La regolamentazione delle spese nell'accertamento tecnico preventivo
23 Maggio 2016
Il quadro normativo
Ai sensi dell'art. 696 c.p.c., che al comma 3 richiama gli artt. 694 e 695 c.p.c., il giudice, dopo aver sentito le parti e dopo avere acquisito, all'occorrenza, sommarie informazioni, provvede sull'istanza di accertamento tecnico preventivo con ordinanza non impugnabile, che può essere di diniego o di accoglimento. Infatti il giudice deve valutare, seppure con delibazione sommaria, che connota tale procedimento, la sussistenza delle condizioni dell'azione cautelare volta ad ottenere l'espletamento dell'ATP, impedendo l'ingresso di ATP esplorativi, finalizzati, in prospettiva, a supplire alle deficienze delle allegazioni ed offerte di prova gravanti sul ricorrente nel futuro giudizio di merito ai sensi dell'art. 2697 c.c. ovvero a compiere un'indagine tendente alla ricerca di elementi di fatto o circostanze non provati dal soggetto su cui ricade il relativo onere. Qualora l'ordinanza sia favorevole all'ammissione dell'accertamento tecnico preventivo, essa deve contenere la nomina del consulente tecnico e la fissazione della data dell'inizio delle operazioni. Nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, una volta che sia stato instaurato il dovuto contraddittorio sulla richiesta dell'istante e sia stato, alla udienza fissata, assegnato all'esperto l'incarico necessario, non è prevista alcuna udienza per l'acquisizione-discussione dell'elaborato nè è statuita alcuna attività strumentale o d'impulso ad opera della parte (Cass. civ., sez. I, 20 settembre 2000, n. 12437). Pertanto deve essere esclusa la possibilità di adottare nel corso del procedimento per ATP un'ordinanza di estinzione per inattività ai sensi dell'art. 307 c.p.c., posto che in tal procedimento, una volta che sia stato instaurato il dovuto contraddittorio sulla richiesta dell'istante e sia stato, alla udienza fissata, assegnato all'esperto l'incarico necessario, non è prevista alcuna udienza per l'acquisizione - discussione dell'elaborato nè è statuita alcuna attività strumentale o d'impulso ad opera della parte, in tal guisa difettando tanto la sede processuale quanto la ragione per sanzionarne la pretesa inattività. Di contro, l'inerzia del consulente nell'adempiere all'incarico nel termine assegnato lungi dal potersi tradurre in una abnorme sanzione per l'inattività della parte istante che di tale inerzia può anche decidere di non dolersi, deve trovare risposta nell'ambito del sistema delle relazioni tra Giudice e suo ausiliare, con l'esercizio dei consueti poteri di accelerazione, rimozione, sostituzione ex art. 196 c.p.c., e non certo addebitando alla parte - in termini sanzionatori sul procedimento - una inerzia che alla responsabilità processuale della stessa parte sfugge totalmente, neanche essendo previste forme e luoghi per denunziare al giudice le violazioni commesse dall'ausiliare (Cass. civ., sez. I, 20 settembre 2000, n.12437). La notificazione del ricorso per ATP in quanto giudizio conservativo produce, ai sensi dell'art.2943 c.c., l'interruzione della prescrizione sino alla conclusione del procedimento, conclusione che coincide con il deposito della relazione peritale (Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2011, n. 9066; Cass. civ., sez. III, 8 agosto 2007, n. 17385; Cass. civ., sez. II, 24 agosto 2000, n.11087). L'accertamento tecnico preventivo spiega efficacia interruttiva della prescrizione in quanto sia richiesto dal titolare del diritto nella prospettiva ed in funzione della successiva instaurazione del procedimento di cognizione per l'accertamento e la tutela del diritto medesimo, non anche quando sia richiesto nei confronti di chi si assume titolare del diritto in vista dell'introduzione di un giudizio di accertamento negativo. In questo caso, infatti, la richiesta non manifesta la volontà del titolare del diritto di ottenerne l'accertamento ed il riconoscimento (Cass. Civ, sez. I, 23 gennaio 1997, n. 696). Al riguardo, la prevalente giurisprudenza ritiene che dal deposito della relazione peritale ricomincia a decorrere il termine di prescrizione che fino a quel momento rimane sospeso. In particolare è stato affermato che allo schema dell'accertamento tecnico preventivo è estranea una fase di cognizione e valutazione che è rinviata al successivo giudizio di merito, perché il procedimento si conclude con il deposito della relazione del consulente, mentre l'eventuale sua protrazione oltre tale termine ne modifica la natura, trasformandolo in un procedimento di tipo diverso e rendendo, per ciò stesso, inattuabile l'effetto interruttivo strettamente collegato ai tipi di procedimento previsti dall'art. 2943 c.c.. Insomma l'efficacia interruttiva permane per tutta la durata del procedimento, se lo stesso si sviluppa secondo lo schema previsto dalla norma così da non perdere il collegamento con il tipo legale, nell'ipotesi opposta il procedimento diventa atipico e la regola della permanenza dell'effetto interruttivo non vale più (Cass. civ., sez. III, 8 agosto 2007, n. 17385).
La natura del procedimento di accertamento tecnico preventivo
L'accertamento tecnico preventivo non è un mezzo di prova, essendo finalizzato principalmente a fare verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione di cose, che, suscettibili di mutamenti o alterazioni nel tempo, vanno accertati e documentati per essere portati poi alla cognizione del giudice prima che ciò possa accadere, per consentirgli di decidere sulla base delle prospettazioni e deduzioni fatte con riferimento a quelle condizioni ed a quello stato, è altrettanto vero che dagli accertamenti e rilievi compiuti in fase preventiva il giudice può trarre utili elementi che, apprezzati e valutati unitamente e nel contesto delle altre risultanze processuali, possono concorrere a fondare il suo convincimento in ordine alla fondatezza dell'uno o dell'altro assunto (Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 2008, n.2800). Ciò premesso, il provvedimento che ammette l'accertamento tecnico preventivo non è suscettibile di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di misura connotata dal carattere della provvisorietà e strumentalità, come risulta dall'art. 698 c.p.c, secondo il quale l'assunzione preventiva dei mezzi di prova non pregiudica le questioni relative alla loro ammissibilità e rilevanza, né impedisce la loro rinnovazione nel giudizio di merito. Consegue che avverso tale provvedimento non è ammissibile neppure il regolamento di competenza, anche nell'ipotesi in cui sia ravvisabile una pronuncia sulla competenza del giudice che li adotta, non potendosi ritenere che il giudice di legittimità possa risolvere quella stessa questione di competenza sulla quale non potrebbe essere investito a norma dell'art. 111 cost. (Cass. civ., sez. II, 19 agosto 2005, n.17058; Cass. civ., sez. U., 21 luglio 1998, n.7129). Il provvedimento di liquidazione delle spese
Il procedimento di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c., disciplinato dagli artt. 692 e segg. c.p.c., si conclude con il deposito della relazione di consulenza tecnica, cui segue la liquidazione del compenso al consulente nominato dal giudice, senza che possa essere adottato alcun altro provvedimento relativo al regolamento delle spese tra le parti, stante la mancanza dei presupposti sui quali il giudice deve necessariamente basare la propria statuizione in ordine alle spese ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c.. Ne consegue che, laddove un provvedimento in ordine alla liquidazione di tali spese venga viceversa emesso, si è in presenza di un provvedimento non previsto dalla legge di natura decisoria, destinato ad incidere su una posizione di diritto soggettivo della parte a carico della quale risulta assunto e dotato di carattere di definitività, contro cui non è dato alcun mezzo d'impugnazione, sicchè avverso il medesimo ben può essere esperito il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. civ., sez. II, 19 novembre 2004, n. 21888). Infatti, secondo il consolidato orientamento di legittimità, il giudice dell'accertamento tecnico preventivo, i cui poteri esulano da qualsivoglia valutazione in ordine al merito e alla fondatezza delle reciproche pretese delle parti, non può che porre, conformemente al disposto del TU sulle spese di giustizia di cui al d.P.R. n. 115/2002, art. 8, a carico della parte richiedente le spese dell'attività istruttoria anticipata da essa stessa richiesta. Del resto, il predetto principio trova la propria ragione giustificatrice nella circostanza che il procedimento di istruzione preventiva non presuppone la necessaria instaurazione del giudizio di merito, essendo questo rimesso ad una valutazione discrezionale della stessa parte istante anche in dipendenza degli esiti dell'ATP e che, anche laddove venisse instaurato il detto giudizio, la disciplina delle spese della fase preventiva resterebbe subordinata all'effettiva acquisizione, in tale giudizio, della relazione attinente all'eseguito ATP. Nello stesso senso la prevalente giurisprudenza di merito (App. Napoli, sez. IV, 22 gennaio 2015, in Guida al diritto, 2015, 22, 62, in cui si precisa che analogo principio vale anche per il compenso del difensore che abbia agito ante causam per il proprio assistito per il quale il suddetto accertamento si appalesa finalizzato alla tutela nel merito e, dunque, non suscettibile di liquidazione separata). Un caso particolare è invece quello in cui il giudice adito con istanza di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell'art. 696 c.p.c. dichiari la propria incompetenza riveste carattere definitivo, idoneo a registrare la soccombenza della parte istante. Al riguardo, l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. U., 17 ottobre 1983, n. 6066) accolse la interpretazione estensiva dell'art. 91 c.p.c. nel senso che l'espressione “sentenza che chiude il processo” deve intendersi riferita a qualsiasi provvedimento conclusivo di un procedimento contenzioso ed in particolare, del procedimento cautelare caratterizzato dalla dialettica processuale con il contraddittorio delle parti, assistite e rappresentate dai rispettivi difensori tecnici. Sicché quando venga respinta l'istanza diretta a una misura cautelare od il giudice adito ravvisi al riguardo la propria incompetenza, il relativo provvedimento non provvisorio nè propedeutico rispetto ad altro, è esso stesso definitivo, e, perciò, idoneo a registrare la soccombenza delle parti, e, quindi, deve contenere il regolamento delle spese a norma degli artt. 91 e 92 c.p.c. come nel caso del procedimento di accertamento tecnico preventivo svoltosi nel contraddittorio delle parti rappresentate dai rispettivi difensori e conclusosi con la pronuncia di incompetenza del giudice adito, che dovrebbe pronunciarsi anche in ordine alle spese, secondo il principio della soccombenza a norma dell'art. 91 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 3 aprile 1997, n. 2896).
In conclusione
Alla stregua della uniforme giurisprudenza di legittimità (cfr., di recente, Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2013, n. 1273), infatti, il regolamento delle spese è ancorato alla valutazione della soccombenza, che presuppone l'accertamento della fondatezza o meno della pretesa fatta valere dall'attore, che esula dalla funzione dell'accertamento tecnico preventivo e resta di esclusiva competenza del giudizio di merito. Pertanto, le spese dell'accertamento tecnico preventivo, devono essere poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente, e saranno prese in considerazione, nel successivo giudizio di merito ove l'accertamento tecnico sarà acquisito, come spese giudiziali, da porre, salva l'ipotesi di compensazione, a carico del soccombente (Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2000, n. 1690). Del resto, la funzione dell'accertamento tecnico preventivo si risolve, di norma, nell'esigenza di preservare in favore della parte istante gli effetti di una prova, da assumere in via urgente, attinente ad uno stato dei luoghi o alla qualità o condizione di cose, da potere fare valere, in un eventuale e successivo giudizio di merito, mentre nella fase relativa all'assunzione del mezzo di istruzione preventiva non si instaura propriamente un procedimento di tipo contenzioso, all'esito del quale deve trovare applicazione la disciplina delle spese processuali contemplata dagli artt. 91 e 92 c.p.c. (Cass. civ., sez.VI, 26 ottobre 2015, n.21756). Infatti, il regolamento delle spese è ancorato alla valutazione della soccombenza, presupponente l'accertamento della fondatezza o meno della pretesa fatta valere dall'attore, che esula dalla funzione dell'accertamento tecnico preventivo e resta di esclusiva competenza del giudizio di merito (Cass. civ., sez. VI, ord., 15 marzo 2012, n.4156; Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2005, n. 15672; Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2000, n. 1690; Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1993, n. 12759, in cui si è precisato che le somme erogate dalla parte che ha chiesto un accertamento tecnico preventivo, per compensare il consulente tecnico d'ufficio ed il proprio consulente, costituiscono - dopo che gli atti dell'accertamento siano acquisiti in quelli del successivo giudizio di merito - spese giudiziali e non componenti del danno di cui l'attore ha richiesto il risarcimento. Ne segue che tali somme non sono soggette a rivalutazione monetaria, ma vanno prese in considerazione dal giudice nella liquidazione delle spese processuali, da porre in tutto od in parte a carico del soccombente). Pertanto, ove venga adottata, in sede di accertamento tecnico preventivo, un'illegittima pronuncia sulla liquidazione delle relative spese, ci si viene a trovare in presenza di un provvedimento non previsto dalla legge di natura decisoria, destinato ad incidere su una posizione di diritto soggettivo della parte a carico della quale risulta assunto e dotato di carattere di definitività, contro cui non è dato alcun mezzo d'impugnazione, sicchè avverso il medesimo ben può essere esperito il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.
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