di proponibilità della domanda giudiziale, anche se non indirizzata al soggetto cui dovrebbe essere rinnovata.

L'interpretazione come sopra formulata si armonizza, a detta della Corte, perfettamente con quella concernente la normativa comunitaria e con i principi costituzionali.

La complessiva disciplina dell'assicurazione della responsabilità civile per danni da circolazione risponde pienamente alle direttive europee ispirate ad assicurare la maggior tutela possibile alle vittime della strada. Sul punto, la motivazione ricorda l'art. 1, comma 4, della Direttiva CE del Consiglio 30 dicembre 1983, n. 84/5, poi trasfuso nell'art. 10, comma 1, Dir. 2009/103/CE del 16 settembre 2009, nonché alcuni Considerando di queste direttive, che contribuiscono a porre in essere un principio solidaristico inderogabile per il nostro ordinamento: quello della massimizzazione della tutela del danneggiato dalla circolazione stradale. Questo principio è stato riaffermato, più volte, dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea (Corte CE sent. 28 marzo 1996, causa C-129/94, Bernaldez; Corte CE sent. 30 giugno 2005, causa C-537/03, Candolin; Corte CE sent. 9 giugno 2011, causa C-409/09, Lavrador; Corte CE sent. 17 marzo 2011, causa C-484/09, Carvalho Ferreira Santos); dalla Corte costituzionale (Corte cost. sentenze n. 83/1977 e n. 235/2014); e dalla stessa Corte di cassazione (tra le altre, Cass. 30 agosto 2013, n. 19963).

Il principio, così da più fonti affermato, è dalla Corte coniugato con quello dell'effettività della tutela giurisdizionale in forza di un processo che deve essere giusto e di durata ragionevole, nella lettura della normativa che deve darsi alla luce dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cass., Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144). La garanzia del diritto di azione sarebbe irragionevolmente frustrata ove l'esercizio di questa dovesse diventare inutilmente praticato a fronte dell'identificazione del responsabile nel corso di un procedimento legittimamente iniziato sul presupposto della mancata identificazione di tale soggetto. Al danneggiato verrebbe imposto di attivarsi per un nuovo ed ulteriore giudizio contro il responsabile successivamente “scoperto”: mentre l'impresa designata è comunque presidiata nelle proprie ragioni sostanziali dal diritto, che le è riconosciuto, di regresso verso questo responsabile del fatto identificato tardivamente. Essa può avvalersi, per tal modo, della sterilizzazione del termine di prescrizione della sua azione sino al momento dell'avvenuto pagamento e nei riguardi di un soggetto rimasto estraneo al processo di risarcimento.

Anche il principio di effettività della tutela in giudizio, si conclude, è valore costituzionalizzato: Corte cost., sent., n. 238/2014.

Osservazioni

La pronuncia della Corte merita piena adesione.

Non accade sovente che si venga ad identificare il veicolo investitore e il suo proprietario o conducente, in un procedimento intrapreso sul presupposto che una vittima di incidente stradale meriti la solidarietà delle istituzioni per essere rimasto sconosciuto l'autore del danno da lui riportato. Quando ciò avviene, afferma la Corte di cassazione, resta ferma l'azione intrapresa nei confronti dell'impresa assicurativa designata dal Fondo di garanzia. E il responsabile dell'evento lesivo non rimane indenne per il fatto di essere un estraneo rispetto al giudizio di risarcimento svoltosi tra altre parti. Il cerchio si chiude con l'azione di regresso che l'impresa designata ha titolo di esercitare nei suoi confronti.

Gli argomenti in diritto, desunti dal testo della legge sull'assicurazione obbligatoria (oggi Codice delle assicurazioni private) e dalle pronunce comunitarie e della Corte costituzionale, sono decisivi a costituire il fondamento della decisione che si annota. Questa decisione ha dalla sua parte anche una esigenza fondamentale che permea larghe parti del diritto in genere e di quello processuale in specie. Il tempo occorrente a pervenire alla conclusione del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione, affermava il Chiovenda. L'insegnamento era riferito allo spazio temporale necessario agli adempimenti processuali e alla necessità che gli effetti della domanda retroagissero al momento della sua proposizione. Ma lo stesso principio, così enucleato e pur strettamente processuale, può essere esteso a tutte le occasioni nelle quali eventi posteriori vengono a mutare i presupposti e le condizioni osservate dall'attore per ottenere il riconoscimento del suo diritto. Anche per questo aspetto un processo può dirsi “giusto”.

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