Consulenza tecnica percipiente: quando la violazione del contraddittorio non rende nulla la relazione
23 Marzo 2017
Massima
Sulla validità della relazione del consulente tecnico d'ufficio non incide l'eventuale nullità di alcune rilevazioni od accertamenti compiuti dal consulente medesimo, per violazione del principio del contraddittorio e conseguente pregiudizio del diritto di difesa delle parti, ove tali rilevazioni od accertamenti non abbiano spiegato alcun effetto sul contenuto della consulenza e sulle relative conclusioni finali. Tale incidenza deve essere dedotta con onere a carico del ricorrente. Il caso
La decisione della Corte trae origine da un caso piuttosto semplice, ma proprio per questo paradigmatico. Il proprietario di un appartamento intraprende la ristrutturazione del pavimento e delle parti strutturali di sostegno dello stesso, finendo per coinvolgere il solaio dell'unità abitativa sottostante. In particolare, risulta che i lavori abbiano di fatto abbassato il solaio sino al limite dell'intradosso delle travi di sostegno a vista che in precedenza costituivano il soffitto dell'unità sottostante, inglobando nella nuova struttura muraria lo spazio precedentemente esistente fra l'una e l'altra trave di sostegno. Il vicino “sottostante” propone una denuncia di nuova opera, cui segue l'ammissione di una CTU. Sia la sentenza di primo grado che quella di secondo grado danno torto al ricorrente, ritenendo peraltro indimostrato un danno, anche in considerazione della contraddittorietà di alcuni scritti difensivi della parte che aveva lamentato di aver subito un pregiudizio dalle altrui opera edili. La questione
I sei motivi di impugnazione avanzati nei confronti della decisione di secondo grado riguardano, in sintesi, i seguenti aspetti: a) I primi due motivi concernono la legittimazione passiva del resistente e l'attività ermeneutica di interpretazione degli atti difensivi delle parti compiuta dai giudici dell'appello; b) Il terzo motivo affronta il merito del rigetto, sostenendo che lo spazio esistente fra le travi a vista di sostegno del solaio soprastante non potessero considerarsi (diversamente dalle parti strutturali) di proprietà comune ai soggetti coinvolti, dovendosi invece ritenere che tale spazio fosse di proprietà esclusiva del titolare dell'appartamento sottostante; c) Con il quarto e quinto motivo si contesta l'avvenuto rigetto della domanda risarcitoria, ritenendo che l'abbassamento della volumetria dovuta alla nuova costruzione comporti un danno per il proprietario inciso nel godimento dell'unità immobiliare sottostante, con conseguente diritto al risarcimento del danno, dovendosi al riguardo tenere conto necessariamente delle risultanze della CTU; d) Con il sesto motivo, infine, si censura la sentenza di rigetto per non aver preliminarmente pronunciato la nullità della CTU disposta in primo grado. Le soluzioni giuridiche
Il S.C. premette alla trattazione degli altri motivi proprio il sesto, relativo alla presunta invalidità della sentenza impugnata per non aver dichiarato la nullità della CTU espletata in primo grado, per difetto del contraddittorio. E'infatti evidente che, pur essendo per il ricorrente un motivo subordinato agli altri, in realtà tale censura riveste per l'organo decidente un carattere pregiudiziale al fine di valutare la validità della statuizione impugnata e la correttezza del materiale probatorio utilizzato, elementi questi in grado di condizionare potenzialmente la successiva impugnazione nel merito. A tale riguardo il S.C. inizia con il rilevare la genericità della censura, per non aver individuato con esattezza in quale momento delle operazioni il contraddittorio non sarebbe stato osservato e per non aver distinto, in particolare, fra asserite omissioni degli avvisi relativi alla prima riunione, ovvero a successivi sopralluoghi o riunioni da parte del consulente d'ufficio. E'noto come l'art. 90 delle disp.att. c.p.c. preveda che “il consulente tecnico che, a norma dell'art. 194 del codice, è autorizzato a compiere indagini senza che sia presente il giudice, deve dare comunicazione alle parti del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni, con dichiarazione inserita nel processo verbale d'udienza o con biglietto a mezzo del cancelliere”. La giurisprudenza ha al riguardo precisato che “in tema di consulenza tecnica d'ufficio, ai sensi degli artt. 194 c.p.c. e art. 90, comma 1 disp. att. c.p.c., alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, mentre l'obbligo di comunicazione non riguarda le indagini successive, incombendo alle parti l'onere di informarsi sul prosieguo di queste al fine di parteciparvi; tuttavia, ove il consulente d'ufficio rinvii le operazioni a data da destinarsi e successivamente le riprenda, egli ha l'obbligo di avvertire nuovamente le parti, e l'inosservanza di tale obbligo può dar luogo a nullità della consulenza - peraltro relativa e quindi sanabile se non dedotta nella prima difesa o udienza successiva - ma solo se quella inosservanza abbia comportato in concreto un pregiudizio per il diritto di difesa” (Cass., 2 marzo 2004, n. 4271; cfr. altresì Cass. 29/03/2006, n. 7243, secondo cui “in tema di consulenza tecnica d'ufficio, l'omesso avviso dell'inizio delle operazioni del consulente, da effettuarsi ai sensi dell'art. 91 disp. att. c.p.c., configura un caso di nullità relativa, che la parte interessata è onerata a far valere nella prima istanza o difesa utile successiva al deposito della relazione dell'ausiliario del giudice, verificandosi, in caso di mancata proposizione tempestiva della relativa eccezione, la sanatoria della suddetta nullità”). Anche a prescindere da tale rilievo, pure assorbente, la decisione in commento richiama Cass., 27 luglio 2011, n. 16441, secondo cui il principio della limitazione oggettiva della nullità dell'atto processuale, contenuto nell'art 159, comma 2, c.p.c., è applicabile anche in presenza di un atto finale che costituisce la risultante di una serie di atti distinti l'uno dall'altro, cioè di attività continuativa nel tempo e frazionabile in momenti autonomi. In particolare, se una parte dell'attività di accertamento e rilevazione dei dati compiuta dal consulente tecnico sia invalida, perché svolta in violazione del principio del contraddittorio e al di fuori del necessario controllo delle parti, qualora quella frazione di attività non si sia riverberata sull'atto conclusivo, consistente nella relazione di consulenza, il vizio non si traduce in una nullità che possa assumere rilevanza. L'affermazione o la esclusione del suddetto nesso di dipendenza forma oggetto di un apprezzamento riservato al giudice di merito, in quanto intimamente connesso con la valutazione delle risultanze della relazione peritale, ed è perciò insindacabile in sede di legittimità. Una volta respinta l'eccezione di nullità della CTU e quindi il motivo di invalidità della decisione impugnata, il S.C. accoglie tutti i motivi di ricorso nel merito avanzati dal ricorrente, rigettando, invece, quello relativo ad una presunta carenza di legittimazione del convenuto (in quanto comunque costituitosi in giudizio quale proprietario dell'immobile sovrastante quello inciso dalle opere, rendendo di fatto irrilevante la sua figura di successore ed a quale titolo di altro soggetto interdetto); dichiarando altresì inammissibile quello relativo ad un presunto errore ermeneutico compiuto dai giudici sul contenuto e la portata degli atti del processo (risultando improprio il riferimento agli artt. 1361 e 1363 c.c. e dando luogo detta attività ad un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito). Nel merito invece, come anticipato, il ricorso risulta vincente “su tutta la linea”, in quanto: a) il solaio esistente fra i piani sovrapposti di un edificio è oggetto di comunione fra i rispettivi proprietari per la parte strutturale che, incorporata ai muri perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura di quello inferiore, mentre gli spazi pieni o vuoti che accedono al soffitto od al pavimento, e non sono essenziali all'indicata struttura rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale; in particolare appartiene al diritto esclusivo del proprietario dell'immobile sottostante lo spazio vuoto fra l'una e l'altra trave a vista di sostegno del solaio posto fra i due piani (al riguardo si richiamano Cass.2868/1978 e Cass., 13606/2000); b) viene ritenuta scorretta l'esclusione – operata dai giudici di secondo grado – di un danno risarcibile, omettendo di considerare le risultanze e le misurazioni delle altezze contenute nella CTU comunque espletata, considerato altresì che la riduzione di volumetria operata a danno del proprietario dell'unità sottostante comporta di per sé un danno conseguenza sia per la diminuzione del godimento che ne deriva, sia per il decremento del valore commerciale dell'immobile. Osservazioni
La decisione in commento affronta in alcuni condivisibili passaggi talune questioni in tema di CTU che, per la loro ricorrenza e per il fatto di dare adito sovente a dubbi fra gli operatori, meritano alcune considerazioni aggiuntive.
In primo luogo, nel caso affrontato viene in considerazione quella che la dottrina e la giurisprudenza ha da tempo individuato come consulenza percipiente. Se, infatti, spesso viene ripetuto come un “mantra” che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova ma uno strumento di valutazione delle prove ed in particolare non può essere disposta a fini “esplorativi”, nondimeno vi è una diffusa consapevolezza che in molteplici situazioni il possesso di un bagaglio di conoscenze tecnico scientifiche specialistiche non è necessario soltanto al fine di valutare i fatti provati dalle parti, ma per accertare gli stessi fatti. In tali casi la distinzione fra prova e consulenza sfuma, dando a luogo a quella che a partire dalla nota Cass. S.U. n. 9522/1996 è detta consulenza percipiente. Si è infatti osservato che quando i fatti da accertare necessitano di specifiche competenze tecniche, non essendo rilevabili sulla base della comune percezione, il giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati o dai per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente); in tale caso, in cui la consulenza costituisce essa stessa fonte di prova, è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (in applicazione di detto principio è stata cassata la sentenza di merito che non aveva dato ingresso ad una consulenza tecnica finalizzata ad accertare quali apparecchiature ed impianti del convenuto fossero alimentati dal contatore di energia elettrica dell'attore, nonché il consumo medio degli stessi) (Cass. 28 febbraio 2007, n. 4743; più recentemente Cass. 25/05/2016, n. 10825 in tema di concorrenza sleale e Cass. 21/01/2014, n. 1181, in un caso di distanze fra costruzioni ed accertamento della natura di luci o vedute di alcune aperture perimetrali). Proprio la decisione da ultimo richiamata contiene una sorta di “decalogo” della consulenza percipiente, che può trovare ingresso e costituire fonte di prova se: a) la parte ha assolto all'onere di deduzione del fatto; b) tale fatto appare rilevante, possibile ed accertabile; c) l'accertamento o la ricostruzione richiede conoscenze tecnico-scientifiche; d) la consulenza comunque si limita ai fatti dedotti e non coinvolge fatti diversi, se non di contenuto puramente secondario e strumentale a dare risposta al quesito. Ora, non vi è dubbio che proprio in materia di diritti reali il possesso di competenze tecniche è spesso indispensabile per l'accertamento dei fatti, per la corretta esecuzione di misurazioni, per il loro raffronto con i regolamenti edilizi ed i dati progettuali riguardanti opere se e come autorizzate dal punto di vista puramente amministrativo. Da cui la rilevanza della consulenza tecnica d'ufficio che, infatti, era stata puntualmente disposta nel giudizio di merito.
In secondo luogo la decisione in commento stigmatizza un possibile errore da tempo censurato dal S.C.: quello di aver nel corso dell'istruttoria ritenuto di dare ingresso ad una consulenza tecnica d'ufficio per poi in motivazione non dare conto dell'adesione o meno alle sue conclusioni o, addirittura, ignorarle e decidere al tempo stesso sulla scorta del principio dell'onere della prova non assolto. Sul punto, fra le altre: “in nessun caso la consulenza può servire ad esonerare la parte dal fornire la prova che le spetta di fornire in base ai principi che regolano l'onere relativo; peraltro, nel caso di fatti il cui accertamento richieda l'impiego di un sapere tecnico qualificato, l'onere si riduce all'allegazione, spettando, poi, al giudice decidere se ricorrano o meno le condizioni per ammettere la consulenza. Ne consegue che viola gli art. 61 e 116 cpc il giudice che non ammette la consulenza tecnica per il solo fatto che non è stato adempiuto l'onere probatorio, così come il giudice che, ammessa ed espletata la consulenza tecnica, rifiuta per la stessa ragione di tenerne conto” (Cass., 22 giugno 2005, n. 13401; cfr. altresì Cass. 13 giugno 2014 n. 13539 in tema di supplemento di indagine che lo stesso giudice aveva in un primo tempo ritenuto rilevante; nonché Cass. 01/09/2015, n.17399). All'opposto, si è spesso ritenuto che il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. 02/02/2015, n. 1815; per l'insufficienza di tale rinvio quando il consulente non abbia specificamente preso in esame e confutato le osservazioni tecniche dei CTP, cfr. Cass. 21/11/2016, n. 23637).
Di estremo rilievo pratico, infine, due puntualizzazioni contenute nella decisione in esame: a) la violazione del contraddittorio e la conseguente nullità non ha necessariamente effetti invalidanti “a cascata”, in virtù dell'art. 159 co. 2 c.p.c. (principio della limitazione oggettiva delle nullità degli atti processuali); b) la parte la quale intenda dolersi di tale violazione ha l'onere di precisare in quale modo concreto il suo diritto di difesa sia stato menomato ed abbia perciò condotto ad un risultato ingiusto e diverso da quello altrimenti realizzabile (principio della irrilevanza di violazioni procedimentali formali quando non si siano tradotte in una concreta deminutio difensiva). Per un'applicazione in tema di documenti estranei al giudizio utilizzati dal CTU, cfr. Cass. 19/04/2016, n. 7737: la parte che, in sede di ricorso per cassazione, faccia valere la nullità della consulenza tecnica d'ufficio, causata dall'utilizzazione di materiale documentario fornito dal consulente tecnico di parte ed acquisito al di fuori del contraddittorio, ha l'onere di specificare, a pena di inammissibilità dell'impugnazione, quale sia il contenuto della documentazione di cui lamenta l'irregolare acquisizione (o la mancata acquisizione) e quali accertamenti e valutazioni del consulente tecnico di ufficio - poi utilizzati dal giudice - siano fondati su tale documentazione. Anche in tema di accertamenti ultra mandato del consulente si ritiene in via maggioritaria che gli stessi non siano di per sé nulli, ma possano essere liberamente apprezzabili dal giudice, ai fini del proprio convincimento, purchè: 1) gli accertamenti e le risposte siano comunque attinenti alla materia in discussione (sul punto Cass., 17 maggio 2006, n. 11594); 2) sia rispettato pienamente il principio del contraddittorio; 3) l'accertamento ultra mandato non si svolga in senso contrario all'onere della prova, non si estenda cioè all'accertamento di fatti principali che la parte aveva l'onere di dimostrare né, ovviamente, contrasti con una prova legale: “Il c.t.u. può, ai sensi dell'art. 194, comma 1, c.p.c., assumere, anche in assenza di espressa autorizzazione del giudice, informazioni da terzi e verificare fatti accessori necessari per rispondere ai quesiti, ma non anche accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni, il cui onere probatorio incombe sulle parti, sicché gli accertamenti compiuti dal consulente oltre i predetti limiti sono nulli per violazione del principio del contraddittorio, e, perciò, privi di qualsiasi valore, probatorio o indiziario” (Cass. 10/03/2015, n. 4729). Infatti, solo nel momento in cui l'accertamento ultra quesito del CTU viene ad investire fatti principali e non puramente secondari, come tali estranei al thema decidendum ac probandum, si determina un vulnus effettivo e non puramente formale al diritto di difesa delle parti (che ad es. in caso di prova disposta d'ufficio avrebbero avuto diritto alla prova contraria, ex art. 183 co. 8 c.p.c.). In questo senso si è infatti chiarito che il consulente tecnico di ufficio ha il potere di acquisire ogni elemento necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, anche se risultanti da documenti non prodotti in giudizio, sempre che non si tratti di fatti che, in quanto posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni, debbono essere provati dalle parti (cfr. Cass. 27/04/2016, n. 8403, nonchè Cass. 23/06/2015, n. 12921, che a propria volta richiama Cass.n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del 2008; Cass. n. 1901 del 2010). |