Contratto simulato: l’assegno girato dalla simulata acquirente può costituire principio di prova scritta

24 Maggio 2017

Il documento che può costituire principio di prova per iscritto, sì da consentire l'ammissione della prova testimoniale per accertare, tra le parti, la simulazione assoluta di un contratto con forma scritta ad substantiam, deve provenire dalla controparte e non dalla parte che chiede la prova, né da un terzo.
Massima

Il documento che può costituire principio di prova per iscritto (art. 2724, n. 1 c.c.), sì da consentire l'ammissione della prova testimoniale per accertare, tra le parti, la simulazione assoluta (art. 1417 c.c.) di un contratto con forma scritta ad substantiam (art. 1350 c.c.), deve provenire dalla controparte e non dalla parte che chiede la prova, né da un terzo e non è necessario un preciso riferimento al fatto controverso, ma l'esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso, da cui scaturisca la verosimiglianza del secondo (nella specie si è dato rilievo ad un assegno circolare firmato per girata dall'acquirente simulata, nipote della defunta apparente venditrice).

Il caso

La decisione della Corte trae origine da una vicenda piuttosto ricorrente nelle aule di giustizia, quando più eredi si trovano a discutere dell'inclusione o meno nell'asse ereditario di un bene immobile che si assume essere stato alienato in vita dal “caro estinto”, ma in virtù di un atto simulato.

La Corte d'Appello di Roma aveva, ribaltando una contraria decisione di primo grado, accertato la simulazione assoluta di un contratto di compravendita concluso dalla defunta madre dell'attrice con la nipote (figlia di altro fratello dell'attrice). Avverso tale provvedimento collegiale ha avanzato ricorso per Cassazione l'acquirente del bene, ritenendosi ingiustamente pregiudicata dalla decisione di secondo grado.

La questione

I motivi di impugnazione avanzati nei confronti della decisione di secondo grado concernono, in sintesi, i seguenti aspetti:

  • Violazione e falsa applicazione di disposizioni di legge, oltre che vizio della motivazione, per avere la gravata sentenza illegittimamente preso in esame, al fine di ritenere dimostrato l'intervenuto accordo simulatorio, la prova testimoniale e le presunzioni contrarie all'apparenza creata dal negozio assolutamente simulato;
  • Violazione e falsa applicazione di norme di legge, oltre che nullità della sentenza, per aver la stessa omesso di dichiarare l'inammissibilità e/o la nullità della prova testimoniale e delle presunzioni utilizzate per la prova della simulazione intercorsa.

Come ben si può comprendere i due motivi risultano fra loro strettamente avvinti e sono stati, pertanto, correttamente affrontati in modo unitario dai giudici di legittimità.

Le soluzioni giuridiche

In primo luogo il Supremo Collegio ricorda come l'attrice non abbia proposto una domanda di riduzione, al fine di veder reintegrata la quota di legittima, avendo invece agito quale erede della venditrice al fine di ricostruire l'esatto asse ereditario e conseguire, in tal modo, pro quota, parte della disponibile. Differenziato è l'onere probatorio che deriva da tale diversa impostazione processuale della domanda:

  1. nel primo caso, il legittimario pretermesso che agisca per la riduzione della disposizione lesiva della quota di legittima, assume infatti la qualità di terzo, come tale abilitato a fornire la prova dell'accordo simulatorio senza le limitazioni di cui agli art. 2722 e 2729 c.c.;
  2. nel secondo caso, che è poi quello analizzato dalla Corte, la parte agisce in luogo del defunto, quale erede della stessa parte del negozio e, come tale, incontra ben precisi limiti alla prova per testimoni od alle presunzioni, limiti che può superare soltanto al fine di dimostrare l'illiceità del contratto simulato (cfr. art. 1417 c.c.).

Su tale distinta ricostruzione dei limiti con i quali assolvere all'onere probatorio vengono richiamate precedenti e conformi decisioni (cfr. Cass., sez. II, 2 febbraio 1999, n. 848; Cass. sez. II, 22/09/2014, n. 19912, nonché Cass. sez. II, 28 maggio 2007, n. 12487).

Posta tale premessa, il Supremo Collegio analizza il materiale probatorio utilizzato dai giudici di secondo grado:

  • l'assegno utilizzato per il pagamento del prezzo del negozio asseritamente simulato;
  • la documentazione bancaria;
  • la prova testimoniale del soggetto che aveva messo a disposizione la provvista per l'emissione del citato assegno, a sua volta soggetto parente dell'acquirente simulato.

Va detto che lo schema utilizzato dalle parti per creare l'apparenza dell'alienazione è in qualche modo archetipico: una consanguinea della simulata acquirente ha messo a disposizione i denari con cui è stato tratto l'assegno utilizzato per il pagamento; l'assegno è stato consegnato dalla simulata acquirente alla defunta venditrice e quest'ultima, invece di incassarlo, ha a propria volta girato il titolo a favore del soggetto terzo che aveva consegnato i denari (che in questo modo risultano di fatto mai usciti dal patrimonio del terzo, sentito come teste nel corso del giudizio).

La Corte d'Appello ha ritenuto provato l'accordo simulatorio, alla luce della documentazione bancaria relativa all'apparente trasferimento di denaro e delle dichiarazioni quale teste della disponente, che nel corso dell'esame non aveva saputo indicare un valido motivo a sostegno del repentino reingresso del denaro nel proprio patrimonio.

A tal punto la Cassazione evidenzia che la Corte non avrebbe potuto in tal modo ed in via diretta giungere a tali conclusioni ed ha, piuttosto, commesso un errore logico-giuridico di motivazione.

Ma la gioia della ricorrente è destinata a “spegnersi” nei successivi passaggi del provvedimento che si annota. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la prova per testimoni resta ammissibile in tutti i casi previsti dall'art. 2724 c.c. in caso di simulazione assoluta e l'assegno circolare dianzi già citato ben avrebbe potuto essere valorizzato quale “principio di prova scritta“, che ex art. 2724 n. 1 c.c. consente senza limiti l'ammissione della prova testimoniale. Infatti, avendo la simulata acquirente provveduto a girare l'assegno per consegnarlo all'apparente venditrice, ben si può ritenere che lo stesso documento provenga dalla controparte.

In definitiva, corretta nei termini di cui sopra la motivazione dei giudici d'appello capitolini, la decisione di accoglimento della domanda attorea di simulazione dell'atto di compravendita è stata pienamente confermata, con condanna alle spese della ricorrente.

Osservazioni

La decisione in commento affronta in termini pienamente convincenti, sia in punto di diritto che nelle conseguenze di ordine pratico che ne derivano, una fattispecie che, come si è anticipato, risulta estremamente frequente, in tema di prova della simulazione.

La sentenza, tuttavia, consente altresì di occuparsi, sia pure con la brevità richiesta da questa nota, di un tema non particolarmente indagato pur se di rilievo operativo, in ordine al più generale problema dell'assolvimento dell'onere della prova e della valutazione complessiva del materiale probatorio comunque acquisito al processo.

Si allude al concetto di principio di prova scritta. Tale espressione non va confusa con la forma scritta ad probationem, in quanto, nonostante consista in un qualsiasi scritto proveniente dalla parte contro la quale la domanda è rivolta, esso non vale a dimostrare il fatto da provare in modo diretto, essendo solamente sufficiente a renderlo verosimile. Perché si possa parlare di principio di prova scritta si richiede, pertanto, sia la provenienza dalla controparte, sia il nesso logico tra scritto e fatto controverso, sia la verosimiglianza dello stesso, alla stregua di un argomento logico-probatorio. In tal caso, la prova testimoniale non subisce le limitazioni previste dal codice e risulta sempre ammissibile.

Del pari, il principio di prova scritta non può, tecnicamente, essere confuso con la nozione di prova scritta “semplificata” di cui all'art. 634 c.p.c., posto che in questo secondo caso il beneficio processuale consistente nella possibilità di richiedere un decreto ingiuntivo si collega ad una prova documentale che può essere anche di formazione unilaterale (es. fattura) o provenire da un soggetto terzo e non necessariamente dalla controparte, ma che ha ad oggetto direttamente il diritto di credito fatto valere con l'ingiunzione e non fatti diversi dai quali arguire, con un procedimento di tipo logico – inferenziale – la mera verosimiglianza del factum probandum. Inoltre, il principio di prova scritta è, dal punto di vista del risultato probatorio, un elemento istruttorio che potrà o meno essere completato dalla prova testimoniale la cui ammissione consente, mentre la prova scritta di cui all'art. 634 c.p.c. è pienamente sufficiente nella fase monitoria priva di contraddittorio e destinato ad una successiva ed eventuale verifica soltanto nel corso (se instaurato) del giudizio di opposizione.

In realtà due disposizioni del codice civile fanno riferimento a questo concetto:

  • L'art. 2717 c.c., secondo cui le copie rilasciate da pubblici ufficiali fuori dei casi contemplati dagli articoli precedenti hanno l'efficacia di un principio di prova per iscritto (è il caso, ad es. della copia rilasciata in forma non autentica);
  • L'art. 2724 c.c., secondo cui la prova per testimoni [244 c.p.c. ss.] è ammessa in ogni caso: 1) quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto, proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che faccia apparire verosimile il fatto allegato (…).

La giurisprudenza ha avuto modo in più occasioni di occuparsi della esatta delimitazione di detto istituto, affermando in primo luogo che:

a) il principio di prova scritta deve provenire dalla controparte, non dalla stessa parte che ne invoca il valore probatorio (giacchè in tal caso si darebbe un rilievo indiretto, sia pure al fine di ammettere la prova testimoniale, a dichiarazioni meramente unilaterali): il documento che può costituire principio di prova per iscritto (art. 2724, n. i c.c.), sì da consentire l'ammissione della prova testimoniale per accertare, tra le parti, la simulazione assoluta (art. 1417 c.c.) di un contratto con forma scritta ad substantiam (art. 1350 c.c.), deve provenire dalla controparte e non dalla parte che chiede la prova, nè da un terzo e non è necessario un preciso riferimento al fatto controverso, ma l'esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso, da cui scaturisca la verosimiglianza del secondo. L'accertamento, circa la sussistenza e l'idoneità di un principio di prova scritta a rendere verosimile il fatto allegato, costituisce un apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Cass. n. 3869/2004); negli stessi termini Cass. n. 27013/2005. Più discusso, soprattutto in dottrina, è la necessità della sottoscrizione del documento ad opera della controparte; la tesi affermativa risulta in giurisprudenza del tutto prevalente ed è tale da rendere il principio di prova scritta un minus rispetto alla scritta privata, ma a questo tipo di prova strutturalmente riconducibile: la sentenza in motivazione, richiedendo la girata del titolo di credito ad opera della controparte, acquirente simulata, indirettamente accoglie questa tesi; nello stesso senso si è altresì affermato che ai fini dell'ammissibilità della prova testimoniale ai sensi dell'art. 2724 n. 1 c.c., possono costituire principio di prova scritta anche le risposte rese dalla controparte nel corso dell'interrogatorio e consacrate nel relativo verbale, il quale dà la certezza con la sottoscrizione, che l'ammissione proviene dalla stessa parte contro la quale è stata proposta la domanda (Cass. n. 3120/1999);

b) la relazione fra lo scritto ed il fatto da provare può essere indiretta e tale da rendere il fatto stesso semplicemente verosimile: gli estremi richiesti dall'art. 2724, n. 1, c.c. perché un documento possa costituire principio di prova per iscritto - così eccezionalmente consentendo l'ammissione, come nella specie, della prova per testimoni - non esigono un preciso riferimento al fatto controverso, ma l'esistenza di un nesso logico tra lo scritto e il fatto stesso, da cui scaturisca la verosimiglianza del secondo, alla stregua di un apprezzamento di merito insindacabile nella sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 17766/2012); ancora l'art. 2724 n. 1 c.c., nel consentire in ogni caso la prova testimoniale in presenza di un «principio di prova scritta» — che sia tale da far apparire verosimile il fatto allegato — postula la esistenza di un nesso logico fra lo scritto ed il fatto controverso, sì che quest'ultimo risulti verosimile per ragionevole relazione e non per mera congettura o illazione: è, cioè, necessario che il documento contenga un qualche riferimento al patto che si deduce in contrasto con il precedente accordo scritto, non essendo, all'uopo, sufficiente, che, in base al documento, si possa ritenere possibile o plausibile la conclusione di un nuovo patto contrastante con il precedente accordo (Cass. n. 426/2000).

Guida all'approfondimento
  • CARNELLUTTI, La prova civile, Napoli, 2016
  • CECCARINI, La prova documentale nel processo civile, Padova, 2006
  • GIORDANO, L'istruzione probatoria nel processo civile, Milano, 2013
  • RONCO, Il documento nel processo civile, Bologna, 2011

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